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Intercettazioni: viola la CEDU il decreto che le autorizza senza adeguata motivazione

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Intercettazioni: viola la CEDU il decreto che le autorizza senza adeguata motivazione
giovedì 26 gennaio 2023
di Scarcella Alessio Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
Pronunciandosi su un caso “slovacco” in cui si discuteva della legittimità di un provvedimento di autorizzazione all’esecuzione delle operazioni di intercettazione telefonica, la Corte EDU ha ritenuto, all’unanimità, violato sia l’articolo 8 della Convenzione che dell’articolo 13 in combinato disposto con l’art. 8 della Convenzione EDU. Il caso riguardava l’intercettazione eseguita nel 2004, nel corso di un procedimento penale riguardante il secondo ricorrente, disposta sul numero telefonico mobile che era intestato al primo ricorrente ma che, secondo le autorità, veniva utilizzata dal secondo ricorrente. Le operazioni di intercettazione erano state autorizzate con un provvedimento del tribunale ed eseguite dalla competente forza di polizia. Il caso si concentrava sulla motivazione del provvedimento autorizzativo da parte del giudice che lo aveva emesso e involgeva il tema dell’equità del conseguente procedimento dinanzi alla Corte costituzionale, sollevando questioni principalmente ai sensi dell’articolo 35 § 1 (efficacia ed esaurimento delle vie di ricorso interne), dell’articolo 6 (processo in contraddittorio), dell’articolo 8 (vita privata e corrispondenza) e dell’art. 13 (ricorso effettivo) della Convenzione. In relazione all’affermazione dei ricorrenti secondo cui la linea di telefonia mobile era stata utilizzata anche dal primo ricorrente, il ricorso comportava anche l’esame della questione della sua posizione, in particolare in relazione alle doglianze di cui agli articoli 8 e 13 della Convenzione (Corte EDU, Sez. I, sentenza 12 gennaio 2023, n. 7286/16).
Corte EDU, Sez. I, sentenza 12 gennaio 2023, n. 7286/16
Il caso
Il caso, deciso il 12 gennaio 2023, traeva origine dal ricorso (n. 25426/20) contro la Slovacchia, presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione e.d.u., da A.P. e B.A., la prima, residente a Veľké Kapušany, il secondo, attualmente detenuto a Leopoldov. I due sono insieme dal 1999. Nel 2001 avevano un figlio, e all’epoca vivevano insieme.
Il ricorso riguardava l’intercettazione di un’utenza telefonica appartenente alla prima ricorrente e utilizzato principalmente dal secondo ricorrente, intercettazione che era stata autorizzata (per il periodo che va dal 27 maggio 2004 al 27 novembre 2004) con ordinanza del giudice del 27 maggio 2004 ai fini di ottenere prove nell’ambito delle indagini su un reato di estorsione presumibilmente commesso dal secondo ricorrente. Poiché l’ordinanza era stata secretata, i ricorrenti sostenevano di averne potuto visionare una copia, rispettivamente, il 3 settembre 2013, quando il secondo ricorrente ha consultato la parte pertinente del fascicolo, e il 20 settembre 2013, quando la prima ricorrente aveva avuto un colloquio con il secondo ricorrente in carcere. Solo in quell’occasione i due avevano appreso che l’ordinanza non era né debitamente motivata né sottoscritta dal giudice e non conteneva alcuna indicazione sulle ragioni per cui non era stato possibile ottenere le prove necessarie con altri mezzi.
Il loro ricorso davanti alla Corte costituzionale che contestava tali vizi era stato respinto, sulla base del fatto che la prima ricorrente non era legittimata a proporre tale ricorso poiché non aveva affermato di aver effettivamente utilizzato il telefono, mentre il secondo ricorrente aveva la possibilità di dolersi della contestata violazione nel procedimento penale. I ricorrenti sostenevano, tuttavia, che la prima ricorrente aveva sostenuto nel ricorso costituzionale di aver utilizzato anche lei il telefono, mentre il secondo ricorrente non aveva potuto ottenere la valutazione delle sue argomentazioni relative alle violazione denunciate nel procedimento penale, in primo luogo perché l’imputazione contestatagli non si era basata sugli elementi probatori acquisiti con le intercettazioni, in quanto tale provvedimento era stato ritenuto illegittimo e, in secondo luogo, perché il procedimento penale era stato archiviato nel 2018 per la sua eccessiva durata.
Il ricorso e le norme violate
Rivolgendosi alla Corte di Strasburgo, basandosi sugli artt. 6 e 8 della Convenzione, i ricorrenti si dolevano del fatto che il provvedimento che aveva autorizzato le intercettazioni non era né debitamente motivato né basato su elementi concreti (motivo per cui le intercettazioni e le prove acquisite erano state successivamente ritenute illegittime), che non aveva consentito loro di identificare il giudice emittente e che durante tutta la durata di tale provvedimento non era stato effettuato alcun controllo sulla ragione giustificatrice delle intercettazioni. Si dolevano inoltre dell’arbitrarietà della decisione della Corte costituzionale che aveva rigettato il loro ricorso per motivi non validi, avendo deviato dalla propria giurisprudenza, nonché della mancanza di un ricorso effettivo nei confronti delle intercettazioni illecite. Invocando, poi, l’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione, i ricorrenti si dolevano di non essere stati in grado di formulare osservazioni sulle conclusioni scritte presentate alla Corte costituzionale dalle autorità di indagine, di cui la Corte costituzionale aveva tenuto conto nella sua decisione.
Il ricorso veniva depositato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo il 31 gennaio 2016.
La decisione della Corte di Strasburgo
La Corte di Strasburgo ha ritenuto che le questioni sollevate nella causa dovevano essere esaminate anzitutto ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, ritenendo tuttavia superfluo esaminare nel merito alcuni dei profili sollevati in base all’art. 13 (vale a dire che il provvedimento non era stato emesso da un giudice individuato e che quest’ultimo non aveva assicurato la sua vigilanza in relazione all’esecuzione del provvedimento autorizzativo delle intercettazioni).
Nel caso di specie, il provvedimento in questione era stato emesso dal giudice su richiesta della competente autorità investigativa in base ad una precisa disposizione del codice di rito vigente. In base alla normativa interna, un requisito necessario per i provvedimenti di intercettazione telefonica è che lo stesso deve essere emesso da un giudice e deve essere supportato da adeguata motivazione. Come riconosciuto nella giurisprudenza della Corte costituzionale slovacca, la motivazione dei provvedimenti di intercettazione telefonica deve essere supportata da una ragione giustificativa in tutti i casi in cui sia autorizzata una grave ingerenza nella vita privata, considerando che le persone interessate non hanno alcun rimedio diretto e normalmente vengono a conoscenza delle operazioni di intercettazione solo in un momento successivo. Per l’efficacia di ogni successivo riesame, la motivazione del provvedimento autorizzativo deve essere specifica e basata su fatti concreti.
Il requisito normativo richiesto per il provvedimento di intercettazione telefonica che impone un’adeguata motivazione è conforme alla giurisprudenza della Convenzione EDU, secondo cui la verifica da parte dell’autorità abilitata ad autorizzare l’uso della “sorveglianza segreta”, tra l’altro, impone la limitazione dell’uso di tali misure nei casi in cui vi sono elementi di fatto per sospettare che una persona stia pianificando, commettendo o abbia commesso determinati reati gravi e che le misure possono essere ordinate solo se non vi è alcuna prospettiva di successo nell’accertare i fatti con un altro mezzo di ricerca della prova o questo sarebbe molto più difficile da esperire, ciò che costituisce garanzia di un adeguato iter volto a garantire che le misure non siano ordinate in modo casuale, irregolare o senza la dovuta e adeguata considerazione. È quindi importante che nell’autorizzazione l’autorità debba determinare se vi fosse una giustificazione convincente per autorizzare misure di “sorveglianza segreta”. Il provvedimento in questione non era stato messo però a disposizione della Corte EDU.
Tuttavia, in assenza di alcuna obiezione da parte del Governo, la Corte ha ritenuto che il provvedimento non contenesse alcuna motivazione, oltre al riferimento alla richiesta dell’organo inquirente (PPS) e una constatazione casuale che, in considerazione di tale richiesta, ottenere le prove necessarie con altri mezzi era inefficace o impossibile.
La Corte EDU ha osservato inoltre che la richiesta del PPS di ottenere il provvedimento autorizzativo non era stata messa a sua disposizione. Per quanto riguarda la possibilità del contenuto di tale richiesta di supplire alla mancanza di motivazione del provvedimento, ossia se gli stessi dovessero essere letti congiuntamente, la Corte rileva che tale lettura congiunta non era stata proposta e lo stesso PPS aveva concluso che il provvedimento autorizzativo mancava di motivazione e non poteva quindi essere utilizzato come prova. Poiché il provvedimento non conteneva alcuna motivazione, non poteva essere valutato nel senso della sua necessità in una società democratica ai sensi dell’art. 13 § 2 della Convenzione. Il provvedimento, pertanto, non soddisfaceva un requisito essenziale del diritto interno, fatto che nemmeno il Governo aveva cercato di contestare.
Le considerazioni che precedono sono state quindi ritenute sufficienti per autorizzare la Corte EDU a concludere che l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e della loro corrispondenza non era conforme alla legge, con conseguente violazione dell’art. 8 della Convenzione EDU.
La Corte di Strasburgo, infine, ha esaminato la questione sollevata dai ricorrenti, ossia di non aver avuto alcun rimedio effettivo contro le presunte violazioni dell’art. 13 della Convenzione. La Corte ha ritenuto che i mezzi previsti dall’ordinamento interno ed invocati dal Governo non fossero efficaci agli effetti dell’articolo 35 § 1 1 della Convenzione. Allo stesso tempo, il rimedio utilizzato era stato negato per motivi che sono stati ritenuti non essere direttamente attinenti all’oggetto delle doglianze dei ricorrenti ai sensi dell’art. 8 della Convenzione. Ne è conseguito anche l’accertamento della violazione del diritto dei ricorrenti ad un rimedio effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione in combinato disposto con l’art. 13.
La Corte di Strasburgo, infine, ha condannato la Slovacchia a corrispondere a titolo di equa soddisfazione ex art. 41 CEDU, la somma di 5.000 euro a ciascuno dei ricorrenti, a titolo di danno non patrimoniale, oltre alla somma di 2.500 euro congiuntamente, a titolo di spese e costi.
