LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VILLONI Orlando - Presidente - Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere - Dott. GIORDANO Emilia An - rel. Consigliere - Dott. APRILE Ercole - Consigliere - Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere - ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: R.M., nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/11/2019 del Tribunale di Napoli; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa GIORDANO Emilia Anna; sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa LOY Maria Francesca che conclude per l'inammissibilità del ricorso.
Fatto RITENUTO IN FATTO
1. R.M. impugna l’ordinanza del 26 novembre 2019 con la quale il Tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza di applicazione della misura degli arresti domiciliari per i reati di corruzione (capo 1, artt. 319,319 bis, 320 e 321 c.p., reato commesso il (OMISSIS)), falso in atto pubblico (art. 476 c.p.) e truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) reati, questi, commessi fino al luglio 2017 in concorso con A.S., medico convenzionato INPS, C.P. e Co.Gi. e Be.. Il ricorrente, dipendente del centro raccolta dati del Patronato INAPI di (OMISSIS), è stato individuato come intermediario incaricato di gestire i rapporti con l’ A. che, nella descritta qualità, si incaricava di redigere i falsi certificati di invalidità dietro il pagamento di somme di denaro, in genere coincidenti con l’importo degli arretrati conseguiti dai beneficiari.
2. Il difensore propone un unico motivo di impugnazione con il quale denuncia vizio di violazione di legge per l’erronea applicazione degli artt. 270 e 380 c.p.p.. In via preliminare, all’udienza del 26 novembre 2019, veniva eccepita, ma l’ordinanza impugnata non ha esaminato la questione, la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche sul rilievo che essendo il procedimento a carico del R. una costola di altro procedimento – per i reati di truffa, usura ed altro a carico di S.L. ed altri – nel quale il R. non era mai stato sottoposto ad indagini, le intercettazioni ivi eseguite non erano utilizzabili in relazione ai fatti del presente procedimento, trattandosi di reati per i quali non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ai sensi dell’art. 380 c.p.p.. Tanto anche a seguito della recente sentenza resa dalle Sezioni Unite n. 51 del 28 novembre 2019. Il presupposto (l’alterità del procedimento) è evincibile dalla stessa premessa dell’ordinanza impugnata, ove si fa riferimento ad indagini per usura ed altro a carico di C.P. ed alla emersione della figura del R. dalle conseguenti indagini. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Napoli per nuovo esame.
2. Non è controverso che il compendio probatorio è costituito dalle risultanze delle operazioni di intercettazione ambientale e telefonica in alcune delle quali è interlocutore delle conversazioni intercettate proprio l’odierno ricorrente: da qui la rilevanza della dedotta questione di utilizzabilità delle intercettazioni che, secondo la prospettazione fattane dal ricorrente all’udienza del 26 novembre 2019, erano state disposte in procedimento diverso e per fatti non connessi a quelli per i quali si procede a carico del R. e le cui risultanze non sono pertanto utilizzabili nel presente procedimento non ricorrendo il requisito che le intercettazioni captate siano relative a reati per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. Alcuna risposta è rinvenibile nell’ordinanza impugnata in merito alla dedotta eccezione pur dandosi atto, nella parte espositiva (cfr. pag. 2), che le indagini a base dell’ordinanza avevano preso le mosse da alcune captazioni ambientali, operate sull’autovettura e utenze telefoniche dell’avvocato C.P., ritenuto dagli inquirenti coinvolto in alcune vicende di natura usuraria. Nel corso delle intercettazioni, prosegue l’ordinanza impugnata, emergevano le relazioni da questi intrattenute con D.C.B. ma, soprattutto, per quel che rileva, il fatto che entrambi fossero interessati a far ottenere ai propri familiari e, in particolare, a C.C., figlio di P., e a D.C.G., fratello di B., il riconoscimento da parte dell’INPS delle invalidità civile in percentuale elevata e, ovviamente, del relativo periodico contributo economico assistenziale.
