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Niente tenuità del fatto per la madre che nega i figli all’ex marito

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Penale

Reati contro l’autorità delle decisioni giudiziarie

Niente tenuità del fatto per la madre che nega i figli all’ex marito

lunedì 30 gennaio 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva riconosciuto l’applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) nella condotta di una donna per non aver consentito in diverse occasioni al marito separato di esercitare il diritto di incontrare e vedere i figli minori affidati alla stessa, secondo le indicazioni contenute nel decreto di omologa della separazione consensuale reso dal Tribunale, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 18 gennaio 2023, n. 1933 – nell’accogliere la tesi del Procuratore Generale che aveva impugnato la sentenza assolutoria, ritenendo non applicabile nella specie l’art. 131-bis, c.p., ostandovi la reiterazione della condotta – ha tuttavia puntualizzato che la ripetizione delle condotte va valorizzata non solo guardando al numero delle stesse e al contesto temporale che le racchiude, ma anche dando il giusto rilievo alle connotazioni di omogeneità che le connota alla luce della specificità concreta dell’agire illecito realizzato, parametro di verifica imprescindibile nell’accertare la serialità di un determinato contegno illecito.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 18 gennaio 2023, n. 1933

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. Unite, 25/02/2016, n. 13681

Cass. pen. 02/07/2022, n. 13891

Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 388, c.p. sotto la rubrica «Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice», punisce con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032, la condotta di chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, qualora non ottemperi all’ingiunzione di eseguire il provvedimento.

La stessa pena si applica a chi elude l’ordine di protezione previsto dall’art. 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. Il colpevole è punito a querela della persona offesa.

Per quanto qui di interesse, il delitto di cui all’art. 388, comma 2, c.p., concernente l’elusione di un provvedimento del giudice civile relativo all’affidamento di minori, ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui si verifica il primo fatto con quale il genitore affidatario si sottrae all’esecuzione del provvedimento, dando corpo ad una ipotesi di concorso tra più fatti di reato e, ordinariamente, all’applicazione del regime della continuazione, laddove l’agire elusivo si concreti in più condotte ripetute nel tempo, frutto di una scelta programmatica originaria.

La medesima fattispecie, tuttavia, può anche assumere gli estremi propri di un reato (eventualmente) permanente qualora la condotta elusiva delle prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziale abbia determinato un’azione perdurante, tale da poter cessare solo per volontà dell’agente, concretatasi in una unica, iniziale, condotta oppositiva, protrattasi ininterrottamente per un determinato arco temporale, o sostanziatasi in diversi e ripetuti agiti illeciti, coincidenti con sollecitazioni dirette alla esecuzione della statuizione pretermessa, tutti realizzati senza soluzione di continuità (Cass. pen. sez. VI, n. 14172 del 29/01/2020, CED Cass. 278845). In siffatta ultima ipotesi, le eventuali singole condotte di inattuazione del precetto giudiziale perdono dunque la loro individualità, per fondersi unitariamente in una sola ipotesi di reato composta dai diversi agiti illeciti, in altri contesti autonomamente sanzionabili (tipico il caso, per rifarsi alle ipotesi proprie della regiudicanda, in cui il diritto di incontro venga garantito in attuazione del provvedimento, per così dire, a corrente alternata, riconoscendolo in alcune occasioni e negandolo arbitrariamente in altre).

Un tema di interesse, con riferimento al reato in esame, riguarda l’applicabilità allo stesso della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto che, come è noto, è esclusa in caso di abitualità delle condotte.

Orbene, la circostanza in fatto che il reato in questione risulti connotato dalla esecuzione di più condotte che, da sole considerate, avrebbero potuto assumere autonoma dignità nell’ottica della responsabilità penale, non porta immediatamente ad una delle ipotesi di abitualità ostative considerate dall’art. 131-bis, comma 3, c.p. e, in particolare, a quella indicata per terza, nel più circoscritto ambito delle cosiddette “condotte plurime”. Va ribadito che il giudizio di abitualità destinato ad assumere valenza ostativa rispetto all’applicazione della causa di esclusione della punibilità in questione, dipende dal possibile riscontro di una delle tre diverse situazioni progressivamente elencate in via alternativa secondo una sequenza lessicale espressamente tracciata dal legislatore in seno alla citata disposizione codicistica. Per ritenerlo non punibile, occorrerà verificare, infatti, che l’autore:

– non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza;

– ovvero che non si sia reso protagonista di più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità;

– o, infine, che la regiudicanda non riguardi reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate.

