Procedura penale
Riforma Cartabia
Il processo in absentia alla luce della riforma Cartabia
martedì 11 aprile 2023
di Demartis Fabrizio Avvocato e Dottorando in Diritto processuale penale nell’Università di Cagliari
L’articolo ripercorre brevemente le novità introdotte dalla riforma Cartabia in materia di processo in assenza dell’imputato (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – G.U. 17 ottobre 2022, n. 243, suppl. ord. n. 38/L).
D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – G.U. 17 ottobre 2022, n. 243, suppl. ord. n. 38/L
Premessa
Al fine di accrescere l’efficienza della giustizia penale, evitando che si possano celebrare processi destinati ad essere travolti dai rimedi attivati dall’imputato nei casi in cui questi dimostri di non avere avuto effettiva conoscenza dello stesso, la riforma Cartabia è intervenuta sinergicamente sia sul sistema delle notifiche che sulle disposizioni che disciplinano il processo in absentia (cfr. Relazione a cura dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, p. 93).
Con riguardo a tale ultima tematica i compilatori della riforma – anche sotto l’influsso della giurisprudenza nazionale ed europea e della Direttiva n. 2016/343/UE «sul rafforzamento di alcuni aspetti relativi alla presunzione di innocenza e del diritto presenziare al processo nei procedimenti penali» – hanno palesato l’intento di voler superare il sistema previgente, frutto delle modifiche apportate dalla L. n. 67/2014 (che ha introdotto la disciplina dell’assenza), in cui erano ammessi una serie di indici di conoscenza del processo che, in via presuntiva, conducevano verso la dichiarazione di assenza.
La vocatio in ius
Presupposto logico e giuridico per poter affrontare la tematica del processo in absentia è che l’imputato abbia ricevuto la notifica dell’atto di vocatio in ius.
A tale riguardo, l’art. 157-ter c.p.p. si occupa delle notificazioni degli atti introduttivi del giudizio, per tali intendendo l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, la citazione a giudizio ai sensi degli artt. 450, comma 2, 456, 552 e 601 c.p.p., nonché il decreto penale di condanna.
Com’è noto, gli atti introduttivi del giudizio devono essere notificati personalmente all’imputato, seguendo canali differenti a seconda che questi abbia in precedenza dichiarato o eletto il proprio domicilio oppure no.
Qualora l’imputato abbia ricevuto in precedenza gli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p. oppure abbia dichiarato o eletto domicilio (anche telematico), la notifica dell’atto contenente la vocatio in ius o il decreto penale di condanna andrà effettuata personalmente «al domicilio dichiarato o eletto».
La necessaria dichiarazione o elezione di domicilio porta ad escludere che tale notifica possa avvenire presso un eventuale domicilio telematico risultante da pubblici elenchi o registri (di tale avviso anche M. Alagna, Le notificazioni dopo la Riforma Cartabia o “Come l’eroe tecnologico fu sconfitto dal temibile Mostro verde”, in www.giustiziainsieme.it.). Se ad esempio l’imputato è un avvocato o un imprenditore, i quali hanno un domicilio digitale reperibile su INIPEC, non per questo gli si può notificare l’atto introduttivo del giudizio alla sua PEC (cfr. C. Scaccianoce, relazione in materia di notifiche all’imputato, cit., p. 4).
In assenza di una dichiarazione o di una elezione di domicilio, la notifica andrà eseguita, invece, nei luoghi e con le forme indicate nell’art. 157 c.p.p., con l’esclusione delle modalità telematiche di cui all’art. 148 c.p.p. Ne consegue che prioritariamente e preferibilmente la notifica dovrà avvenire mediante consegna all’interessato e, nei soli casi in cui non sia possibile realizzare detta condizione, si possa recapitare l’atto a soggetti diversi dal destinatario (familiare convivente, portiere dello stabile, datore di lavoro etc.), fino al raggiungimento della “presunzione legale” di conoscenza sancita dall’art. 157 c.p.p.
Tale aspetto, a nostro avviso, desta notevoli perplessità giacché la notifica dell’atto introduttivo del giudizio ad una persona diversa dall’imputato non garantisce che quest’ultimo abbia effettiva conoscenza della data e del luogo di svolgimento dell’udienza (anche dell’udienza preliminare). Conoscenza che, inevitabilmente, dovrebbe essere “personale” e “certa” e non desumibile da indici o presunzioni irragionevoli, anche perché i soggetti che l’art. 157 c.p.p. abilita a ricevere le notifiche potrebbero trovarsi nelle condizioni di non poter o non voler trasmettere l’atto notificato all’imputato.
I casi in cui l’imputato viene considerato presente al processo
Il primo adempimento che il giudice è chiamato a compiere è quello relativo alla verifica della regolare costituzione delle parti, all’esito del quale potrà eventualmente ordinare «la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità» (art. 420 c.p.p.).
Tale controllo è demandato al giudice dell’udienza preliminare o, qualora questa non sia prevista, al giudice che terrà l’udienza predibattimentale nell’ambito del rito con citazione diretta a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica.
A livello codicistico, l’archetipo del processo in assenza lo ritroviamo agli artt. 420-bis e seguenti del codice di rito, quindi nell’ambito delle disposizioni riguardanti l’accertamento della verifica della regolare costituzione delle parti in udienza preliminare; è, infatti, in tale sede «che si incardina il rapporto processuale e deve essere valutata la piena consapevolezza dell’imputato in ordine alla celebrazione del processo, sicché non è necessario che tale valutazione sia poi rinnovata nelle fasi successive del giudizio, le quali costituiscono, nell’ottica della riforma, una mera prosecuzione del processo» (così Relazione a cura dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, p. 95). Ovviamente, qualora l’udienza preliminare manchi, tale controllo sarà esercitato dal giudice del dibattimento. Come efficacemente osservato, «concepire l’udienza preliminare e il giudizio come due momenti di un’unica fase processuale può portare con sé, infatti, un’ottimizzazione dei tempi, consentendo nel secondo dei due momenti, in luogo della regressione processuale, il recupero delle garanzie e dei diritti eventualmente esauriti» (in questi termini A. Chelo, Saldi intenti di razionalizzazione e timidi tentativi di recupero delle garanzie nel giudizio “secondo Cartabia”, in Dir. pen. e processo, 2023, p. 171).
Qualora le notifiche risultino regolarmente compiute e l’imputato non sia presente, il giudice dovrà verificare se sussista un qualche legittimo impedimento dell’imputato o del difensore, secondo quanto previsto dall’art. 420-ter c.p.p. e, qualora non lo ravvisi, ordinerà di procedersi in assenza.
Il comma 2-ter dell’art. 420 c.p.p. indica i casi in cui l’imputato deve considerarsi presente al processo.
La prima ipotesi ricorre allorché l’imputato, dopo essere comparso, si allontani dall’aula d’udienza o non si presenti alle udienze successive. Sotto tale profilo non si rinvengono sostanziali differenze rispetto alla disciplina previgente, che garantisce la certezza dell’avvenuta conoscenza del processo.
Per effetto della riforma si considera presente l’imputato anche nei casi in cui questi abbia richiesto per iscritto, nelle forme di legge, di essere ammesso ad un procedimento speciale o sia rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la richiesta di un procedimento speciale.
Tale ultimo inciso, a nostro avviso, appare incompleto in quanto la disposizione in esame non specifica che la procura speciale deve essere rilasciata successivamente alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio. Nella prassi, il più delle volte, la procura speciale si ritrova all’interno di un unico atto insieme alla nomina del difensore di fiducia che solitamente viene rilasciato nel momento in cui l’indagato acquisisce conoscenza della pendenza di un procedimento penale a proprio carico (generalmente in seguito alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari oppure prima qualora siano state adottate misure cautelari, perquisizioni, sequestri, o atti garantiti). Certamente una procura speciale rilasciata in tale sede non appare minimamente idonea a dimostrare che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza del processo, potendo tutt’al più essere indicativa della conoscenza del procedimento (di tale avviso G. Mantovani, I presupposti del processo in assenza – ASPP, 10 febbraio 2023, in www.studiosiprocessopenale.it).
Pertanto, riteniamo che il giudice, al ricorrere della fattispecie in esame non possa considerare l’imputato presente al processo. Una diversa lettura, infatti, sarebbe in palese contrasto con l’idea di fondo che anima la riforma, che è quella di garantire l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato, conoscenza che non potrà prescindere dall’indicazione dell’addebito espresso in forma chiara e precisa né dalle coordinate spazio-temporali di svolgimento del giudizio.
Auspichiamo, pertanto, che la giurisprudenza rifugga da una interpretazione letterale della disposizione in esame e che si avveda della dimenticanza in cui è incorso il legislatore evitando di considerare presente al processo l’imputato che, pur non essendo mai comparso in udienza, sia rappresentato da un difensore munito di procura speciale – rilasciata in un momento antecedente a quello della notifica dell’atto introduttivo del giudizio – ai fini della richiesta di un qualche rito alternativo.
I casi di svolgimento del processo in assenza
In linea generale, l’art. 420-bis c.p.p. enumera i casi in cui il giudice procede in assenza dell’imputato, libero o detenuto, che non si presenti in udienza.
La prima ipotesi ricorre qualora l’imputato sia stato citato a comparire a mani proprie o di persona da lui espressamente delegata al ritiro dell’atto. Detta previsione deve necessariamente essere letta in combinato disposto con l’art. 157-ter c.p.p., che reca la disciplina riguardante la notifica degli atti introduttivi del giudizio all’imputato non detenuto.
Tali atti (unitamente al decreto penale di condanna) devono essere notificati “a mani” dell’imputato ovvero, qualora questi abbia dichiarato un domicilio telematico ai sensi dell’art. 161 c.p.p., all’indirizzo PEC comunicato. Il problema è che a tali ipotesi, la riforma equipara anche altre situazioni che, in base all’art. 157 c.p.p. possono essere utilizzate per la notifica dell’atto all’imputato. Il riferimento, in particolare, va alla consegna dell’atto al familiare convivente, al portiere dello stabile o al datore di lavoro, i quali, pur essendo dalla legge abilitati a ricevere la notifica, potrebbero non riferire alcunché all’imputato, col risultato che questi non avrà conoscenza della data e del luogo di svolgimento dell’udienza.
Nei casi in cui la notifica sia stata eseguita “a mani” dell’imputato, e questi successivamente non si presenti all’udienza, verrà considerato assente al processo. Allo stesso modo si procederà in sua assenza, qualora la notifica sia stata ricevuta da «persona da lui espressamente delegata al ritiro dell’atto». In realtà anche tale previsione suscita qualche perplessità, dal momento che non risulta chiaro in quale momento debba essere rilasciata tale delega, né con quali forme debba avvenire.
La seconda ipotesi tipizzata dal legislatore affinché si possa procedere in assenza dell’imputato ricorre quando questi abbia «espressamente rinunciato a comparire o, sussistendo un impedimento ai sensi dell’articolo 420 ter, [abbia] rinunciato a farlo valere».
Se tale ultima previsione non suscita particolare problemi interpretativi, lo stesso non si può dire con riguardo all’inciso contenuto nel secondo comma dell’art. 420-bis c.p.p., dal quale si ricava che «il giudice procede in assenza dell’imputato anche quando ritiene altrimenti provato che lo stesso [abbia] effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole», a tal fine tenendo conto anche delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dell’imputato prima dell’udienza, nonché della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante.
Si tratta di una sorta di clausola di riserva che lascia ampia discrezionalità in capo all’organo giudicante e che potrebbe prestarsi ad eccessive forzature interpretative fino al punto da ricomprendervi casi nei quali l’imputato potrebbe avere conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a proprio carico, ma non dell’accusa che gli viene mossa né della data e del luogo fissati per lo svolgimento del processo. Si pensi, ad esempio, ai casi in cui la notifica sia stata eseguita tramite consegna dell’atto introduttivo del giudizio a persona diversa dall’imputato che, come sopra evidenziato, ben potrebbe non consegnare il plico al destinatario.