Risulta, dunque, evidente che nelle intercettazioni si esaurisce la gravità indiziaria dei reati ascritti al R., benchè non possa affermarsi che le stesse conversazioni intercettate costituiscano corpo di reato, dal momento che, secondo la stessa ricostruzione a base del provvedimento impugnato, la violazione della norma penale non è data dalle conversazioni in se stesse considerate (come invece richiede la giurisprudenza di questa Corte, cfr. Sez. 6, n. 13166 del 29/11/2011, dep. 2012, Alessio e altri e P.G. in proc. Gallo e altri, Rv. 2525789), conversazioni che assumono, invece, valore puramente narrativo e descrittivo rispetto agli illeciti di cui i loquenti discorrono. Tali conversazioni hanno consentito il disvelamento dei rapporti intrattenuti dal R. con il D.C., nelle conversazioni tra i due intercettate, e del R. con il C., nelle conversazioni intercettate inter alios, e, secondo il ricorrente, tali conversazioni sono state captate nel corso di intercettazioni disposte in un procedimento che non ha alcuna connessione oggettiva, probatoria o finalistica con quelle di usura che erano ascritte a C.P. nel procedimento per il quale erano state disposte le operazioni captative (se non appunto quella della coincidenza soggettiva per quanto attiene tale indagato) e, dunque in procedimento diverso. Alla connessione probatoria, sembra, invece, faccia riferimento la premessa descritta nel provvedimento impugnato, innanzi riportata.
3. Questa Corte ha avuto modo di chiarire in precedenti occasioni, in tema di impugnazione di misure cautelari personali, che il giudice del riesame, sia pure con motivazione sintetica, deve dare ad ogni deduzione difensiva puntuale risposta, incorrendo in caso contrario, nel vizio, rilevabile in sede di legittimità, di violazione di legge per carenza di motivazione (Sez. 5, n. 45520 del 15/07/2014, Musto, Rv. 260765).
L’esame delle deduzioni difensive era vieppiù imposto, nel caso in esame, in presenza di una eccezione che, come quella in materia di utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, non si esaurisce nell’esame delle coordinate in diritto – quale la individuazione della nozione di diverso procedimento e della obbligatorietà dell’arresto in flagranza dei reati per i quali venne disposta l’autorizzazione o viene ritenuta la utilizzabilità – ma involge una ricostruzione, spesso complessa, in fatto, delle tempistiche di iscrizione delle notizie di reato e del contenuto di queste, ai fini della ricostruzione delle fattispecie di connessione, oggettiva, probatoria, finalistica tra le notizie di reato oggetto dei procedimenti a base dei provvedimenti di autorizzazione delle intercettazioni.
4. Della descritta condivisibile regula iuris non ha tenuto conto il Tribunale di Napoli che non ha preso in esame in nessuna parte del provvedimento – neanche in modo sintetico nè implicito – la questione proposta dalla difesa che, come anticipato, non può ritenersi ictu oculi irrilevante o manifestamente infondata.
5. Ritiene il Collegio che la questione sollevata dalla difesa non è manifestamente infondata, avuto riguardo alle puntualizzazioni, in tema di connessione tra il reato in relazione al quale l’intercettazione è stata emessa e il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione, recate dalla sentenza delle Sezioni Unite intervenuta due giorni dopo la pronuncia impugnata. Invero, appare necessario un approfondimento sia del contenuto della documentazione prodotta che degli atti che hanno disposto le intercettazioni, a carico del ricorrente e dei coindagati, per verificare la sussistenza dell’ipotesi di connessione ex art. 12 c.p.p. che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, legittima la utilizzazione delle risultanze delle intercettazioni. Non è, infatti, decisivo che le conversazioni captate, secondo la ricostruzione della difesa, siano state eseguite nel corso di intercettazioni disposte in un procedimento che reca diverso numero di iscrizione rispetto a quello nel quale è stata adottata l’ordinanza impositiva rendendosi, viceversa, necessario accertare il tipo di connessione, se un legame sostanziale ovvero la esistenza di un collegamento meramente processuale, fra i reati per i quali si procedeva ad intercettazione e quello emerso a carico del R., collegamento al quale sembra far riferimento l’ordinanza impugnata.
