Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva respinto l’istanza proposta avverso l’ordinanza custodiale in carcere nell’interesse di un soggetto, indagato per una pluralità di furti (aventi ad oggetto un furgone, una vettura nonché calzature griffate per 150.000 euro), la Corte di Cassazione penale, Sez. IV, con la sentenza 14 dicembre 2022, n. 47192 – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui il GIP avrebbe errato nel ritenere utilizzabili i risultati delle intercettazioni disposte nel procedimento, nel corso del quale era stata emessa la misura cautelare, con contestuale declaratoria d’incompetenza, da parte del GIP nel diverso procedimento in seno al quale era stata emessa, ex art. 27 c.p.p., la misura cautelare dal GIP individuato come competente – ha affermato il principio secondo cui non si versa in ipotesi di «procedimento diverso» ex art. 270 c.p.p. nel caso in cui si tratti di risultati di intercettazioni disposte in un procedimento instaurato in relazione a reato per il quale l’autorizzazione era stata ab origine disposta e ad essa sia seguito lo stralcio ex art. 22 c.p.p., trattandosi, piuttosto, di esiti di intercettazioni relative a reato per il quale l’autorizzazione era stata ab origine disposta.
Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 14 dicembre 2022, n. 47192
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen., Sez. Un., 28/11/2019, n. 51, dep. 2020 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 270, c.p.p., sotto la rubrica «Utilizzazione in altri procedimenti», prevede che “1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza [c.p.p. 380] e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1.
1-bis. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’articolo 266, comma 2-bis.
- Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l’autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell’articolo 268, commi 6, 7 e 8.
- Il pubblico ministero e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate”.
Per quanto qui di interesse, si è posto il problema di cosa debba intendersi per diverso procedimento: si tratta invero di un’espressione “a prima vista piana e lineare”, che tuttavia si rivela problematica al momento di definirne la portata (Camon, Art. 270, in Comm. Conso, Grevi, Padova, 2005, 810). Fin dalle più risalenti pronunce, i profili essenziali dell’orientamento sono stati messi a fuoco dalla giurisprudenza di legittimità nei seguenti termini.
La nozione di «procedimento diverso» non coincide con quella di «diverso reato» essendo la prima più ampia della seconda (ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, n. 1972 del 16/5/1997, CED Cass. 210044; Cass. pen., Sez. II, n. 9579 del 19/1/2004, CED Cass. 228384; Cass. pen., Sez. IV, n. 7320 del 19/1/2010, CED Cass. 246697; più di recente, Cass. pen., Sez. III, n. 52503 del 23/9/2014, CED Cass. 261971; Cass. pen., Sez. II, n. 43434 del 5/7/2013, CED Cass. 257834).
La detta nozione non è stata altresì ritenuta ricollegata a un dato di ordine meramente formale, quale il numero di iscrizione nell’apposito registro della notizia di reato (ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, n. 1972/1997, cit.; Cass. pen., Sez. I, n. 46075 del 4/11/2004, CED Cass. 230505; Cass. pen., Sez. II, n. 7595 del 3/2/2006; Cass. pen., Sez. III, n. 29473 del 9/5/2012, CED Cass. 253161; più di recente, Cass. pen., Sez. II, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, CED Cass. 258591; Cass. pen., Sez. II, n. 27473 del 29/5/2014), posto che la formale unità dei procedimenti, sotto un unico numero di registro generale, non può fungere da schermo per l’utilizzabilità indiscriminata delle intercettazioni, facendo convivere tra di loro procedimenti privi di collegamento reale (Cass. pen., Sez. III, n. 33598 del 8/4/2015).
Decisivo è stato invece ritenuto il riferimento al contenuto della notizia di reato, ossia al fatto-reato in relazione al quale il Pubblico Ministero e la polizia giudiziaria svolgono le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, n. 5192 del 25/2/1997, CED Cass. 209306; Cass. pen., Sez. III, n. 29856/2018, CED Cass. 275389). Il legame tra la notizia di reato in relazione alla quale è stata autorizzata l’intercettazione e quella emersa dai risultati dell’intercettazione che, se riconosciuto, esclude la diversità dei procedimenti e, con essa, il divieto di utilizzazione di cui all’art. 270, comma 1, c.p.p., è stato altresì delineato facendo riferimento ad indagini strettamente connesse e collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato alla cui definizione il mezzo di ricerca della prova è stato autorizzato (ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, n. 2135 del 10/5/1994, CED Cass. 199917; Cass. pen., Sez. III, n. 1208 del 14/4/1998, CED Cass. 210950; Cass. pen., Sez. I, n. 2930 del 17/12/2002, dep. 2003, CED Cass. 223170; Cass. pen., Sez. III, n. 348 del 13/11/2007, dep. 2008, CED Cass. 238779; Cass. pen., Sez. VI, n. 11472 del 2/12/2009, dep. 2010, CED Cass. 246524; più di recente, Cass. pen., Sez. VI, n. 46244 del 15/11/2012, CED Cass. 254285; Cass. pen., Sez. VI, n. 20910 del 15/3/2012, CED Cass. 252863; Cass. pen., Sez. V, n. 26693 del 20/1/2015, CED Cass. 264001; Cass. pen., Sez. V, n. 32779 del 10/5/2016; Cass. pen., Sez. III, n. 28516 del 28/2/2018, CED Cass. 273226; nonché Cass. pen., Sez. IV, n. 7320/2010, cit.; Cass. pen., Sez. II, n. 19730 del 1/4/2015, CED Cass. 263527, che, peraltro, richiamano anche il principio di diritto proprio del terzo orientamento).
