Non c’è concorso tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi successivamente le utilizza inserendole in dichiarazioni, con la conseguenza che il profitto del reato confiscabile in capo all’emittente non può essere quantificato rispetto all’imposta evasa dal contribuente che ha ricevuto tali fatture. L’eventuale sequestro e quindi la successiva confisca , dovrà invece essere riferito all’eventuale prezzo conferito dall’emittente per il falso documento, intendendosi per tale eventuale compenso pattuito o riscosso per commettere l’illecito.
A confermare questo importante principio è la Corte di Cassazione con la sentenza 17447/2022 depositata il 09 maggio 2022.
Un imprenditore imputato di emissione di fatture fase a beneficio di una Srl patteggiava la pena. Il Gip contestualmente disponeva anche la confisca di beni mobili e immobili nella sua disponibilità, in caso di impossibile recupero del debito tributario in capo alla società che aveva utilizzato in dichiarazione le medesime fatture.
L’imprenditore ricorreva per Cassazione lamentando che il giudice aveva disposto la confisca, nei suoi confronti, quale emittente, per il profitto corrispondente a un illecito risparmio di imposta in realtà conseguito dalla Srl che aveva ricevuto la fattura. Ne conseguiva l’illegittimità della misura ablativa perché avrebbe presupposto un profitto non conseguito dalla mera emissione dei documenti. Tantomeno era ipotizzabile il concorso nel reato commesso dalla società utilizzatrice in dichiarazione delle fatture, stante l’espresso divieto di concorso previsto dall’art. 9 del decreto n. 74/2000.
La Cassazione ha accolto il ricorso, secondo i giudici il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso del reato, e che comporta l’imputazione dell’intera azione delittuosa e del conseguente effetto in capo a ciascun concorrente e quindi l’intera entità del profitto illecito accertato, riguarda tutti i concorrenti indifferentemente, non trova applicazione nell’ipotesi di emissione di fatture false e di corrispondente utilizzo in dichiarazione.
Infatti, in base all’art. 9 del Dlgs 74/2000, l’emittente non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 8. Di conseguenza, il sequestro non può essere disposto sui beni dell’emittente, per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle medesime fatture.
Inoltre, per il delitto di emissione occorre far riferimento non alla nozione di profitto ma di prezzo del reato rappresentato dal prezzo pattuito o riscosso per eseguire l’illecito. Da qui l’accoglimento del ricorso.