A tal riguardo deve rilevarsi che, qualora si succedano nel tempo, in sede di legittimità, interpretazioni difformi di norme processuali, il provvedimento assunto nell’osservanza di un orientamento in seguito non più condiviso non può considerarsi legittimo alla stregua del principio “tempus regit actum”, che riguarda solo la successione nel tempo di leggi processuali, ma non delle interpretazioni di queste ultime (Sez. 6, n. 29684 del 26/05/2008, Sorce e altri, Rv. 240455; Sez. 2, n. 44678 del 16/10/2019, Berneschi Giovanni, Rv. 278000). La dedotta questione di inutilizzabilità prospettata dalla difesa, si risolve, pertanto, in un vizio di violazione di legge che impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
6. La giurisprudenza di questa Corte, anche prima della decisione a Sezioni Unite, richiamata dalla difesa, aveva affermato il principio per cui in tema di intercettazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270 c.p.p., comma 1, la nozione di “diverso procedimento” va ancorata a un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato – e nel caso valorizzata dalla difesa del ricorrente – essendo invece decisiva, ai fini dell’individuazione dell’identità dei procedimenti, e, quindi, della utilizzazione delle intercettazione, l’esistenza di una connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, e i reati per i quali si procede (nella giurisprudenza precedente, cfr. Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, Pavigliariti, Rv. 246524; Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi, Rv. 254285; Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv. 257834) ovvero un collegamento, ancorata alla sussistenza tra i due fatti reato, pur storicamente differenti, di ipotesi di connessione ex art. 12, c.p.p., o comunque di collegamento ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b) e c).
7. La recentissima sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità sui criteri di individuazione della connessione, oggettiva, probatoria o finalistica, ovvero sul legame o collegamento, che deve sussistere tra il reato in relazione al quale l’autorizzazione all’intercettazione era stata emessa e il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione ha, infatti, individuato come compatibile con la previsione recata dall’art. 15 Cost. solo l’ipotesi in cui tra fatti, pur storicamente diversi, ricorra la connessione cd. forte o sostanziale prevista dall’art. 12 c.p.p. escludendo che, in tale evenienza, semprechè i reati emersi rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 c.p.p., si sia in presenza di procedimento diverso e, dunque, di inutilizzabilità delle intercettazioni (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo Vito Antonio, Rv. 277395). Non rileva, invece, il mero collegamento ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b) e c), sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico.
Secondo le conclusioni della sentenza ora indicata, fondata sulla esegesi e portata delle diverse ipotesi di connessione ex art. 12 c.p.p., attributive di un originario ed autonomo criterio di competenza fondato sul legame sostanziale fra i fatti-reato, il procedimento relativo al reato per il quale l’autorizzazione è stata espressamente concessa non può proprio in forza del legame sostanziale fra i fatti-reato considerarsi diverso rispetto a quello relativo al reato accertato in forza di risultati dell’intercettazione. La parziale coincidenza della regiudicanda, oggetto dei procedimenti connessi, e dunque il legame sostanziale e non meramente processuale, tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede (Corte Cost. sent. n. 366 del 1991), di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione: il legame sostanziale fra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un’intercettazione in bianco”.
E, le ipotesi di connessione, sia quella di cui alla lett. c) dell’art. 12 c.p.p. (reati commessi gli uni per eseguire o occultare gli altri) che le ipotesi di concorso formale di reati e di reato continuato – di cui all’art. 12 c.p.p., lett. b) – si fondano, prima ancora che su un legame processuale, su un legame oggettivo tra due o più reati, ovvero la finalizzazione della condotta alla commissione o all’occultamento di un altro reato (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G, Rv. 271223) o la identità del disegno criminoso essendo necessario, a questo fine, che, già al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
8. Consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame della questione, anche alla stregua del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite in materia di divieto e limiti di utilizzazioni delle intercettazioni in procedimento diverso. PQM P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli, sezione Riesame.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020