Contrasti giurisprudenziali
Revoca della confisca di prevenzione: il giudicato copre il dedotto e il colpevole deducibile
mercoledì 23 novembre 2022
di Aceto Aldo Consigliere della Corte di Cassazione
Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, sentenza 17 novembre 2022, n. 43668, hanno dato risposta al seguente quesito: «Se, ai fini della revocazione della confisca ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. n. 159/2011, nella nozione di “prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento” debbano includersi, o meno, anche le prove preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene deducibili in tale sede, non siano però state dedotte, e perciò valutate, in conformità alla nozione di prova nuova come elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale».
Cassazione penale, Sez. Un., sentenza 17 novembre 2022, n. 43668
La soluzione |
In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva; non lo è, invece, quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore. |
I precedenti giurisprudenziali | |
Cass. pen. sez. II, 21/07/2021, n. 28305 | In tema di confisca di prevenzione, è escluso che chi ne chieda la revoca (o, attualmente, la revocazione) possa colmare, a seguito di investigazioni difensive, l’insufficienza dell’apparato probatorio a discarico fornito nel procedimento esitato con l’applicazione della misura, difettando il necessario requisito di novità della prova, trattandosi di prova deducibile ma non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento. |
Cass. pen. sez. I, 17/01/2022, n. 1649 | In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revoca “ex tunc” della misura, è sia quella preesistente e scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, sia quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che si adduca l’impossibilità di tempestiva deduzione per la riscontrata sussistenza di ragioni di forza maggiore. |
Cass. pen. sez. I, 17/03/2021, n. 10343 | In tema di confisca di prevenzione, costituiscono prove nuove deducibili a fondamento tanto della domanda di revoca “ex tunc”, ai sensi dell’art. 7 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, quanto della domanda di revocazione, ai sensi dell’art. 28, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, elementi di prova preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però stati concretamente dedotti e perciò mai valutati. Tale conclusione è conforme alla nozione di prova nuova elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale, cui deve aversi riguardo nell’interpretazione di entrambe le citate disposizioni di legge. |
Cass. pen. sez. V, 07/01/2016, n. 148 | In tema di misure di prevenzione, la revoca per difetto genetico dei presupposti di adozione può disporsi in presenza di “elementi nuovi”, non necessariamente sopravvenuti purché mai valutati nel corso del procedimento di prevenzione, stante il carattere di rimedio straordinario dell’istituto che non può, pertanto, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione. |
Il caso e la questione di diritto
Con ordinanza del 30 marzo 2021 la Corte di appello di Caltanissetta aveva rigettato l’istanza di revocazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca di un fabbricato di proprietà degli istanti irrevocabilmente disposta con decreto della Corte di appello di Palermo.
La richiesta di revocazione (proposta ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 159/2011, codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) si fondava sul duplice assunto che:
a) il Tribunale e la Corte di appello avevano ritenuto erroneamente che la parte prevalente delle opere fosse intervenuta in epoca coincidente con quella della pericolosità del proposto, epoca individuata a partire dagli anni 2007-2008;
b) nelle decisioni di merito si era affermato, diversamente da quanto accaduto, che fino al 2006 era stata realizzata solo la struttura portante dell’immobile mentre il completamento che lo aveva reso abitabile era temporalmente collocabile in epoca successiva. |
Per dimostrare l’errore, gli istanti avevano prodotto due aerofotogrammetrie (del 20/8/2006 e del 30/5/2008) ed una consulenza tecnica di parte da cui avrebbe dovuto desumersi la consistenza dell’immobile, adibito ad uso residenziale tra il 1997 ed il 2000 e munito, tra il 2000 ed il 2002, di un portico con un tetto a falde.
Nel rigettare l’istanza, la Corte di appello aveva escluso che si trattasse di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento, aggiungendo che la consulenza tecnica non poteva essere ritenuta una prova nuova ben potendo essere richiesta nell’ambito del relativo giudizio. La Corte aveva anche rilevato che la retrodatazione della realizzazione dell’immobile costituiva specifico motivo di appello ed aveva richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la prova nuova non è quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell’ambito del procedimento di prevenzione, affermando, sotto tale profilo, che non è possibile evocare un qualsiasi elemento favorevole e trasformare, in tal modo, un rimedio straordinario in una non consentita forma di impugnazione tardiva.
In particolare, la Corte di appello aveva affermato che:
a) prova nuova, anche se preesistente, è solo quella scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento;
b) l’istituto di cui all’art. 28, cod. antimafia, va assimilato a quello della revocazione di cui all’art. 395 c.p.c. e non a quello della revisione di cui all’art. 630 c.p.p.; c) quest’ultima disposizione va richiamata solo quanto alle forme che disciplinano il procedimento, poiché il legislatore non ha rinunciato a formulare una casistica autonoma delle ipotesi nelle quali può essere chiesta la revocazione della confisca; d) la necessità della scoperta successiva non implica una mera pregressa dimenticanza, dovendosi scoraggiare i comportamenti negligenti o tattici dell’interessato, laddove solo la forza maggiore potrebbe consentire di attribuire rilievo all’elemento di prova deducibile, ma non dedotto. |
Investita del ricorso per cassazione, la Quinta Sezione penale aveva rilevato un contrasto interpretativo sulla questione dedotta (ambito applicativo dell’art. 28, comma 1, lett. a, cod. antimafia) e con ordinanza n. 4292 del 7 febbraio 2022, aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite.
La giurisprudenza precedente
Un primo orientamento segue un’interpretazione restrittiva del concetto di “novità” della prova, qualificando come “nuove”, e dunque rilevanti ai fini della revoca della confisca, solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione, con l’esclusione di quelle ivi deducibili ma, per qualsiasi motivo, non dedotte. Secondo tale indirizzo interpretativo, l’istituto della revoca del provvedimento applicativo di misure di prevenzione con forza di giudicato costituisce una misura straordinaria, attivabile solo dinanzi all’emergere di una prova “nuova e sconosciuta” nel procedimento di prevenzione, tale da mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata.
In particolare, si ritiene “nuova e sconosciuta” solo quella prova che, nel quadro di un ponderato scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti, si presenta, sul piano sostanziale, come un fattore che determina una decisiva incrinatura del corredo fattuale stesso sulla cui base era intervenuta la decisione e che, sul piano processuale, risulta sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione. Solo in tal modo, secondo questo orientamento, si evita la trasformazione della revocazione in un mezzo attraverso il quale rivalutare elementi già considerati, oppure non valutati in quanto non dedotti, seppure deducibili nell’ambito del procedimento di prevenzione.
All’interno di tale orientamento restrittivo si collocano, inoltre, numerose decisioni che individuano la nozione di novità della prova non solo in quella preesistente e scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, ma anche in quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, con l’esclusione di quella deducibile e non dedotta nell’ambito del procedimento, a meno che – si precisa – non venga allegata dall’interessato l’impossibilità di tempestiva deduzione per la riscontrata sussistenza di ragioni di forza maggiore, dovendosi escludere che chi chieda la revoca (o, attualmente, la revocazione) possa colmare, a seguito di investigazioni difensive, l’insufficienza dell’apparato probatorio a discarico fornito nel procedimento esitato con l’applicazione della misura. Secondo tale impostazione, la revocazione di cui all’art. 28, cod. antimafia, è affine all’istituto di matrice processual-civilistica della revocazione di cui all’art. 395 c.p.c. più che a quello della revisione penale di cui all’art. 630 c.p.p.
Il secondo orientamento mostra, invece, una maggiore apertura al concetto di “novità” della prova, ricollegandovi anche quella preesistente, ma non valutata neanche implicitamente, poiché scoperta dopo che la statuizione sulla confisca è divenuta definitiva. Secondo tale orientamento l’istituto della revocazione è sovrapponibile a quello della revisione penale di cui all’art. 630 c.p.p. postulando in tal modo la possibilità che per prova nuova possa intendersi anche quella che, nemmeno implicitamente, sia stata valutata nel giudizio di merito.
Il Presidente Aggiunto, con decreto del 10 febbraio 2022, aveva assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la sua trattazione l’udienza camerale del 26 maggio 2022.
La decisione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite aderiscono al primo orientamento.
La sentenza ricorda che il previgente assetto normativo delle misure di prevenzione patrimoniali non contemplava il caso della sopravvenienza di elementi di prova decisivi, idonei ad infirmare il giudicato di prevenzione. Prima dell’entrata in vigore del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, l’unico modello normativo di rilievo poteva rinvenirsi nel disposto di cui all’art. 7, comma 2, L. n. 1423/1956, che disciplinava l’istituto della revoca della misura di prevenzione personale, ancorché definitiva, consentendola nella sola ipotesi di cessazione della causa che l’aveva determinata.
La giurisprudenza della Corte di cassazione aveva all’epoca escluso che la lacuna potesse essere colmata per via analogica. Lo aveva autorevolmente affermato Cass. pen., sez. Unite, n. 18/1998, Prisco, secondo cui «[l]’istituto della revisione, così come previsto dagli artt. 629 e seguenti c.p.p., non può operare in via analogica con riguardo ai provvedimenti applicativi di misure di prevenzione adottati ai sensi della L. n. 1423/1956 e successive modificazioni, in quanto l’interesse che dovrebbe essere tutelato dall’istituto della revisione – interesse al riconoscimento dell’insussistenza originaria delle condizioni che legittimano l’adozione del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione – può essere tutelato dall’istituto della revoca previsto dall’art. 7, comma 2, della citata legge». Nell’affermare il predetto principio, la S.C. aveva ritenuto che la revoca della misura di prevenzione disciplinata dall’art. 7, L. n. 1423/1956, cit., abbracciasse sia la revoca con efficacia “ex nunc”, dovuta alla sopravvenuta cessazione di pericolosità del prevenuto, sia quella con efficacia “ex tunc”, resa nei casi di accertamento dell’insussistenza originaria della pericolosità anche per motivi emersi dopo l’applicazione della misura.
Le Sez. Un., Prisco, ricordano le odierne Sezioni Unite, avevano tracciato il solco della legittima attivazione dell’istanza di revoca: la novità degli elementi prospettati a sostegno della richiesta e, qualora fosse stato invocato il difetto genetico dei presupposti applicativi della misura di prevenzione personale, la non necessità che quegli elementi si riferissero ad eventi sopravvenuti alla sua adozione, purché si trattasse, in ogni caso, di circostanze non valutate nel corso del relativo giudizio.
Successivamente, Cass. pen. sez. Unite, n. 57/2007, Auddino, aveva esteso alla misura di prevenzione patrimoniale della confisca l’applicazione dell’art. 7, L. n. 1423/1956, predicandone la revocabilità “ex tunc”, allorché il relativo provvedimento fosse affetto da invalidità genetica e dovesse, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale ingiustificatamente subita.
La previsione del rimedio introdotto dall’art. 28, cod. antimafia, mirava dunque a colmare un vuoto normativo all’origine di rilevanti problemi cui la giurisprudenza, come si è visto, aveva tentato di porre rimedio in via interpretativa con le richiamate decisioni delle Sezioni Unite Pisco e Auddino.
La revocazione della confisca, affermano le Sezioni Unite, rientra nella categoria dei mezzi straordinari di impugnazione, deponendo in tal senso, anzitutto, la sua collocazione normativa, posta all’interno del Capo III del Libro II del codice antimafia e delle misure di prevenzione, ossia di un capo autonomo e distinto da quello che immediatamente lo precede, riservato alle impugnazioni ordinarie; inoltre, esso ha ad oggetto la «decisione definitiva sulla confisca di prevenzione» e mira alla riparazione di un errore giudiziario, tanto che la sua esperibilità è legata alla ricorrenza di un novum probatorio che, se palesato al momento del provvedimento impugnato, avrebbe condotto ad una decisione di segno inverso.
Diversamente dalla revoca di cui all’art. 7, L. n. 1423/1956, concepita dal legislatore quale atto di ritiro del provvedimento ad opera dello stesso giudice che lo aveva emesso, la competenza a provvedere in merito alla revocazione della decisione definitiva sulla confisca è stata attribuita, nelle forme previste dagli artt. 630 ss. c.p.p., “in quanto compatibili”, alla corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 c.p.p., ispirandosi l’istituto al generale modello di riferimento rappresentato dalla revisione della sentenza di condanna. Diversamente dalla revisione delle sentenze di condanna, che ai sensi dell’art. 629 c.p.p., è ammessa “in ogni tempo”, l’istanza di revocazione della confisca è soggetta alla previsione di un termine di decadenza individuato nel decorso di un semestre dalla verificazione di una delle cause espressamente indicate nell’art. 28, comma 1, cod. antimafia, la cui mancata osservanza viene sanzionata con l’inammissibilità dell’istanza.
Pur a fronte delle similitudini con i presupposti giustificativi del rimedio revocatorio del giudicato penale, le Sezioni Unite affermano che la revocazione disciplinata dall’art. 28, cod. antimafia, se ne distacca in misura sensibile in ragione delle diversità sostanziali, strutturali e finalistiche dell’oggetto: una sentenza di condanna, in caso di revisione; un bene confiscato, in caso di revocazione. Nel primo caso (la revisione penale) è in gioco la libertà personale; nel secondo (la revocazione) il diritto di proprietà.
L’interpretazione estensiva della nozione di novità della prova in materia di revisione della condanna penale non può dunque essere automaticamente trasposta nell’area della prevenzione patrimoniale, sino ad abbracciare l’intero ambito di applicazione del diverso istituto della revocazione della confisca.
Forte è anche l’argomento testuale: l’utilizzo del termine “scoperta” [di prove nuove] da un lato non consente di includere nel novum probatorio le prove già acquisite nell’ambito del procedimento di prevenzione, dall’altro rende possibile ricomprendervi le prove preesistenti al procedimento di prevenzione incolpevolmente ignorate. Il che è coerente con la previsione di cui alla lett. b) del medesimo art. 28 che fa riferimento alle sentenze conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione.
Del resto, come detto, la diversità dei valori in gioco (libertà personale e proprietà privata) legittima, nel secondo caso (proprietà privata), una lettura restrittiva dei casi di revocazione non ammessa nel primo, essendo evidente la diversa connotazione che l’esigenza di stabilità della decisione rispettivamente assume nel cd. giudicato di prevenzione e in quello penale. E d’altronde, ricordano le Sezioni Unite, anche la giurisprudenza convenzionale esclude la natura sostanzialmente penale della confisca di prevenzione e ne inquadra l’incidenza limitatrice sul piano del diritto di proprietà, qualificandola come un’azione civile in rem finalizzata al recupero di beni illegittimamente accumulati dal loro titolare (Corte EDU, 13/07/2021, Todorov c. Bulgaria, n. 50705/11).
Ne discende, quale logico corollario, che il regime delle prove preesistenti, siano esse quelle acquisite ma neppure implicitamente valutate, ovvero quelle mai dedotte nel corso del procedimento di prevenzione, presuppone una regola di giudizio diversa, che non può essere pedissequamente ricavata dal sistema di tenuta del giudicato penale.
Nel giudizio di revisione, infatti, l’acquisizione anche di una sola prova può giustificare la rimozione del giudicato di condanna, se la stessa risulti idonea, di per sé ovvero unitamente a quelle già valutate, a far sorgere almeno un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del condannato. La prova nuova, pertanto, deve condurre all’accertamento, in termini di ragionevole sicurezza, di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
Nel procedimento di revocazione, al contrario, la valutazione relativa alla decisività della nuova prova si assesta su una soglia più avanzata, poiché la stessa può essere apprezzata, attesa la connotazione finalistica che deve orientarne la richiesta per effetto della previsione di cui all’art. 28, comma 2, cod. antimafia, solo nella prospettiva della sua stretta correlazione all’accertamento di un vizio genetico del provvedimento definitivo, ossia di un difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura patrimoniale. Anche la previsione di uno stretto termine decadenziale (sei mesi dalla data in cui si verifica “la scoperta”) è strutturalmente incompatibile con il caso di una prova introdotta nel procedimento, ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutata, dal momento che, in siffatta evenienza, sarebbe impossibile individuare il “dies ad quem” da cui far scattare l’operatività del termine.
Nel disegno emergente dalla riforma del 2011, pertanto, la revocazione della confisca si discosta sia dall’istituto, pur affine, della revisione della condanna penale, sia dall’antecedente storico rappresentato dall’introduzione per via giurisprudenziale della revoca in funzione di revisione, in forza del decisivo profilo inerente alla tassativa previsione di un limite di ordine temporale ai fini della rivedibilità di una decisione che, in tesi, potrebbe parimenti costituire il frutto di un errore giudiziario, in ragione della preminenza discrezionalmente accordata dal legislatore al valore della certezza dei rapporti giudici insorgenti dal provvedimento definitivo di confisca.
Ne consegue che la revocazione della confisca di prevenzione può ritenersi legittimata dalle sole prove che siano ad essa sopravvenute (nel senso della loro materiale formazione), ovvero da quelle decisive che vengano incolpevolmente scoperte dopo che la misura sia divenuta definitiva (essendo, pertanto, originariamente preesistenti). Non rilevano, pertanto, le prove deducibili ma non dedotte nell’ambito del procedimento di prevenzione.
Le prove nuove che rendono ammissibile il rimedio straordinario sono quelle formate dopo la conclusione del procedimento di prevenzione, ovvero quelle che non è stato possibile dedurre, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli all’epoca incolpevolmente sconosciuti, e non anche quelle che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza o un particolare significato dopo la sua conclusione, anche semplicemente sulla base dell’esperimento delle corrispondenti iniziative difensive.
La necessità di una successiva “scoperta” implica, pertanto, la incompatibilità di tale situazione con un precedente comportamento privo dell’ordinaria diligenza da parte dell’interessato, o con un suo atteggiamento meramente omissivo, ai fini della puntuale allegazione di elementi di prova nell’ambito del procedimento di prevenzione concluso con il provvedimento di cui, in seguito, si chiede la revocazione. In altri termini, se, per un verso, deve escludersi che il legislatore abbia inteso attribuire rilievo alle prove acquisite ma non valutate, per altro verso deve ritenersi che quelle deducibili, ma non dedotte, possano supportare una richiesta di revocazione solo quando l’interessato adduca l’impossibilità di provvedere altrimenti per la riscontrata sussistenza di una “causa a lui non imputabile”, secondo la previsione espressamente dettata nell’art. 28, comma 3, d.lgs. cit.
Le Sezioni Unite richiamano, ai fini della verifica in ordine alle circostanze della successiva, incolpevole, scoperta di una prova preesistente, ovvero della corretta perimetrazione dei limiti di deducibilità della prova nell’ambito del procedimento di prevenzione, le tradizionali nozioni di caso fortuito (ossia ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo) e di forza maggiore (intesa come fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, per tale ragione, è irresistibile), secondo i principi al riguardo stabiliti dalla stessa Corte di cassazione (Cass. pen. sez. Unite, n. 14991/2006, De Pascalis), che attribuisce al caso fortuito la caratteristica della “imprevedibilità”, individuando invece la nota distintiva della forza maggiore nell’elemento della “irresistibilità”.
Per sua stessa definizione, infatti, la forza maggiore integra una situazione che, da un lato, non deve essere imputabile in nessuna maniera all’agente, dall’altro lato deve presentare un carattere assoluto, cioè non vincibile né in alcun modo superabile. E tale non può affatto considerarsi quella situazione che, con una normale manifestazione di impegno e diligenza, avrebbe potuto essere altrimenti superata.
Grava, comunque, sul richiedente che adduca un’ipotesi di forza maggiore l’onere di provare un impedimento assoluto, ossia tale da rendere vano ogni sforzo umano, che derivi da cause esterne a lui non imputabili. Connotazione comune ad entrambe le nozioni è rappresentata, in ogni caso, dalla “inevitabilità” del fatto, dovendo trattarsi di situazioni oggettivamente non riconducibili a comportamenti posti in essere dal soggetto interessato, salva l’ipotesi in cui questi risultino condizionati da fattori esterni in termini assoluti.
Alla fondatezza di tale soluzione ermeneutica non può validamente opporsi, secondo le Sezioni Unite, l’argomento basato sui pretesi effetti negativi della attuale delimitazione normativa dell’ambito di ricorribilità per cassazione del provvedimento di confisca, sul rilievo che, ai sensi dell’art. 10, cod. antimafia, il sindacato di legittimità è ammesso solo per violazione di legge, sicché la possibilità di un pieno controllo sul giudizio rischierebbe di rimanere pregiudicata dall’omessa completa valutazione di elementi di prova pur esistenti, ma non esaminati o, comunque, incongruamente vagliati dal giudice di merito.
Un rischio, questo, da escludere, ove si consideri che, ai fini della perimetrazione dei vizi censurabili in sede di legittimità, nella nozione di violazione di legge viene ricompresa anche la motivazione inesistente o meramente apparente (Cass. sez. Unite, n. 33451/2014, Repaci), che ricorre quando il provvedimento impugnato omette del tutto di confrontarsi con la prospettazione di un elemento potenzialmente decisivo, il quale, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio.
Di qui l’affermazione del principio di diritto sopraindicato, in applicazione del quale i ricorsi sono stati rigettati sul rilievo che il tema di prova era stato già introdotto nel corso del procedimento di prevenzione e che le prove addotte erano tutte preesistenti alla formazione del giudicato che si intendeva superare attraverso l’istanza di revocazione. Tali prove, infatti, erano nella diretta disponibilità dei ricorrenti (nel caso della documentazione attinente al contratto di fornitura di energia elettrica) o avrebbero potuto esserlo con un comportamento improntato all’ordinaria diligenza, ossia presentando nel corso del procedimento di prevenzione le medesime richieste che avevano portato all’acquisizione dei rilievi aerofotogrammetrici successivamente prodotti solo con l’istanza di revocazione.
Riferimenti normativi: