Penale
Ordinamento penitenziario
Ergastolo ostativo: la parola torna alla magistratura di sorveglianza
martedì 28 febbraio 2023
di Corbetta Stefano Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
In relazioni a questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, della L. n. 354/1975 sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Perugia e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, la Corte costituzionale, ordinanze 24 febbraio 2023, nn. 30 e 31, ha disposto la restituzione degli atti ai rimettenti, alla luce della modifica del quadro normativo attuato dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, in L. 30 dicembre 2022, n. 199.
Corte costituzionale, ordinanza 24 febbraio 2023, n. 30
Corte costituzionale, ordinanza 24 febbraio 2023, n. 31
Il caso
Il Tribunale di sorveglianza di Perugia sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questione della legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, L. n. 354/1975, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti diversi da quelli di contesto mafioso, ma comunque ostativi alla concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione, possa essere concesso l’affidamento in prova al servizio sociale, anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ord. pen., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Allo stesso modo, il Magistrato di sorveglianza di Avellino sollevava, in riferimento agli artt.3 e 27, terzo comma, Cost., questioni della legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, della L. n. 354/1975, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti diversi da quelli di contesto mafioso, ma comunque ostativi alla concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione, possa essere concessa la misura della semilibertà, nella specifica ipotesi surrogatoria di cui all’art. 50, comma 2, ord. pen., anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ord. pen., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
In entrambi i casi, i remittenti valorizzavano le argomentazioni alla base della sentenza Corte cost. n. 253/2019, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, ord. pen. “nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del Codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ord. pen., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti”.
La decisione della Corte
Con due ordinanze distinte ma di contenuto sovrapponibile (Corte cost. n. 30/2013 e Corte cost. n. 31/2023), la Corte ha disposto la restituzione degli atti ai giudici rimettenti ai fini di procedere a una rinnovata valutazione di rilevanza e di non manifesta infondatezza delle questioni alla luce dello ius superveniens.
La Corte ha dato atto, infatti, che, nelle more del giudizio costituzionale, è intervenuto il D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, in L. 30 dicembre 2022, n. 199, il quale, per quanto qui rileva, prevede all’art. 1, comma 1, lettera a), numero 2), l’integrale sostituzione del comma 1-bis dell’art. 4-bis ord. pen., e l’aggiunta di tre nuovi commi (1-bis.1, 1-bis.1.1 e 1-bis.2).
La Corte, in particolare, ha segnalato che “la nuova disciplina trasforma da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo”.
In particolare, quanto ai detenuti e agli internati per delitti di contesto mafioso e, in generale, di tipo associativo, ai sensi della nuova disciplina i benefici possono essere loro concessi purché dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o «l’assoluta impossibilità di tale adempimento», nonché alleghino elementi specifici – diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza – che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile, nonché, ancora, la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie, sia in quelle della giustizia ripartiva.
Quanto, invece, ai detenuti per i restanti reati indicati dal comma 1 dell’art. 4-bis ord. pen., si richiede il rispetto delle medesime condizioni, depurate, tuttavia, da indicazioni non coerenti con la natura dei reati che vengono in rilievo, sicché la richiesta allegazione deve avere ad oggetto elementi idonei ad escludere l’attualità dei collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso (non anche il pericolo di ripristino dei collegamenti con tale contesto).
La Corte, inoltre, ha evidenziato come l’art. 1, comma 1, lett. a), n. 3), D.L. n. 162/2022, come convertito, “prevede l’ampliamento delle fonti di conoscenza a disposizione della magistratura di sorveglianza e la modifica del relativo procedimento, nonché l’onere in capo al detenuto di fornire idonei elementi di prova contraria in caso di indizi, emergenti dall’istruttoria, dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di loro ripristino”.
Orbene, come evidenziato dalla Corte, “si è in presenza di una modifica complessiva della disciplina interessata dalle questioni di legittimità costituzionale in esame e, per quel che qui particolarmente interessa, di una trasformazione da assoluta in relativa della presunzione di pericolosità del condannato per reati ostativi non collaborante”, cui è concessa – sia pur in presenza degli stringenti requisiti ricordati – la possibilità di domandare, tra l’altro, la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale ovvero della semilibertà e, così, di vedere vagliata nel merito la propria istanza.
Poiché, dunque, tali modifiche incidono immediatamente sul nucleo essenziale delle questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione, la Corte ha perciò disposto la restituzione degli atti ai giudici a quo.
Esito del ricorso:
Restituzione atti
Riferimenti normativi:
Art. 4-bis, comma 1, L. n. 354/1975