Penale
Misure alternative alla detenzione
Affidamento in prova: la mancanza di una stabilità socio-lavorativa esclude la concessione
venerdì 14 aprile 2023
a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza aveva negato il beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale ad un soggetto condannato per il reato di maltrattamenti in famiglia, la Corte di Cassazione penale, Sez. I, con la sentenza 3 aprile 2023, n. 14019 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui erroneamente il tribunale aveva respinto la richiesta solo sulla base di una situazione personale giudicata precaria e instabile – ha invece riaffermato il principio secondo cui la mancanza di una stabilità socio-lavorativa impedisce di ritenere sussistente una buona prospettiva risocializzante, necessaria per la concessione del beneficio di cui all’art. 47 ord. pen., che richiede la previa valutazione della idoneità a contribuire alla rieducazione del reo e ad assicurare la prevenzione da recidiva.
Cassazione penale, Sez. I, sentenza 3 aprile 2023, n. 14019
Conformi | Cass. pen. sez. I, 20/12/2019, n. 4390 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti in termini |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 47, L. 26 luglio 1975, n. 354, sotto la rubrica «Affidamento in prova al servizio sociale», prevede, per quanto qui di interesse, che “1. Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
- Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, se il soggetto è recluso, e mediante l’intervento dell’ufficio di esecuzione penale esterna, se l’istanza è proposta da soggetto in libertà, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
- L’affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere all’osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2.
3-bis. L’affidamento in prova può, altresì, essere concesso al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2.
3-ter. L’affidamento in prova può altresì essere concesso al condannato alle pene sostitutive della semilibertà sostitutiva o della detenzione domiciliare sostitutiva previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, dopo l’espiazione di almeno metà della pena, quando il condannato abbia serbato un comportamento tale per cui l’affidamento in prova appaia più idoneo alla sua rieducazione e assicuri comunque la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. Il tribunale di sorveglianza procede ai sensi dell’articolo 678, comma 1-ter, del codice di procedura penale, in quanto compatibile (omissis)”.
La misura dell’affidamento in prova al servizio sociale può essere concessa quando si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni impartite, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. Occorre dunque esaminare quali sono, tenendo presente la distinzione tra le forme di affidamento sopra richiamate, gli elementi utilizzabili dal Tribunale di Sorveglianza per formulare il giudizio prognostico cui, ai sensi dell’art. 47, comma 2 della L. n. 354/1975, è subordinata l’applicazione della misura.
Prima però di analizzare i singoli elementi è importante capire quale sia l’oggetto dell’accertamento. L’orientamento prevalente nella Cassazione è nel senso di ritenere quale presupposto per la concessione dell’affidamento in prova un giudizio prognostico positivo circa la “fronteggiabilità” della residua pericolosità sociale del reo attraverso anche gli strumenti coessenziali alla misura stessa. Ciò non significa, che sia richiesto un processo rieducativo che si sia già realizzato e che quindi possa già formularsi un giudizio di non pericolosità, essendo invece sufficiente un giudizio prognostico sulla fronteggiabilità della pericolosità residua con gli strumenti propri dell’istituto in esame e che, anche attraverso le prescrizioni, si raggiunga poi la rieducazione del reo. Si è in ogni caso negata la sussistenza di una sorta di presunzione di affidabilità di ciascuno al servizio sociale, negandosi quindi che l’affidamento in prova sia in ogni caso lo strumento idoneo al conseguimento degli obiettivi della rieducazione e della non recidività del condannato. Al contrario, occorrerà, piuttosto, la dimostrazione, di volta in volta, della esistenza di elementi positivi atti a fare ragionevolmente ritenere che l’istituto possa trovare proficua applicazione in funzione delle finalità ad esso espressamente attribuite dal legislatore. Il Tribunale di Sorveglianza (competente a decidere sulla concessione, ex art. 47 comma 4) dunque può addivenire alla pronuncia favorevole solo se siano stati raccolti elementi concreti e specifici a sostegno della richiesta.
La Suprema Corte ha affermato che per la concessione dell’affidamento in prova non è sufficiente l’assenza di indicazioni negative, ma è invece necessario che risultino elementi positivi che consentono un giudizio prognostico di esito positivo della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva. Tali elementi è stato affermato devono risultare dalla osservazione penitenziaria quando il beneficio è chiesto dallo stato di detenzione, mentre devono essere desunti dal comportamento tenuto in libertà quando l’istanza è proposta prima dell’inizio della esecuzione della pena. Da questo ragionamento ne consegue in pratica, la sufficienza, nella pronuncia del Tribunale di Sorveglianza, della motivazione puramente negativa, non occorrendo che venga anche fornita la dimostrazione, in positivo, che detta applicazione non consentirebbe in nessun modo il conseguimento degli obiettivi voluti dal legislatore, dimostrazione che, del resto, siccome riferita a prospettive future, non sarebbe per sua natura possibile.
Interpretando la giurisprudenza della Cassazione, si capisce come fattore fondamentale nell’opera di accertamento degli elementi su cui basare il giudizio prognostico di rieducabilità, divenga l’istruttoria compiuta dal Tribunale di Sorveglianza. Norma di riferimento a tal riguardo è il comma 5 dell’art. 666 del c.p.p, che disciplina il procedimento di esecuzione a cui fa rinvio il procedimento di sorveglianza ex art. 678 sempre del c.p.p. Tale istruttoria non riceve una regolamentazione dettagliata, si dovrà quindi auspicare che comprenda l’accertamento delle condizioni personali, familiari e sociali del condannato oltre che dei consueti indicatori criminologici quali i precedenti e le pendenze penali e di polizia e informazioni di pubblica sicurezza. Tuttavia, la necessaria valutazione caso per caso (e la eventuale sussistenza di ragioni ostative) non consente né di configurare accertamenti necessari né preclusioni invincibili, al di là di quelle normative. Ad esempio, l’accertamento della situazione socio familiare non è stato ritenuto indefettibile dalla Corte di Cassazione. Nel caso particolare infatti il diniego dell’affidamento in prova è stato ritenuto motivato anche quando, nell’ambito di un giudizio prognostico che, per sua natura, non può che essere discrezionale, venga indicata una sola ragione, purché plausibile, tale da far ritenere scarsa la probabilità di successo dell’esperimento, in relazione alle specifiche finalità dell’istituto (rieducazione del reo e prevenzione di recidiva), non occorrendo, pertanto, che il tribunale prenda necessariamente in esame anche la situazione socio familiare del richiedente.
La valutazione su un oggetto, (la personalità di un individuo), per definizione infungibile esclude quindi la predeterminazione di criteri rigidi e specifici, che vadano al di là della regola, dell’accurata ponderazione di tutti gli elementi rilevanti. Inoltre, il doveroso compimento di attività istruttoria da parte del Tribunale di Sorveglianza esclude che a carico dell’istante per il beneficio possa configurarsi un onere di allegazione degli elementi a sostegno della domanda, tuttavia, l’istanza pare dovere avere un contenuto minimo, poiché la giurisprudenza dei Tribunali di Sorveglianza, confermata dalla Suprema Corte, ha ritenuto inammissibile l’istanza priva addirittura dell’indicazione della residenza e dell’ambiente di reinserimento. Più in generale, possiamo osservare che, il principio ispiratore delle misure alternative alla detenzione è il principio di buona fede, che costituisce presupposto fondante la prognosi di idoneità delle medesime (e di affidabilità del condannato). È auspicabile quindi una soluzione che imponga al condannato (che è il soggetto a conoscenza delle proprie risorse) un onere di allegazione ragionevole e non vessatorio. Tale onere non lede alcun interesse del condannato, da un lato, e consente una istruttoria più rapida ed efficace al Tribunale di sorveglianza, con evidente vantaggio dello stesso soggetto interessato.
Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza aveva respinto l’istanza con la quale un uomo, condannato per il delitto di maltrattamenti in famiglia in danno della madre, aveva chiesto l’affidamento in prova ai servizi sociali e la detenzione domiciliare, ai sensi degli artt. 47 e 47-ter, comma 1-bis, ord. pen. Il Tribunale ha ritenuto non accoglibile la richiesta perché, alla luce delle stesse prospettazioni dell’istante, “la situazione personale, sociale e lavorativa del condannato appare del tutto precaria e instabile… Non sussistono pertanto i requisiti minimi di fatto per poter disporre qualsiasi misura alternativa”. Ricorrendo in Cassazione, l’imputato ne sosteneva l’erroneità, in particolare perché il Tribunale avrebbe dovuto valutare la personalità dell’istante alla luce non solo dei suoi precedenti penali ma anche della condotta tenuta successivamente, mentre aveva respinto la richiesta solo sulla base di una situazione personale giudicata precaria e instabile.
La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, ha ritenuto che la situazione rappresentata dal Tribunale fosse sufficiente ad escludere la concedibilità del beneficio richiesto, che necessita non solo di una valutazione di “non negatività” della condotta tenuta dal reo successivamente alla condanna, ma anche della individuazione di elementi positivi, quali la regolarità della condizione di vita e la possibilità di un buon reinserimento sociale, che consentano di prevederne l’esito positivo e di assicurare la prevenzione da possibili ricadute nel crimine.
Secondo i condivisibili principi della corte di cassazione, infatti, ai fini della concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, pur non potendosi prescindere dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva (Cass. pen. sez. I, n. 4390 del 20/12/2019, CED Cass. 278174).
Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso.
Riferimenti normativi: