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Maltrattamenti in famiglia o stalking dopo la cessazione della convivenza?

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Reati contro la persona

Reati contro la persona

Maltrattamenti in famiglia o stalking dopo la cessazione della convivenza?

mercoledì 28 dicembre 2022

di Cavallo Laura Piera Avvocato in Torino

Durante la convivenza le condotte dell’agente si qualificano come maltrattamenti ex art. 572 c.p. Cessata la convivenza o un rapporto di prossimità assimilabile, si rientra nella fattispecie di cui all’art. 612 bis. c.p. (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 30 novembre 2022, n. 45520).

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 30 novembre 2022, n. 45520

La Corte d’Appello di Sassari confermava la penale responsabilità dell’imputato per il reato di maltrattamenti in famiglia, riferibili al periodo in cui la coppia non viveva più more uxorio. L’imputato del ricorrente avanzava tre distinti motivi di ricorso. In base al primo, la difesa sosteneva di non aver mai ricevuto la notifica del procedimento in esame; in base al secondo motivo non sarebbero state adeguatamente valutate le relazioni dei servizi sociali; così che si sarebbe dato credito esclusivamente alla persona offesa e ai suoi dichiarati, ma ciò non sarebbe stato sufficiente in quanto la persona offesa si era costituita parte civile e quindi  portatrice di un interesse patrimoniale personale, inoltre non sarebbero state riscontrate modifiche nelle abitudini della persona offesa, il che sarebbe incompatibile con la natura del reato in questione; col terzo motivo si deduce vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e alla quantificazione della pena.

La Corte dichiara il ricorso fondato ma per un motivo diverso da quello dedotto dal ricorrente.

Risolve giuridicamente i tre motivi proposti affermando che, quanto alla pretesa mancanza di notifica all’imputato, in realtà vi è prova della conoscenza del procedimento, il secondo introdurrebbe una rivalutazione del merito, il terzo è inammissibile in quanto in sede di appello era stata dichiarata la prescrizione dell’art. 570 c.p. originariamente posto in continuazione con il 572 c.p., e il giudice aveva rideterminato la pena per quest’ultima fattispecie: in appello non era stato oggetto di impugnazione la quantificazione della pena, né il riconoscimento delle attenuanti generiche, sicché è precluso il ricorso in Cassazione.

Proseguendo sulle motivazioni della Corte, si consideri che nonostante l’infondatezza dei motivi, la Cassazione rileva d’ufficio la erronea qualificazione giuridica del fatto per cui si procede.

La Corte dà atto che le condotte erano cominciate durante la convivenza more uxorio e proseguite anche dopo, quando la coppia non viveva più insieme. La diversa eventuale qualificazione giuridica delle condotte dell’agente era già stata analizzata in sede di appello e risolta nel senso di prediligere la qualificazione ex art. 572 c.p. in quanto l’orientamento giurisprudenziale era aderente a quello secondo il quale anche in assenza dell’elemento della attualità della convivenza, la condotta dovesse comunque rientrare nei maltrattamenti e non negli atti persecutori.

La questione viene tuttavia rivalutata dalla Cassazione alla luce del nuovo e opposto orientamento. Cioè, spiega la Cassazione, la Corte d’Appello ha aderito alla ricostruzione secondo la quale si può configurare la fattispecie di maltrattamenti in famiglia anche quando è cessata la convivenza more uxorio; mentre sarebbe stato più appropriato individuare la fattispecie di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. laddove i due soggetti ormai svincolati da una relazione, non condividono più nemmeno un’aspettativa di solidarietà “non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale” . Cioè, le condotte dell’agente poste in essere dopo la cessazione della convivenza ipotizzano più precisamente la fattispecie degli atti persecutori, in quanto viene meno la comunanza di vita e affetti, nonché il “rapporto di reciproco affidamento che giustifica la configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 572 c.p.

La Cassazione nella parte motiva afferma come sia più condivisibile questa impostazione, in quanto anche maggiormente in linea logica con la maggiore severità sanzionatoria dei maltrattamenti, in quanto perpetrati “in famiglia”, o comunque in ambienti ad essa paragonabile. A rafforzo di tale considerazione richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 98/2021 che affronta incidentalmente il tema della qualificazione giuridica delle due fattispecie. La Corte costituzionale affronta la questione della significanza di “famiglia”, “convivenza”, ponendo attenzione rispetto all’estensione analogica in malam partem, così escludendo che si possano riportare nell’art. 572 c.p. le condotte dei soggetti ai quali non sia imputabile una relazione “attuale e privilegiata con l’autore dell’illecito”.

Va dunque valorizzato il dato normativo, e il dato normativo dell’art. 572 c.p. richiede una relazione tra conviventi: i due soggetti, autore e vittima, devono avere una relazione in corso, non cessata. Laddove, invece, il legislatore ha voluto fare riferimento a rapporti di natura affettiva cessati, lo ha fatto chiaramente: nella fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p. è prevista proprio una specifica aggravante per l’ipotesi di chi “è o è stata legata da relazione affettiva” alla vittima del reato.

Il che è in perfetta logica col valore rafforzativo della tutela penale nell’ipotesi dell’art. 572 c.p., laddove vittima e agente sono in un rapporto di prossimità, di “vicinanza”.

Riferimenti normativi:

Art. 572 c.p.

Art. 612-bis c.p.

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