I precedenti ed i possibili impatti pratico-operativi
Interessante la questione esaminata dalla sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo nel caso in esame, conclusosi con l’accertata violazione del diritto alla riservatezza ed alla tutela e segretezza della corrispondenza “telefonica”, in un procedimento che aveva visto sottoposto ad indagine un soggetto che aveva subito l’intercettazione dell’utenza, intestata alla sua compagna, ma che gli investigatore ritenevano fosse in uso a lui, intercettazioni disposte nell’ambito di un procedimento penale per estorsione, conclusosi poi con un’archiviazione.
La Corte EDU, pronunciandosi sulle doglianze dei ricorrenti, ha rilevato in particolare che l’assenza di adeguata motivazione del provvedimento autorizzativo, peraltro emesso da un giudice che non aveva nemmeno sottoscritto il provvedimento, e la sostanziale assenza di un rimedio nell’ordinamento interno (posto che il ricorso costituzionale esperito, nel caso di specie, si era rivelato inefficace nella pratica, perché dichiarato inammissibile sulla base di ragioni pretestuose), giustificavano l’accertamento della violazione dell’art. 8, anche in combinato disposto con l’art. 13 della Convenzione EDU. Purtroppo, si noti, la Corte non ha esaminato l’ulteriore questione, di analogo interesse, sollevata dai ricorrenti, ossia se i ricorrenti avessero beneficiato di un’udienza “equa” nel procedimento dinanzi alla Corte costituzionale, in conformità con l’articolo 6 § 1 della Convenzione e, in particolare, se il principio della parità delle armi fosse stato rispettato in tale procedimento, con particolare riferimento alla mancata trasmissione ai ricorrenti di copia delle osservazioni depositate dall’investigatore di polizia.
Si tratta di una sentenza che, al di là delle peculiarità del caso concreto, merita di essere annotata perché si sofferma su un tema sempre di grande rilievo ed attenzione nel panorama giurisprudenziale, investendo anche il nostro ordinamento processuale. In casi analoghi a quello esaminato dalla Corte EDU (ossia liceità dell’autorizzazione disposta su utenza telefonica intestata a soggetto diverso da quello indagato, ma in uso a quest’ultimo), la nostra giurisprudenza di legittimità è infatti costante nell’affermare che, data la facile possibilità di attivare un apparecchio mobile con schede intestate a persone diverse da chi di fatto le utilizza, l’autorizzazione ad intercettare le comunicazioni effettuate da una utenza telefonica mobile in uso all’indagato si estende implicitamente a tutte le utenze che dal medesimo indagato risultino via via attivate mediante la prassi del cambio di scheda (Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 4046 del 01/10/2000, CED Cass. 217482 – 01).
Si è poi ritenuto legittimo, e di conseguenza non comporta l’inutilizzabilità del mezzo di ricerca della prova, il provvedimento con cui il PM, una volta che il Giudice abbia autorizzato l’intercettazione telefonica dell’indagato, sostituisca, in sede di esecuzione delle operazioni, all’utenza mobile (scheda del cellulare) indicata nel provvedimento autorizzativo, altra utenza mobile, effettivamente usata dall’indagato, atteso che le modalità tecniche dell’intercettazione non incidono sul diritto costituzionale alla segretezza della comunicazione, a presidio del quale interviene la valutazione del giudice, ed atteso altresì che, ove il provvedimento di autorizzazione riguardi cellulari a tecnologia GSM (che consentono di attivare un cellulare con schede intestate a persone diverse da chi lo utilizza), deve ritenersi implicita l’estensione dell’autorizzazione a tutte le utenze che risultino di volta in volta attivate sull’apparecchio mediante la prassi del cambio delle schede telefoniche, sempre che tali schede siano in uso alla medesima persona indagata, nei riguardi della quale l’intercettazione sia stata ritualmente autorizzata (Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 17832 del 03/05/2001, CED Cass. 218766 – 01).
Si è ulteriormente affermato, infine, che qualora la persona nei confronti della quale l’intercettazione telefonica sia stata ritualmente autorizzata utilizzi, per la comunicazione mediante apparecchio di telefonia mobile, schede telefoniche diverse da quella per la quale l’autorizzazione sia stata originariamente disposta, non è necessario un nuovo provvedimento autorizzativo, dovendo ritenersi implicita la sua estensione a tutte le successive utenze telefoniche in uso alla medesima persona (Cass. pen. sez. I, sentenza n. 7455 del 20/2/2009, CED Cass. 242875 – 01) che, ancora, come sono utilizzabili le conversazioni captate su un’utenza telefonica diversa da quella autorizzata, a condizione che l’utenza sia in uso alla medesima persona nei riguardi della quale l’intercettazione è stata disposta (In motivazione, la Corte ha precisato che il dovere del giudice di indicare la linea telefonica sulla quale è consentita l’intercettazione ha lo scopo di identificare con precisione il titolare del diritto che viene compromesso: Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 31297 del 22/6/2017, CED Cass. 270860 – 01).
Rilevante anche la ricognizione della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul punto.
La Corte EDU è solita ribadire che
1) le conversazioni telefoniche rientrano nelle nozioni di “vita privata” e “corrispondenza” ai sensi dell’articolo 8,
2) la loro intercettazione costituisce un’ingerenza nell’esercizio dei diritti di cui all’articolo 8, e
3) tale ingerenza è giustificata, in base al paragrafo 2 dell’articolo 8, solo se è “conforme alla legge”, persegue uno o più degli scopi legittimi di cui al medesimo paragrafo ed è “necessaria in una società democratica” al fine di raggiungere lo scopo o gli scopi previsti dalla legge (si veda, tra le tante, CEDU, M. c. Slovacchia, 8/2/2011, n. 30157/03; CEDU, D. c. Croazia, 15/1/2015, n. 68955/11, §§ 78-79, con ulteriori riferimenti).
Per quanto riguarda il requisito secondo cui tale interferenza deve essere “conforme alla legge” ai sensi dell’articolo 8 § 2, esso richiede in generale, in primo luogo, che la misura contestata abbia qualche fondamento nel diritto interno; faccia anche riferimento alla qualità della legge in questione, richiedendo che sia compatibile con lo stato di diritto e accessibile all’interessato, il quale deve, inoltre, essere in grado di prevederne le conseguenze.
Al riguardo, è stato riconosciuto che, laddove un potere dell’esecutivo è esercitato in segreto, i rischi di arbitrarietà sono evidenti. Pertanto, il diritto interno deve essere sufficientemente chiaro nei suoi termini per fornire ai singoli un’indicazione adeguata delle circostanze e delle condizioni alle quali le autorità pubbliche sono autorizzate a ricorrere a tali misure.
Inoltre, la Corte ha riconosciuto che, poiché l’attuazione pratica di misure di sorveglianza segreta delle comunicazioni non è soggetta al controllo dei singoli interessati o del pubblico in generale, sarebbe contraria allo Stato di diritto la discrezionalità giuridica concessa all’esecutivo o a un giudice da esprimersi in termini di potere illimitato. Di conseguenza, la legge deve indicare l’ambito di tale potere discrezionale conferito alle autorità competenti e le modalità del suo esercizio con sufficiente chiarezza per garantire all’individuo un’adeguata protezione contro l’ingerenza arbitraria. Inoltre, in considerazione del rischio che un sistema di sorveglianza segreta a tutela della sicurezza nazionale possa minare o addirittura distruggere la democrazia con il pretesto di difenderla, la Corte deve verificare che esistano garanzie contro gli abusi adeguate ed effettive.
Questa valutazione dipende da tutte le circostanze del caso, come la natura, la portata e la durata delle possibili misure, i motivi richiesti per disporle, le autorità competenti ad autorizzarle, eseguirle e controllarle, e il tipo di rimedio fornito da diritto nazionale (si veda, ad esempio, D., sopra citata, §§ 80-83, con ulteriori richiami).
Di rilievo, infine, anche una serie di interessanti decisioni della stessa Corte EDU, peraltro richiamate nel “case details”, tra cui: CEDU, I. c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], 19/10/2000, n. 31107/96, § 54; CEDU, I. e I. c. Slovacchia, 12/6/2012, n. 30189/07; CEDU, K. c. Slovacchia, 9/6/2009, n. 72094/01; L. c. Slovacchia (dec.), 8/1/2002, n. 35640/97; CEDU, M. c. Croazia, 5/6/2014, n. 16115/13, § 75; CEDU, O. c. Slovacchia (dec.), 9/2/2010, n. 13971/03; CEDU, P. c. Repubblica ceca (dec.), 31/5/2011, n. 47091/09; CEDU, R. e altri c. Croazia [GC], 20/3/2018, nn. 37685/10 e 22768/12, § 126 (in tema di tutela del diritto alla parità delle armi); CEDU, R. Axel Springer Slovacchia, a.s. c. Slovacchia (n. 3), 7/1/2014, n. 37986/09, §§ 93 e 96; CEDU, S. c. Belgio, 8/3/2022, n. 53069/15, § 43; SIRMIUM, spol. s ro c. Slovacchia (dec.), 24/10/2006, n. 21280/02.
Esito del ricorso:
Accolto
Precedenti giurisprudenziali:
Corte e.d.u., M. c. Slovacchia, 8 febbraio 2011;
Corte e.d.u., D. c. Croazia, 15 gennaio 2015
Corte e.d.u., I. c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], 19 ottobre 2000
Corte e.d.u., I. e I. c. Slovacchia, 12 giugno 2012
Corte e.d.u., K. c. Slovacchia, 9 giugno 2009
Corte e.d.u., L. c. Slovacchia (dec.), 8 gennaio 2002
Corte e.d.u., M. c. Croazia, 5 giugno 2014
Corte e.d.u., Občianske združenie Ži a nechaj žiť c. Slovacchia (dec.), 9 febbraio 2010
Corte e.d.u., P. c. Repubblica ceca (dec.), 31 maggio 2011
Corte e.d.u., R. e altri c. Croazia [GC], 20 marzo 2018
Corte e.d.u., Ringier Axel Springer Slovacchia, a.s. c. Slovacchia (n. 3), 7 gennaio 2014
Corte e.d.u., S. c. Belgio, 8 marzo 2022
Corte e.d.u., SIRMIUM, spol. s ro c. Slovacchia (dec.), 24 ottobre 2006
Riferimenti normativi:
Art. 8 (violazione), Convenzione e.d.u.
Art. 8 in combinato disposto con l’art. 13 (violazione), Convenzione e.d.u.
giovedì 26 gennaio 2023
di Scarcella Alessio Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
Pronunciandosi su un caso “slovacco” in cui si discuteva della legittimità di un provvedimento di autorizzazione all’esecuzione delle operazioni di intercettazione telefonica, la Corte EDU ha ritenuto, all’unanimità, violato sia l’articolo 8 della Convenzione che dell’articolo 13 in combinato disposto con l’art. 8 della Convenzione EDU. Il caso riguardava l’intercettazione eseguita nel 2004, nel corso di un procedimento penale riguardante il secondo ricorrente, disposta sul numero telefonico mobile che era intestato al primo ricorrente ma che, secondo le autorità, veniva utilizzata dal secondo ricorrente. Le operazioni di intercettazione erano state autorizzate con un provvedimento del tribunale ed eseguite dalla competente forza di polizia. Il caso si concentrava sulla motivazione del provvedimento autorizzativo da parte del giudice che lo aveva emesso e involgeva il tema dell’equità del conseguente procedimento dinanzi alla Corte costituzionale, sollevando questioni principalmente ai sensi dell’articolo 35 § 1 (efficacia ed esaurimento delle vie di ricorso interne), dell’articolo 6 (processo in contraddittorio), dell’articolo 8 (vita privata e corrispondenza) e dell’art. 13 (ricorso effettivo) della Convenzione. In relazione all’affermazione dei ricorrenti secondo cui la linea di telefonia mobile era stata utilizzata anche dal primo ricorrente, il ricorso comportava anche l’esame della questione della sua posizione, in particolare in relazione alle doglianze di cui agli articoli 8 e 13 della Convenzione (Corte EDU, Sez. I, sentenza 12 gennaio 2023, n. 7286/16).
Corte EDU, Sez. I, sentenza 12 gennaio 2023, n. 7286/16
Il caso
Il caso, deciso il 12 gennaio 2023, traeva origine dal ricorso (n. 25426/20) contro la Slovacchia, presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione e.d.u., da A.P. e B.A., la prima, residente a Veľké Kapušany, il secondo, attualmente detenuto a Leopoldov. I due sono insieme dal 1999. Nel 2001 avevano un figlio, e all’epoca vivevano insieme.
Il ricorso riguardava l’intercettazione di un’utenza telefonica appartenente alla prima ricorrente e utilizzato principalmente dal secondo ricorrente, intercettazione che era stata autorizzata (per il periodo che va dal 27 maggio 2004 al 27 novembre 2004) con ordinanza del giudice del 27 maggio 2004 ai fini di ottenere prove nell’ambito delle indagini su un reato di estorsione presumibilmente commesso dal secondo ricorrente. Poiché l’ordinanza era stata secretata, i ricorrenti sostenevano di averne potuto visionare una copia, rispettivamente, il 3 settembre 2013, quando il secondo ricorrente ha consultato la parte pertinente del fascicolo, e il 20 settembre 2013, quando la prima ricorrente aveva avuto un colloquio con il secondo ricorrente in carcere. Solo in quell’occasione i due avevano appreso che l’ordinanza non era né debitamente motivata né sottoscritta dal giudice e non conteneva alcuna indicazione sulle ragioni per cui non era stato possibile ottenere le prove necessarie con altri mezzi.
Il loro ricorso davanti alla Corte costituzionale che contestava tali vizi era stato respinto, sulla base del fatto che la prima ricorrente non era legittimata a proporre tale ricorso poiché non aveva affermato di aver effettivamente utilizzato il telefono, mentre il secondo ricorrente aveva la possibilità di dolersi della contestata violazione nel procedimento penale. I ricorrenti sostenevano, tuttavia, che la prima ricorrente aveva sostenuto nel ricorso costituzionale di aver utilizzato anche lei il telefono, mentre il secondo ricorrente non aveva potuto ottenere la valutazione delle sue argomentazioni relative alle violazione denunciate nel procedimento penale, in primo luogo perché l’imputazione contestatagli non si era basata sugli elementi probatori acquisiti con le intercettazioni, in quanto tale provvedimento era stato ritenuto illegittimo e, in secondo luogo, perché il procedimento penale era stato archiviato nel 2018 per la sua eccessiva durata.
Il ricorso e le norme violate
Rivolgendosi alla Corte di Strasburgo, basandosi sugli artt. 6 e 8 della Convenzione, i ricorrenti si dolevano del fatto che il provvedimento che aveva autorizzato le intercettazioni non era né debitamente motivato né basato su elementi concreti (motivo per cui le intercettazioni e le prove acquisite erano state successivamente ritenute illegittime), che non aveva consentito loro di identificare il giudice emittente e che durante tutta la durata di tale provvedimento non era stato effettuato alcun controllo sulla ragione giustificatrice delle intercettazioni. Si dolevano inoltre dell’arbitrarietà della decisione della Corte costituzionale che aveva rigettato il loro ricorso per motivi non validi, avendo deviato dalla propria giurisprudenza, nonché della mancanza di un ricorso effettivo nei confronti delle intercettazioni illecite. Invocando, poi, l’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione, i ricorrenti si dolevano di non essere stati in grado di formulare osservazioni sulle conclusioni scritte presentate alla Corte costituzionale dalle autorità di indagine, di cui la Corte costituzionale aveva tenuto conto nella sua decisione.
Il ricorso veniva depositato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo il 31 gennaio 2016.
La decisione della Corte di Strasburgo
La Corte di Strasburgo ha ritenuto che le questioni sollevate nella causa dovevano essere esaminate anzitutto ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, ritenendo tuttavia superfluo esaminare nel merito alcuni dei profili sollevati in base all’art. 13 (vale a dire che il provvedimento non era stato emesso da un giudice individuato e che quest’ultimo non aveva assicurato la sua vigilanza in relazione all’esecuzione del provvedimento autorizzativo delle intercettazioni).
Nel caso di specie, il provvedimento in questione era stato emesso dal giudice su richiesta della competente autorità investigativa in base ad una precisa disposizione del codice di rito vigente. In base alla normativa interna, un requisito necessario per i provvedimenti di intercettazione telefonica è che lo stesso deve essere emesso da un giudice e deve essere supportato da adeguata motivazione. Come riconosciuto nella giurisprudenza della Corte costituzionale slovacca, la motivazione dei provvedimenti di intercettazione telefonica deve essere supportata da una ragione giustificativa in tutti i casi in cui sia autorizzata una grave ingerenza nella vita privata, considerando che le persone interessate non hanno alcun rimedio diretto e normalmente vengono a conoscenza delle operazioni di intercettazione solo in un momento successivo. Per l’efficacia di ogni successivo riesame, la motivazione del provvedimento autorizzativo deve essere specifica e basata su fatti concreti.
Il requisito normativo richiesto per il provvedimento di intercettazione telefonica che impone un’adeguata motivazione è conforme alla giurisprudenza della Convenzione EDU, secondo cui la verifica da parte dell’autorità abilitata ad autorizzare l’uso della “sorveglianza segreta”, tra l’altro, impone la limitazione dell’uso di tali misure nei casi in cui vi sono elementi di fatto per sospettare che una persona stia pianificando, commettendo o abbia commesso determinati reati gravi e che le misure possono essere ordinate solo se non vi è alcuna prospettiva di successo nell’accertare i fatti con un altro mezzo di ricerca della prova o questo sarebbe molto più difficile da esperire, ciò che costituisce garanzia di un adeguato iter volto a garantire che le misure non siano ordinate in modo casuale, irregolare o senza la dovuta e adeguata considerazione. È quindi importante che nell’autorizzazione l’autorità debba determinare se vi fosse una giustificazione convincente per autorizzare misure di “sorveglianza segreta”. Il provvedimento in questione non era stato messo però a disposizione della Corte EDU.
Tuttavia, in assenza di alcuna obiezione da parte del Governo, la Corte ha ritenuto che il provvedimento non contenesse alcuna motivazione, oltre al riferimento alla richiesta dell’organo inquirente (PPS) e una constatazione casuale che, in considerazione di tale richiesta, ottenere le prove necessarie con altri mezzi era inefficace o impossibile.
La Corte EDU ha osservato inoltre che la richiesta del PPS di ottenere il provvedimento autorizzativo non era stata messa a sua disposizione. Per quanto riguarda la possibilità del contenuto di tale richiesta di supplire alla mancanza di motivazione del provvedimento, ossia se gli stessi dovessero essere letti congiuntamente, la Corte rileva che tale lettura congiunta non era stata proposta e lo stesso PPS aveva concluso che il provvedimento autorizzativo mancava di motivazione e non poteva quindi essere utilizzato come prova. Poiché il provvedimento non conteneva alcuna motivazione, non poteva essere valutato nel senso della sua necessità in una società democratica ai sensi dell’art. 13 § 2 della Convenzione. Il provvedimento, pertanto, non soddisfaceva un requisito essenziale del diritto interno, fatto che nemmeno il Governo aveva cercato di contestare.
Le considerazioni che precedono sono state quindi ritenute sufficienti per autorizzare la Corte EDU a concludere che l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e della loro corrispondenza non era conforme alla legge, con conseguente violazione dell’art. 8 della Convenzione EDU.
La Corte di Strasburgo, infine, ha esaminato la questione sollevata dai ricorrenti, ossia di non aver avuto alcun rimedio effettivo contro le presunte violazioni dell’art. 13 della Convenzione. La Corte ha ritenuto che i mezzi previsti dall’ordinamento interno ed invocati dal Governo non fossero efficaci agli effetti dell’articolo 35 § 1 1 della Convenzione. Allo stesso tempo, il rimedio utilizzato era stato negato per motivi che sono stati ritenuti non essere direttamente attinenti all’oggetto delle doglianze dei ricorrenti ai sensi dell’art. 8 della Convenzione. Ne è conseguito anche l’accertamento della violazione del diritto dei ricorrenti ad un rimedio effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione in combinato disposto con l’art. 13.
La Corte di Strasburgo, infine, ha condannato la Slovacchia a corrispondere a titolo di equa soddisfazione ex art. 41 CEDU, la somma di 5.000 euro a ciascuno dei ricorrenti, a titolo di danno non patrimoniale, oltre alla somma di 2.500 euro congiuntamente, a titolo di spese e costi.
I precedenti ed i possibili impatti pratico-operativi
Interessante la questione esaminata dalla sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo nel caso in esame, conclusosi con l’accertata violazione del diritto alla riservatezza ed alla tutela e segretezza della corrispondenza “telefonica”, in un procedimento che aveva visto sottoposto ad indagine un soggetto che aveva subito l’intercettazione dell’utenza, intestata alla sua compagna, ma che gli investigatore ritenevano fosse in uso a lui, intercettazioni disposte nell’ambito di un procedimento penale per estorsione, conclusosi poi con un’archiviazione.
La Corte EDU, pronunciandosi sulle doglianze dei ricorrenti, ha rilevato in particolare che l’assenza di adeguata motivazione del provvedimento autorizzativo, peraltro emesso da un giudice che non aveva nemmeno sottoscritto il provvedimento, e la sostanziale assenza di un rimedio nell’ordinamento interno (posto che il ricorso costituzionale esperito, nel caso di specie, si era rivelato inefficace nella pratica, perché dichiarato inammissibile sulla base di ragioni pretestuose), giustificavano l’accertamento della violazione dell’art. 8, anche in combinato disposto con l’art. 13 della Convenzione EDU. Purtroppo, si noti, la Corte non ha esaminato l’ulteriore questione, di analogo interesse, sollevata dai ricorrenti, ossia se i ricorrenti avessero beneficiato di un’udienza “equa” nel procedimento dinanzi alla Corte costituzionale, in conformità con l’articolo 6 § 1 della Convenzione e, in particolare, se il principio della parità delle armi fosse stato rispettato in tale procedimento, con particolare riferimento alla mancata trasmissione ai ricorrenti di copia delle osservazioni depositate dall’investigatore di polizia.
Si tratta di una sentenza che, al di là delle peculiarità del caso concreto, merita di essere annotata perché si sofferma su un tema sempre di grande rilievo ed attenzione nel panorama giurisprudenziale, investendo anche il nostro ordinamento processuale. In casi analoghi a quello esaminato dalla Corte EDU (ossia liceità dell’autorizzazione disposta su utenza telefonica intestata a soggetto diverso da quello indagato, ma in uso a quest’ultimo), la nostra giurisprudenza di legittimità è infatti costante nell’affermare che, data la facile possibilità di attivare un apparecchio mobile con schede intestate a persone diverse da chi di fatto le utilizza, l’autorizzazione ad intercettare le comunicazioni effettuate da una utenza telefonica mobile in uso all’indagato si estende implicitamente a tutte le utenze che dal medesimo indagato risultino via via attivate mediante la prassi del cambio di scheda (Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 4046 del 01/10/2000, CED Cass. 217482 – 01).
Si è poi ritenuto legittimo, e di conseguenza non comporta l’inutilizzabilità del mezzo di ricerca della prova, il provvedimento con cui il PM, una volta che il Giudice abbia autorizzato l’intercettazione telefonica dell’indagato, sostituisca, in sede di esecuzione delle operazioni, all’utenza mobile (scheda del cellulare) indicata nel provvedimento autorizzativo, altra utenza mobile, effettivamente usata dall’indagato, atteso che le modalità tecniche dell’intercettazione non incidono sul diritto costituzionale alla segretezza della comunicazione, a presidio del quale interviene la valutazione del giudice, ed atteso altresì che, ove il provvedimento di autorizzazione riguardi cellulari a tecnologia GSM (che consentono di attivare un cellulare con schede intestate a persone diverse da chi lo utilizza), deve ritenersi implicita l’estensione dell’autorizzazione a tutte le utenze che risultino di volta in volta attivate sull’apparecchio mediante la prassi del cambio delle schede telefoniche, sempre che tali schede siano in uso alla medesima persona indagata, nei riguardi della quale l’intercettazione sia stata ritualmente autorizzata (Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 17832 del 03/05/2001, CED Cass. 218766 – 01).
Si è ulteriormente affermato, infine, che qualora la persona nei confronti della quale l’intercettazione telefonica sia stata ritualmente autorizzata utilizzi, per la comunicazione mediante apparecchio di telefonia mobile, schede telefoniche diverse da quella per la quale l’autorizzazione sia stata originariamente disposta, non è necessario un nuovo provvedimento autorizzativo, dovendo ritenersi implicita la sua estensione a tutte le successive utenze telefoniche in uso alla medesima persona (Cass. pen. sez. I, sentenza n. 7455 del 20/2/2009, CED Cass. 242875 – 01) che, ancora, come sono utilizzabili le conversazioni captate su un’utenza telefonica diversa da quella autorizzata, a condizione che l’utenza sia in uso alla medesima persona nei riguardi della quale l’intercettazione è stata disposta (In motivazione, la Corte ha precisato che il dovere del giudice di indicare la linea telefonica sulla quale è consentita l’intercettazione ha lo scopo di identificare con precisione il titolare del diritto che viene compromesso: Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 31297 del 22/6/2017, CED Cass. 270860 – 01).
Rilevante anche la ricognizione della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul punto.
