Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di maltrattamenti (art. 572, c.p.), rideterminando la pena per il residuo reato di atti persecutori (art. 612-bis, c.p.), la Corte di Cassazione penale, Sez. V, con la sentenza 14 dicembre 2022, n. 47328 – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui non era applicabile l’art. 612-bis, comma 4, c.p., essendo intervenuta da parte della persona offesa remissione della querela originariamente proposta – ha affermato il principio secondo cui, laddove il fatto qualificato in termini di atti persecutori sia connesso con altro delitto perseguibile d’ufficio, la perseguibilità a querela di parte cede il campo di fronte all’esigenza di assicurare un comune regime all’esercizio dell’azione penale, facendo prevalere l’interesse punitivo dello Stato alla persecuzione del delitto connesso ad altro delitto perseguibile d’ufficio, che viene, in tal modo, sottratta alla sfera di disponibilità delle parti private.
Cassazione penale, Sez. V, sentenza 14 dicembre 2022, n. 47328
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen., Sez. I, 24/6/2014, n. 32787 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 612-bis, c.p. sotto la rubrica «Atti persecutori» punisce “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi, la condotta di chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Per quanto qui di interesse, con riferimento al tema della procedibilità, la norma stabilisce che il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, comma 2 c.p. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
Vi è poi una ulteriore ipotesi di procedibilità d’ufficio, collegata alla previsione della procedura di ammonimento, introdotta dall’art. 8, D.L. 23/2/2009, n. 11, convertito dalla L. 23/4/2009, n. 38. In particolare, fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’art. 612-bis (dunque, la procedura non sembra ammissibile nel caso in cui il reato sia procedibile d’ufficio: Pistorelli, Il reato di “stalking” e le altre modifiche al codice penale nel D.L. n. 11/2009 conv. in l. n. 38/2009, in www.penale.it, 8), la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore, il quale, assunte, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale, copia del quale è rilasciata al richiedente l’ammonimento ed al soggetto ammonito. Il questore valuta anche l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni (Bricchetti, Pistorelli, Entra nel codice la molestia reiterata, in Gdir, 2009, 10, 69).
In relazione al profilo da ultimo richiamato, occorre segnalare che il D.L. 14/8/2013, n. 93, convertito in L. 15/10/2013, n. 119, ha ora reso obbligatoria l’adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni (art. 1, comma 4, D.L. 14/8/2013, n. 93). In conseguenza dell’intervenuto ammonimento, la pena per il delitto di cui all’art. 612-bis è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito e si procede d’ufficio per tale delitto quando il fatto è commesso da soggetto ammonito. Sembra che, in tali casi, la condotta debba riguardare i medesimi fatti per i quali era intervenuto l’ammonimento (Pistorelli, Il reato di “stalking”, 8), commessi nei confronti della medesima vittima (Pistorelli, Il reato di “stalking”, 8 ss.).
Con particolare riferimento alla connessione, si è precisato che essa si ravvisa non solo quando ricorrono le ipotesi di cui all’art. 12 c.p.p. ma anche quando vi è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l’indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’art. 371 c.p.p., e purché le indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio siano state effettivamente avviate (Cass. pen., Sez. V, 14/12/2017, n. 55807; Cass. pen., Sez. V, 31/8/2017, n. 39758; Cass. pen., Sez. I, 23/7/2014, n. 32787; Cass. pen., Sez. V, 28/3/2013, n. 14692; v. anche Cass. pen., Sez. V, 2/11/2017, n. 50088). Ad esempio, è procedibile d’ufficio il reato di atti persecutori connesso con il delitto di lesioni anche nel caso in cui la procedibilità d’ufficio di quest’ultimo sia determinata dal ricorrere dell’aggravante di cui all’art. 576, comma 1, n. 5.1, per essere stato commesso il fatto da parte dell’autore del reato di atti persecutori nei confronti della medesima persona offesa (Cass. pen., Sez. V, 17/3/2016, n. 11409). Inoltre, la circostanza aggravante di cui all’art. 576, comma 1, n. 5.1, è configurabile nel caso di improcedibilità del reato di atti persecutori per mancanza di querela ed anche in assenza di una precedente condanna dell’imputato per detto reato (Cass. pen., Sez. I, 1/2/2016, n. 4133).
Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale, aveva condannato un uomo alla pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati exartt. 572 e 612-bis, c.p., dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato, in ordine al delitto exart. 572, c.p., perché estinto per prescrizione, con conseguente rideterminazione dell’entità del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole a quest’ultimo, confermando, nel resto la sentenza impugnata.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa ne sosteneva l’erroneità, con riferimento all’art. 612-bis, comma 4, c.p., che prevede la perseguibilità d’ufficio del delitto per cui si procede, quando sia connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio (nel caso in esame quello di cui all’art. 572, c.p.), disposizione, ad avviso della difesa, tuttavia, non applicabile alla fattispecie in esame, essendo intervenuta da parte della persona offesa remissione della querela originariamente proposta.
La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra, in particolare richiamando la giurisprudenza di legittimità che ha interpretato tale disposizione nel senso che il delitto di atti persecutori è procedibile d’ufficio se ricorre l’ipotesi di connessione prevista nell’ultimo comma dell’art. 612-bis, c.p., la quale si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale (art. 12, c.p.p.), ma anche quando vi è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l’indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’art. 371, c.p.p., e purché le indagini in ordine al reato perseguibile d’ufficio siano state effettivamente avviate (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. I, n. 32787 del 24/6/2014, CED Cass. 261429).
Stante l’assoluta chiarezza del dettato normativo, tale da non richiedere un particolare sforzo esegetico nella ricostruzione del significato della norma, se ne deduce per la S.C., che, nel caso in cui il fatto qualificato in termini di atti persecutori sia connesso con altro delitto perseguibile d’ufficio, la perseguibilità a querela di parte cede il campo di fronte all’esigenza di assicurare un comune regime all’esercizio dell’azione penale, facendo prevalere l’interesse punitivo dello Stato alla persecuzione del delitto connesso ad altro delitto perseguibile d’ufficio, che viene, in tal modo, sottratta alla sfera di disponibilità delle parti private. Se ciò è vero, come è vero, devono allora ritenersi del tutto indifferenti per la Cassazione, ai fini della procedibilità, le vicende tipiche della querela, sicché poco importa se siffatta condizione di procedibilità sia assente ab origine ovvero sia venuta meno successivamente per effetto di rimessione, in quanto, nell’una come nell’altra ipotesi, la connessione del reato di cui all’art. 612-bis, c.p., con altro reato perseguibile d’ufficio (nel caso dell’imputato, si trattava del delitto di cui all’art. 572, c.p.), sottrae l’esercizio dell’azione penale al potere dispositivo delle parti private. Né la perseguibilità d’ufficio per effetto della connessione viene meno nel caso in cui il reato connesso procedibile di ufficio si sia estinto per prescrizione, come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di reati sessuali (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, n. 30938 del 19/4/2019, CED Cass. 276552; Cass. pen., Sez. III, n. 17846 del 19/3/2009, CED Cass. 243760).
Da qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.
Riferimenti normativi: