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Inappellabile la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria anche se erroneamente inflitta

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Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il tribunale, nel condannare un imputato, gli aveva inflitto la pena pecuniaria dell’ammenda, senza irrogare anche la congiunta pena dell’arresto, prevista ex lege, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 13 dicembre 2022, n. 47031 – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui tale errore solo in apparenza era a vantaggio del reo, in quanto gli preclude la possibilità di adire la Corte di appello e, pertanto, di godere di due gradi di giudizi di merito – nel registrare l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, ha aderito all’orientamento secondo cui è inappellabile la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se erroneamente inflitta.

Cassazione penale, Sez. III, sentenza 13 dicembre 2022, n. 47031

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. IV, 01/04/2014, n. 15041

Cass. pen. sez. IV, 26/04/2013, n. 18654

Difformi Cass. pen. sez. III, ord. 24/11/2017, n. 53430

Cass. pen. sez. IV, 05/03/2013, n. 10252

Cass. pen. sez. IV, ord. 27/01/2016, n. 3622

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 593, c.p.p., sotto la rubrica «Casi di appello», prevede che “1. Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, l’imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

  1. Il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di proscioglimento. L’imputato può appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso.
  2. Sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda e le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa”.

Sulla questione dell’appellabilità della sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se erroneamente inflitta, si registra un contrasto di giurisprudenza. Infatti, secondo un primo orientamento, il limite della inappellabilità di cui all’art. 593, comma 3, c.p.p. non opera in relazione ai reati puniti con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda per i quali il giudice abbia erroneamente applicato la sola pena dell’ammenda, posto che l’illegittima applicazione della pena non può precludere al condannato l’accesso ad un grado di giudizio (Cass. pen. sez. III, ord. 24/11/2017, n. 53430; Cass. pen. sez. IV, 05/03/2013, n. 10252; Cass. pen. sez. IV, ord. 27/01/2016, n. 3622, nella quale è precisato che l’eventuale ricorso per cassazione va convertito in atto di gravame di fronte alla Corte di appello).

Secondo un diverso orientamento, invece, ancorché più risalente nel tempo, è inappellabile la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se erroneamente inflitta (Cass. pen. sez. IV, 01/04/2014, n. 15041; Cass. pen. sez. IV, 26/04/2013, n. 18654). Tale ultimo orientamento, a ben vedere, risulta tuttavia essere più aderente alla lettera della legge; ciò tanto più se si considera che questa è stata di recente oggetto di un intervento di interpolazione, il quale ha reso indubbiamente non più praticabile la indicazione giurisprudenziale indirizzata nel senso della appellabilità di una sentenza avente le caratteristiche predette. Invero, per effetto della entrata in vigore dell’art. 2, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 11/2018, nel testo del citato comma 3 dell’art. 593 c.p.p. è stata inserita fra le parole “sono inappellabili” l’espressione “in ogni caso”; una tale clausola appare esprimere, in termini di assolutezza e tassatività, la inevitabilità della inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria, e ciò, si ritiene ora, anche laddove tale condanna sia il frutto di un errore del giudicante, trattandosi di reato punito con la pena congiunta anche detentiva (o, deve ritenersi, sebbene l’ipotesi appaia quasi di scuola, con la sola pena detentiva).

Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale aveva dichiarato la penale responsabilità di un imputato in relazione al reato di cui agli artt. 13, comma 1, e 30 della L. n. 394/1991, in quanto lo stesso era stato sorpreso, secondo il capo di imputazione, nell’attività di raccolta di funghi epigei in assenza di previa autorizzazione in un terreno ricadente nella Zona “A” di riserva integrale di un Parco Nazionale, all’interno della quale è vietata, laddove non si sia stati espressamente autorizzati, la realizzazione di qualunque intervento, impianto od opera. Per tale ragione il Tribunale lo aveva condannato, concesse allo stesso le circostanze attenuanti generiche, alla pena, sospesa e non aggetto di menzione, di euro 500,00 di ammenda.

Contro la sentenza aveva proposto ricorso per cassazione l’imputato, dolendosi del fatto che il tribunale gli aveva irrogato la sola pena pecuniaria; invero le disposizioni in ipotesi violate individuano come sanzione l’arresto fino a 12 mesi e con l’ammenda da euro 103 ad euro 25.822, mentre il Tribunale aveva applicato a carico dell’imputato la sola pena pecuniaria; tale errore, osservava la difesa, era solo in apparenza a vantaggio del reo, in quanto, per effetto di quanto previsto dall’art. 593, comma 3, c.p.p., gli ha precluso la possibilità di adire la Corte di appello e, pertanto, di godere di due gradi di giudizi di merito, potendo impugnare la sentenza di primo grado solo con lo strumento, il cui spettro operativo è limitato ai soli motivi di legittimità, del ricorso per cassazione.

La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui in massima, propendendo per l’orientamento che ritiene inappellabile, in consimili ipotesi, la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria anche se inflitta per errore.

In particolare, ha rilevato la S.C. che da tale errore lo stesso ne aveva tratto solo vantaggio (fattore che ne escludeva l’interesse ad impugnare sul punto la decisione emessa a suo carico), posto, per un verso, che la pena cui lo stesso era stato assoggettato era comunque meno afflittiva di quella che sarebbe scaturita dalla corretta applicazione normativa (è infatti jus receptum che la pena pecuniaria sia in ogni caso più mite di quella detentiva) e, per altro verso, che lo stesso non era stato privato della possibilità di impugnare in sede di merito il giudizio formulato a suo carico, atteso che di siffatta possibilità egli, dato il tipo di sanzione disposta, non avrebbe comunque potuto godere.

La riprova della correttezza del ragionamento ora esposto, per la Cassazione, si ottiene laddove si osservi che a seguire il ragionamento del reo in ordine alla illegittimità della sentenza impugnata, si giungerebbe non solo a risultati processualmente singolari ma neppure appaganti rispetto alla dichiarata esigenza per l’imputato di giovarsi del doppio grado di giudizio di merito.

Deve, invero, rilevarsi, secondo la S.C., che, stante la ritenuta inappellabilità̀ della sentenza, l’eventuale accoglimento del suo ricorso comporterebbe la regressione del giudizio di fronte allo stesso Tribunale che ha emanato la sentenza impugnata, di fronte al quale non si celebrerebbe, pertanto, un giudizio di gravame ma un “nuovo” giudizio di primo grado il cui esito sarebbe, peraltro, pesantemente condizionato, stante il divieto di reformatio in pejus, dalla esistenza di una precedente decisione, non oggetto di impugnazione da parte della pubblica accusa, che limiterebbe, in caso di ribadita affermazione della penale responsabilità, l’ambito sanzionatorio percorribile dal Tribunale, il quale si vedrebbe costretto ad adottare ex novo una sentenza applicativa della sola pena pecuniaria, innescando in tal modo, in via ipotetica, un vero e proprio circulus inextricabilis, posto che tale seconda sentenza, presentando il medesimo vizio che affettava la precedente, sarebbe, a sua volta suscettibile di annullamento, senza mai che sia possibile celebrare un vero e proprio giudizio di gravame.

Cosa diversa, ha accennato di sfuggita e per mera completezza la Cassazione, sarebbe avvenuta laddove l’impugnazione avente ad oggetto l’erronea irrogazione della sola pena pecuniaria fosse stata presentata dalla pubblica accusa, atteso che in una tale caso, non operando il limite del divieto della reformatio in pejus, il giudice di primo grado avrebbe potuto ricondurre a giustizia la sanzione irrogata, rendendo virtuoso, trattandosi di decisione questa volta fisiologicamente appellabile dal condannato, l’altrimenti vizioso circolo innescato dall’eventuale accoglimento sul punto dell’impugnazione proposta dall’imputato.

Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 593 c.p.p.

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