Tanto premesso, come anticipato, nel caso in esame la ricorrente Procura Generale valorizzava la pluralità delle condotte attraverso le quali si è concretato il reato ascritto all’imputata. Tanto, tuttavia, secondo una ricostruzione che non è stata condivisa integralmente dalla S.C. perché finisce per configurare siffatta ipotesi di abitualità ostativa anche solo in presenza di una mera sommatoria di atti illeciti reiterati nel tempo. In parte qua, ricorda la Cassazione, non possono che riportarsi pedissequamente le indicazioni di principio rese dalle Sezioni unite (con la sentenza Cass. pen. sez. Unite, n. 13681 del 25/2/2016, T., riprese e approfondite recentemente dalla sentenza Cass. pen. n. 13891 del 27/2022, U.) nel tracciare in via interpretativa lo statuto costitutivo dell’abitualità ostativa considerata dal citato comma 3 dell’art. 131-bis c.p.

In questa specifica cornice, la nozione di abitualità, infatti, viene ricostruita in termini di qualità che progressivamente si delinea e consolida nel tempo in conseguenza della realizzazione di plurime condotte omogenee, ma che non si esaurisce nella manifestazione esterna del solo dato obbiettivo di quella ripetizione. L’acquisizione individuale di una consuetudine costituisce il risultato di un costume comportamentale, ossia di un’abitudine intesa, secondo il senso comune del vocabolo, come disposizione acquisita con il costante e periodico ripetersi di determinati atti, e non può essere pertanto sovrapposta ad una situazione connotata dalla mera reiterazione di azioni.

Non è corretto dunque ritenere di per sé preclusa a concreta operatività dell’istituto in questione in presenza di qualsivoglia reiterazione di comportamenti che di per sé stessi sarebbero penalmente rilevanti. L’essenza della abitualità ostativa non è data infatti dalla mera reiterazione delle condotte illecite ma va rinvenuta piuttosto nella serialità delle stesse, destinate a qualificare il soggetto che se ne rende protagonista.

Non a caso, nel definire i tratti dell’ultima ipotesi di abitualità ostativa considerata dal comma 3 dell’art. 131-bis c.p., il legislatore evoca implicitamente ipotesi di reato che presentano l’abitualità come tratto tipico (della quale potrebbe essere espressione l’ipotesi dei maltrattamenti in famiglia, per altri versi esclusa dal comma 1 della medesima disposizione); o ancora i reati che presentano nel tipo condotte reiterate (agevolmente rappresentate nel reato di atti persecutori).

In tali ambiti, può dirsi che la serialità è un elemento della fattispecie ed è quindi sufficiente a configurare l’abitualità che esclude l’applicazione della disciplina, senza che occorra verificare la presenza di distinti reati.

Aspetti, questi, che tuttavia per la S.C. non era dato riscontrare in relazione al caso in esame, atteso che l’art. 388, comma 2, c.p. non vede nei suoi tratti costitutivi tipizzati né l’abitualità, né la necessaria reiterazione delle condotte.

Venendo alla individuazione del concetto di “condotte plurime”, ricorda la Cassazione, le citate sentenze delle sezioni unite, una volta escluso che tale locuzione possa essere ridotta ad “una mera, sciatta ripetizione di ciò che è stato denominato abituale o reiterato”, hanno piuttosto affermato che “l’unica praticabile soluzione interpretativa è quella di ritenere che si sia fatto riferimento a fattispecie concrete nelle quali si sia in presenza di ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti”, laddove la pluralità e la protrazione dei comportamenti finiscono per imprimere al reato un carattere seriale, id est abituale. Siffatta ultima indicazione, per i Supremi Giudici, ben si attaglia alla regiudicanda, connotata da più momenti di riscontrata inattuazione del precetto giudiziale sostanziatisi nelle diverse occasioni in cui, concretamente, venne negata alla persona offesa la possibilità di incontrare i figli affidati all’imputata in esito alla scelta di quest’ultima, protrattasi senza soluzione di continuità lungo l’arco temporale coperto dall’imputazione, di eludere il provvedimento reso in occasione della omologazione della separazione consensuale. Indifferente in sé la mera ripetizione di diversi agiti illeciti, spetta piuttosto al giudice del merito il compito di verificare se siffatta pluralità di condotte confluite all’interno della specifica ipotesi delittuosa siano o meno espressive di una serialità a sua volta indicativa di una personalità non meritevole del vantaggio garantito dalla causa di non punibilità tipizzata dall’art. 131-bis c.p.

In questa cornice, in particolare, la ripetizione delle condotte va valorizzata non solo guardando al numero delle stesse e al contesto temporale che le racchiude, ma anche dando ii giusto rilievo alle connotazioni di omogeneità che le connota alla luce della specificità concreta dell’agire illecito realizzato, parametro di verifica imprescindibile nell’accertare la serialità di un determinato contegno illecito.

Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 388, co. 2 c.p.

Art. 131-bis c.p.

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