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Quando allontanarsi dai domiciliari è fatto tenue?

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Misure cautelari

Misure cautelari

Quando allontanarsi dai domiciliari è fatto tenue?

mercoledì 22 febbraio 2023

di Santoriello Ciro Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Torino

La lieve entità della violazione delle prescrizioni che, ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter c.p.p., consente al giudice di non disporre l’aggravamento con la custodia cautelare in carcere, può trovare applicazione anche nel caso di allontanamento dal luogo di esecuzione della misura, la cui gravità va valutata tenuto conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da essa desumibile e dell’entità del danno o del pericolo che ne è derivato. A stabilirlo è la Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 13 febbraio 2023, n. 5930.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 13 febbraio 2023, n. 5930

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. VI, 01/03/2021, n. 8071

Cass. pen. sez. IV, 09/02/2018, n. 13348

Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

La Cassazione ritiene che non debba farsi corso ad un aggravamento della misura cautelare nei confronti di un soggetto che si sia brevemente allontanato dagli arresti domiciliari per ragioni di salute e tale conclusione non muta quale che sia lo “spessore” criminale del singolo e quale sia la gravità dei suoi precedenti

Il fatto

Il Tribunale del riesame di Napoli rigettava l’appello proposto di un indagato – collaboratore di giustizia – che aveva impugnato un’ordinanza emessa ex art. 276 c.p.p. dalla Corte di appello di Napoli con cui veniva sostituita la misura degli arresti domiciliari in precedenza applicata con la custodia in carcere, a seguito del riscontrato allontanamento del predetto dal luogo ove si trovava ristretto agli arresti domiciliari.

In particolare, il Tribunale del riesame ha ritenuto che nella specie non potesse rinvenirsi l’ipotesi del “fatto di lieve entità” che, ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter c.p.p., consente di non disporre la custodia cautelare in carcere nonostante l’accertata evasione dagli arresti domiciliari e ciò in ragione del fatto che l’indagato aveva dato prova non solo di non ricevere alcun effetto deterrente dalla misura domiciliare a cui era sottoposto al momento dei fatti, peraltro, con i permessi di allontanamento per due giorni a settimana per due ore – ma altresì di non tenere in alcun conto i limiti impostigli dall’Autorità giudiziaria, mostrandosi del tutto indifferente ai dettami della legge; tutto ciò doveva condurre a un giudizio di inadeguatezza in concreto della misura cautelare domiciliare, oggetto di aggravamento. Inoltre, sempre il Tribunale del riesame richiamava la nutrita biografia criminale del prevenuto e la condanna per gli allarmanti e gravi delitti di cui in sentenza.

Avverso l’ordinanza veniva proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi, declinati sotto il profilo di violazione di legge e di vizio di motivazione ed entrambi relativi alla mancata qualificazione del fatto come di lieve entità.

In particolare, secondo il ricorrente, la concreta modesta gravità del fatto, peraltro verificatosi esclusivamente quella volta, e la circostanza che l’imputato soffrisse di enfisema e si fosse allontanato perché colto da malore mentre si trovava da solo a casa avrebbero giustificato il mantenimento degli arresti domiciliari.

La decisione

La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso annullando con rinvio il provvedimento impugnato.

Innanzitutto, la Suprema Corte ricostruisce l’accaduto evidenziando come alle ore 17,50 l’indagato non veniva rinvenuto presso l’abitazione ove era ristretto domiciliarmente; lo stesso, rintracciato alle 18,10 sulla sua utenza telefonica, riferiva al personale del Servizio centrale di protezione che si trovava nei pressi della propria abitazione dalla quale si era poco prima allontanato perché “si era sentito male”; veniva quindi raggiunto dagli operanti e condotto in ospedale e all’esito degli esami clinici veniva dimesso con diagnosi di “riferita dispnea”. Si accertava poi che il soggetto era stato effettivamente dimesso in codice arancione con conseguenziale raccomandata posta in visione del referto all’attenzione del proprio medico di base per le cure del caso.

Ciò premesso, qualora si fosse inteso escludere che il fatto rivestisse carattere di lieve entità (circostanza, questa, specificamente invocata nell’atto di appello), l’ordinanza impugnata doveva diffondersi in una motivazione ben più ampia rispetto a quella riscontrata.

Infatti, “in tema di violazione degli arresti domiciliari, il fatto di lieve entità di cui all’art. 276, comma 1-ter, c.p.p. si riferisce a violazioni di modesto rilievo ovvero a quelle che non sono in grado di smentire la precedente valutazione di idoneità della misura degli arresti domiciliari a tutelare le esigenze cautelari” (Cass. pen. sez. IV, 09/02/2018, n. 13348, relativa a fattispecie che presenta significative analogie rispetto a quella oggetto del presente ricorso).

In senso conforme, si è precisato che “la lieve entità della violazione delle prescrizioni che, ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter c.p.p., consente al giudice di non disporre l’aggravamento con la custodia cautelare in carcere, può trovare applicazione anche nel caso di allontanamento dal luogo di esecuzione della misura, la cui gravità va valutata tenuto conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da essa desumibile e dell’entità del danno o del pericolo che ne è derivato” (Cass. pen. sez. VI, 01/03/2021, n. 8071).

Di contro, l’ordinanza impugnata conteneva una motivazione esclusivamente in riferimento alla gravità dei fatti per i quali l’indagato aveva riportato condanna in primo grado e allo “spessore criminale” del predetto, senza in alcun modo esaminare le concrete modalità dell’allontanamento, secondo quanto invece richiede la giurisprudenza sopra indicata.

Riferimenti normativi:

Art. 276 c.p.p.

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