L’avanzamento progressivo della campagna vaccinale e la fine della pausa estiva che ha interessato molti settori stanno facendo sorgere nelle imprese e nei luoghi di lavoro una domanda: che fare dello smart working emergenziale? La risposta a questo interrogativo non è semplice, in quanto implica diverse valutazioni, di natura organizzativa ma anche giuridica e sindacale. Risposta che deve partire da un dato difficilmente confutabile: quello sperimentato dal mese di marzo dello scorso anno non è il “lavoro agile” di cui parla la legge 81/2017. Dal punto di vista giuridico un progressivo superamento del lavoro “casalingo” pare coerente con l’attuale situazione sanitaria: la crescita dei vaccini, la progressiva estensione del green pass e il buon funzionamento dei protocolli sanitari definita dalle parti sociali hanno reso molto sicuri i luoghi di lavoro. Talmente sicuri da non rendere necessario, ai fini del rispetto dell’articolo 2087 del codice civile, il loro svuotamento. Anzi, considerato che il lavoro casalingo produce forme di isolamento e di stress che possono generare sui lavoratori danni ancora tutti da valutare è addirittura consigliabile il superamento di un modello di lavoro potenzialmente dannoso per la salute del dipendente. Il covid – 19 ha digitalizzato le imprese e alfabetizzato molti lavoratori all’uso delle nuove tecnologie, dimostrando che si può lavorare da remoto: è giusto continuare ad usare questi sistemi per rendere il lavoro più agile, ma bisogna farlo dentro progetti chiari e coordinati nei quali la presenza fisica e l’interazione umana mantengono un ruolo centrale per lo svolgimento del lavoro.