La Corte EDU è solita ribadire che
1) le conversazioni telefoniche rientrano nelle nozioni di “vita privata” e “corrispondenza” ai sensi dell’articolo 8,
2) la loro intercettazione costituisce un’ingerenza nell’esercizio dei diritti di cui all’articolo 8, e
3) tale ingerenza è giustificata, in base al paragrafo 2 dell’articolo 8, solo se è “conforme alla legge”, persegue uno o più degli scopi legittimi di cui al medesimo paragrafo ed è “necessaria in una società democratica” al fine di raggiungere lo scopo o gli scopi previsti dalla legge (si veda, tra le tante, CEDU, M. c. Slovacchia, 8/2/2011, n. 30157/03; CEDU, D. c. Croazia, 15/1/2015, n. 68955/11, §§ 78-79, con ulteriori riferimenti).
Per quanto riguarda il requisito secondo cui tale interferenza deve essere “conforme alla legge” ai sensi dell’articolo 8 § 2, esso richiede in generale, in primo luogo, che la misura contestata abbia qualche fondamento nel diritto interno; faccia anche riferimento alla qualità della legge in questione, richiedendo che sia compatibile con lo stato di diritto e accessibile all’interessato, il quale deve, inoltre, essere in grado di prevederne le conseguenze.
Al riguardo, è stato riconosciuto che, laddove un potere dell’esecutivo è esercitato in segreto, i rischi di arbitrarietà sono evidenti. Pertanto, il diritto interno deve essere sufficientemente chiaro nei suoi termini per fornire ai singoli un’indicazione adeguata delle circostanze e delle condizioni alle quali le autorità pubbliche sono autorizzate a ricorrere a tali misure.
Inoltre, la Corte ha riconosciuto che, poiché l’attuazione pratica di misure di sorveglianza segreta delle comunicazioni non è soggetta al controllo dei singoli interessati o del pubblico in generale, sarebbe contraria allo Stato di diritto la discrezionalità giuridica concessa all’esecutivo o a un giudice da esprimersi in termini di potere illimitato. Di conseguenza, la legge deve indicare l’ambito di tale potere discrezionale conferito alle autorità competenti e le modalità del suo esercizio con sufficiente chiarezza per garantire all’individuo un’adeguata protezione contro l’ingerenza arbitraria. Inoltre, in considerazione del rischio che un sistema di sorveglianza segreta a tutela della sicurezza nazionale possa minare o addirittura distruggere la democrazia con il pretesto di difenderla, la Corte deve verificare che esistano garanzie contro gli abusi adeguate ed effettive.
Questa valutazione dipende da tutte le circostanze del caso, come la natura, la portata e la durata delle possibili misure, i motivi richiesti per disporle, le autorità competenti ad autorizzarle, eseguirle e controllarle, e il tipo di rimedio fornito da diritto nazionale (si veda, ad esempio, D., sopra citata, §§ 80-83, con ulteriori richiami).
Di rilievo, infine, anche una serie di interessanti decisioni della stessa Corte EDU, peraltro richiamate nel “case details”, tra cui: CEDU, I. c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], 19/10/2000, n. 31107/96, § 54; CEDU, I. e I. c. Slovacchia, 12/6/2012, n. 30189/07; CEDU, K. c. Slovacchia, 9/6/2009, n. 72094/01; L. c. Slovacchia (dec.), 8/1/2002, n. 35640/97; CEDU, M. c. Croazia, 5/6/2014, n. 16115/13, § 75; CEDU, O. c. Slovacchia (dec.), 9/2/2010, n. 13971/03; CEDU, P. c. Repubblica ceca (dec.), 31/5/2011, n. 47091/09; CEDU, R. e altri c. Croazia [GC], 20/3/2018, nn. 37685/10 e 22768/12, § 126 (in tema di tutela del diritto alla parità delle armi); CEDU, R. Axel Springer Slovacchia, a.s. c. Slovacchia (n. 3), 7/1/2014, n. 37986/09, §§ 93 e 96; CEDU, S. c. Belgio, 8/3/2022, n. 53069/15, § 43; SIRMIUM, spol. s ro c. Slovacchia (dec.), 24/10/2006, n. 21280/02.
Esito del ricorso:
Accolto
Precedenti giurisprudenziali:
Corte e.d.u., M. c. Slovacchia, 8 febbraio 2011;
Corte e.d.u., D. c. Croazia, 15 gennaio 2015
Corte e.d.u., I. c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], 19 ottobre 2000
Corte e.d.u., I. e I. c. Slovacchia, 12 giugno 2012
Corte e.d.u., K. c. Slovacchia, 9 giugno 2009
Corte e.d.u., L. c. Slovacchia (dec.), 8 gennaio 2002
Corte e.d.u., M. c. Croazia, 5 giugno 2014
Corte e.d.u., Občianske združenie Ži a nechaj žiť c. Slovacchia (dec.), 9 febbraio 2010
Corte e.d.u., P. c. Repubblica ceca (dec.), 31 maggio 2011
Corte e.d.u., R. e altri c. Croazia [GC], 20 marzo 2018
Corte e.d.u., Ringier Axel Springer Slovacchia, a.s. c. Slovacchia (n. 3), 7 gennaio 2014
Corte e.d.u., S. c. Belgio, 8 marzo 2022
Corte e.d.u., SIRMIUM, spol. s ro c. Slovacchia (dec.), 24 ottobre 2006
Riferimenti normativi:
Art. 8 (violazione), Convenzione e.d.u.
Art. 8 in combinato disposto con l’art. 13 (violazione), Convenzione e.d.u.
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