Non potendosi difatti risolvere il detto legame nell’esistenza di un collegamento meramente fattuale ed occasionale (Cass. pen., Sez. III, n. 2608 del 5/11/2015, dep. 2016, CED Cass. 266423), ma essendo necessaria la sussistenza di una connessione ex art. 12 c.p.p. o di un collegamento ex art. 371, comma 2, lett. b) e c), sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, n. 6702 del 16/12/2014, dep. 2015, CED Cass. 262496; Cass. pen., Sez. III, n. 33598 del 8/4/2015).
A questo orientamento ha aderito Cass. pen., Sez. Un., n. 32697 del 26/06/2014 (che affrontò il tema qui di interesse in via pregiudiziale rispetto alla questione relativa alle condizioni per ritenere l’intercettazione utilizzabile in quanto corpo del reato, ma non esaminò i vari indirizzi formatisi sulla questione controversa oggetto della sentenza in commento, né collocò la stessa nel quadro costituzionale di riferimento). Nel predetto solco interpretativo si è poi posta Cass. pen., Sez. Un., n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, che ha difatti chiarito che «Alla luce della nozione di “procedimenti diversi” delineata, deve pertanto concludersi che – ferma restando l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non rientrano nella sfera del divieto di cui all’art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate solo i reati, accertati in virtù dei risultati delle intercettazioni, connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta: quando hanno ad oggetto reati connessi, i procedimenti non sono “diversi” a norma dell’art. 270 c.p.p.».
Successivamente, Cass. pen., Sez. VI, n. 23148 del 20/1/2021, CED Cass. 281501, nel fare riferimento alla citata sentenza «Cavallo», ha evidenziato che il principio secondo cui l’utilizzabilità delle intercettazioni per un reato diverso, connesso con quello per il quale l’autorizzazione sia stata concessa, è subordinata alla condizione che il nuovo reato rientri nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 c.p.p., non si applica ai casi in cui lo stesso fatto-reato per il quale l’autorizzazione è stata concessa sia diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni. In tale evenienza, ha precisato la sentenza da ultimo richiamata, non vi è elusione del divieto di cui all’art. 270 c.p.p., attese l’intervenuta legittima autorizzazione dell’intercettazione e la modifica dell’addebito solo per sopravvenuti fisiologici motivi, legati alla naturale evoluzione del procedimento.
Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale del riesame aveva confermato l’ordinanza con la quale il GIP aveva applicato a carico di un soggetto la misura della custodia cautelare in carcere per una pluralità di furti (aventi ad oggetto un furgone, una vettura nonché calzature griffate per 150.000 euro). Con riferimento alla sua posizione però, il GIP originariamente investito della richiesta, non ravvisando gravità indiziaria anche in merito alla fattispecie di cui all’art. 416 c.p. invece ascritta in capo ad altri indagati, aveva emesso ordinanza cautelare contestualmente dichiarandosi territorialmente incompetente ex art. 22 c.p.p. All’esito, ex artt. 27 e 291 c.p.p., il competente GIP del Tribunale aveva quindi provveduto all’emanazione nei confronti dell’indagato della nuova misura cautelare, per gli stessi fatti di cui alla precedente ordinanza ed utilizzando anche gli elementi emergenti dalle indicate indagini tecniche. Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell’indagato ne contestava l’erroneità per aver ritenuto utilizzabili i risultati delle intercettazioni disposte nel procedimento nel corso del quale era stata emessa la misura cautelare con contestuale declaratoria d’incompetenza, da parte del primo GIP, nel diverso procedimento in seno al quale era stata emessa, ex art. 27 c.p.p., la misura cautelare dal GIP dichiaratosi successivamente competente.
La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra, in particolare richiamando in ragione della nozione sostanzialistica di «procedimenti diversi», di cui all’art. 270, c.p.p., già oggetto della tesi maggioritaria in sede di legittimità e successivamente convalidato e specificato dalle richiamate Sez. Un., Cavallo.
Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso.
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