Il terzo comma della disposizione de qua precisa che il giudice procede in assenza dell’imputato anche al di fuori dei casi di cui ai commi 1 e 2, qualora questi sia stato dichiarato latitante ovvero si sia sottratto alla conoscenza della pendenza del processo: ipotesi, anche questa, che lascia qualche dubbio sulla effettiva conoscenza della data e del luogo dell’udienza. Si dovrebbe, quindi, procedere in assenza «soltanto laddove siano acquisiti elementi che consentano di affermare che l’imputato, decidendo di sfuggire alla cattura, si è volontariamente posto al di fuori del circuito processuale» (in questi termini G. Colaiacovo, Le modifiche in materia di latitanza, in La riforma Cartabia, Codice penale, codice di procedura penale e giustizia riparativa, a cura di G. Spangher, Pisa, 2022, p. 369).
L’assente, salvo che la legge disponga diversamente, è rappresentato dal difensore.
Gli adempimenti conseguenti all’assenza dell’imputato
Qualora non ricorra nessuna delle situazioni legittimanti il processo in absentia,tipizzate dall’art. 420-bis, commi 1, 2 e 3,c.p.p., dalle quali è possibile ricavare che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza del processo o che si sia sottratto volontariamente a tale conoscenza, il giudice emanerà sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato, ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p.
Prima di emettere detto provvedimento, il giudice, per effetto dell’art. 420-bis, comma 5, c.p.p., dispone che «l’avviso di cui all’art. 419, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale d’udienza siano notificati all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria».
A tale adempimento il giudice è tenuto ogni qual volta egli si avveda della possibilità che manchino i presupposti per procedere in assenza. Tale disciplina è volta a far sì che si realizzi la conoscenza del processo, «attraverso un ulteriore tentativo di rintracciare l’imputato, questa volta operato con il più efficace ausilio della polizia giudiziaria, ovvero di appurare l’impossibilità di raggiungere tale scopo» (Relazione a cura dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, p. 98).
La sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato
L’inedita previsione di cui all’art. 420-quater c.p.p. ha introdotto un nuovo rimedio per i casi in cui l’imputato non sia comparso in udienza senza che ricorrano i presupposti per dichiararne l’assenza o per ritenere sussistente un legittimo impedimento a comparire.
Al ricorrere di tali ipotesi viene emessa sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato.
Sul punto la riforma supera la legislazione previgente che lasciava nel limbo tutti i processi nei quali non era possibile procedere in assenza (cfr. Relazione sulla riforma Cartabia a cura dell’ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, p. 99).
Attraverso tale previsione il legislatore ha perseguito sia lo scopo di deflazione sia quello di recuperare efficienza dal momento che tale pronuncia definisce il procedimento, evitando che il giudice ogni anno debba disporre nuove ricerche dell’imputato.
La natura di tale provvedimento è del tutto peculiare, giacché, pur trattandosi di una sentenza, il giudice con la sua pronuncia non si “spoglia” definitivamente della causa, che rimane in uno stato di latenza, fintantoché non si riesca eventualmente a rintracciare l’imputato.
Come anticipato, la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato può essere pronunciata nei soli casi in cui non vi siano i presupposti per dichiarare l’assenza (art. 420-bis c.p.p.) oppure quando l’imputato non abbia addotto un legittimo impedimento a comparire (art. 420-ter c.p.p.).
Come estremo tentativo, il giudice, prima di pronunciare la sentenza di cui all’art. 420-quater c.p.p., dispone che «l’avviso di cui all’art. 419, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale d’udienza siano notificati all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria» (art. 420-bis, comma 5, c.p.p.)
La sentenza in questione ha natura ibrida poiché, se da un lato chiude una regiudicanda, «dall’altro lato costituisce l’atto propulsivo, di una nuova destinata ad aprirsi se e quando l’originario imputato sarà rintracciato» (così A. Sanna, La sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo. Torsioni sistematiche e deficit di garanzie, in www.discrimen.it).
Altra peculiarità della pronuncia è che le misure cautelari e i provvedimenti di sequestro – in deroga a quanto previsto rispettivamente dall’art. 300 c.p.p. e dagli artt. 262, 317 e 232 c.p.p. – conservano efficacia fino al momento in cui la sentenza di non luogo a procedere non sia più revocabile (art. 420-quater, comma 7, c.p.p.).
Successivamente all’emanazione della sentenza de qua, le ricerche dell’imputato proseguono per un periodo di tempo che può estendersi fino al doppio dei termini stabiliti, ai fini della prescrizione, dall’art. 157 c.p. In tale frangente, il giudice, a richiesta di parte, può eventualmente disporre l’assunzione di prove non rinviabili con le forme previste per l’incidente probatorio.
Si tratta di un’attività che permette di cristallizzare il materiale probatorio da utilizzare nell’eventualità in cui si provveda alla riapertura del processo, qualora le ricerche dell’imputato abbiano dato esito positivo e sia stata revocata la sentenza di non luogo a procedere (cfr. N. Rombi, Il nuovo processo in assenza, in Dir. pen. e processo, 2023, p. 126 ss).
In base al comma 4 dell’art. 420-quater c.p.p., la sentenza contiene l’indicazione che, nell’eventualità in cui le ricerche dell’imputato diano esito positivo, il processo sarà riaperto davanti alla stessa autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza.
Nei casi in cui l’imputato non sia destinatario della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari, questi viene avvisato che l’udienza per la prosecuzione del processo sarà fissata: il primo giorno non festivo del successivo mese di settembre, se la persona è stata rintracciata nel primo semestre dell’anno; il primo giorno non festivo del mese di febbraio dell’anno successivo, se la persona è stata rintracciata nel secondo semestre dell’anno.
La predeterminazione del periodo di riapertura è volta a razionalizzare i tempi del processo. A tal fine, è stato introdotto l’art. 132-ter disp. att. c.p.p., ove viene stabilito che i dirigenti degli uffici giudicanti adottino i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la celebrazione delle udienze destinate alla riapertura dei procedimenti definiti con sentenza ex art. 420-quater, comma 5, c.p.p.
L’avviso contiene altresì l’indicazione che, qualora la persona rintracciata non compaia e non sussista alcun legittimo impedimento, si procederà in assenza dell’imputato, che sarà rappresentato in udienza dal difensore.
La revoca della sentenza di non doversi procedere
La sentenza di non doversi procedere è destinata ad essere revocata qualora la persona nei cui confronti è stata emessa venga rintracciata entro un determinato lasso di tempo dalla sua adozione che, in base all’art. 420-quater, comma 2, lett. e), c.p.p., corrisponde ad un termine doppio rispetto a quello di prescrizione del reato.
Nell’ottica di garantire il rispetto di tale limite temporale, la sentenza dovrà indicare la data fino alla quale dovranno protrarsi le ricerche dell’imputato (art. 420-quater, comma 2, lett. e), c.p.p.).
Qualora vengano contestate più fattispecie criminose, con termini prescrizionali differenti, per effetto dell’art. 420-quater, comma 3, c.p.p., le ricerche proseguiranno «fino a quando per tutti i reati oggetto di imputazione non sia superato il termine previsto dall’articolo 159, ultimo comma, del codice penale».
A tale riguardo, è stato precisato che, nel caso in cui la persona venga rintracciata, la sentenza dovrà essere revocata in toto, senza poter distinguere i reati per i quali la prescrizione non sia ancora maturata e i reati per i quali tale termine sia già decorso (cfr. Relazione dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, p. 102).
Pertanto, il giudice, all’esito dell’udienza preliminare, pronuncia sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (art. 425 c.p.p.).
Nell’eventualità in cui la persona nei cui confronti è stata emessa sentenza di non doversi procedere venga rintracciata, la polizia giudiziaria dovrà notificarle la sentenza e nell’occasione darle avviso della riapertura del processo, nonché della data dell’udienza in cui la persona è citata a comparire davanti all’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento appena notificato (art. 420-sexies, comma 1, c.p.p.).
Non appena pervenga la relazione di notificazione della sentenza e il verbale delle operazioni compiute ad opera della polizia giudiziaria, il giudice disporrà, con decreto, la revoca della sentenza di non luogo a procedere (art. 420-sexies, commi 3 e 4, c.p.p.). A tal fine il giudice fissa l’udienza e dispone che ne venga data comunicazione, almeno venti giorni prima, al pubblico ministero, al difensore dell’imputato e alle altre parti.
Ne consegue che il processo riprenderà nuovamente il proprio corso e, pertanto, il giudice all’udienza dovrà nuovamente accertare la regolare costituzione delle parti. Ove l’imputato non compaia in udienza, a meno che non sussista un legittimo impedimento, si procederà in sua assenza, dal momento che ha ricevuto la notifica a mani proprie ai sensi dell’art. 420-bis, comma i, lett. a), c.p.p.
L’assenza dell’imputato nel giudizio d’appello
Il legislatore ha previsto una apposita disciplina per la dichiarazione d’assenza in grado d’appello.
La riforma distingue il caso dell’imputato assente appellante da quella dell’imputato non appellante, in ragione del fatto che per l’appellante assente in primo grado la delega ha imposto l’onere di depositare procura speciale e elezione di domicilio successivi alla sentenza. Tali adempimenti – secondo quanto si legge nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo – darebbero «certezza circa la conoscenza del processo e della sentenza».
Come efficacemente osservato, il deposito della procura speciale e l’elezione di domicilio successivamente alla sentenza di primo grado sarebbero indicativi della volontà di voler impugnare il provvedimento, ma non si tratta di adempimenti idonei a dimostrare la conoscenza del processo d’appello, «conoscenza che può ritenersi acquisita solo con la successiva notificazione della relativa citazione a giudizio (art. 601, comma 3, c.p.p.)» (v. L. Kalb, La nuova disciplina del processo in assenza dell’imputato: la ricerca di una soluzione equilibrata per il superamento di problemi ancora irrisolti, in La riforma Cartabia, Codice penale, codice di procedura penale e giustizia riparativa, a cura di G. Spangher, Pisa, 2022, p. 355).
Muovendo dall’assunto che gli adempimenti di cui sopra darebbero «certezza circa la conoscenza del processo e della sentenza», la riforma ha previsto che, pure in relazione all’imputato assente in primo grado e appellante non presente alle udienze che si svolgono in presenza (artt. 599 e 602 c.p.p.), qualora le notifiche siano regolari, si proceda in assenza anche fuori dei casi di cui all’articolo 420-bis c.p.p. Ovviamente, anche con riguardo all’ipotesi in esame, riteniamo valide le riserve espresse in precedenza, giacché l’imputato potrà avere conoscenza del processo d’appello solo con la notifica del decreto di citazione a giudizio di cui all’art. 601, comma 3, c.p.p.
Per quanto riguarda, invece, l’imputato non appellante, non presente in primo grado, se si tratta di udienze d’appello che si svolgono in presenza, ferma sempre la verifica della regolarità delle notificazioni, la Corte procede solo se sussistono le condizioni previste dall’art. 420-bis, commi 1, 2 e 3, c.p.p. per procedere in assenza; altrimenti dispone, con ordinanza, la sospensione del processo e ordina le ricerche dell’imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione.
Non trova applicazione la disciplina di cui agli artt. 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies c.p.p., giacché, ove intervenisse una sentenza di non luogo a procedere, verrebbe revocata la sentenza di primo grado (cfr. L. Kalb, La nuova disciplina del processo in assenza dell’imputato, cit., p. 356).
Una specifica disciplina è stata dettata anche per le udienze che non si svolgono con la presenza delle parti (legittimate dalla direttiva in materia di assenza, che le contempla). Al riguardo si è stabilito che, anche in quel caso, la Corte deve accertare la regolarità della notificazione e verificare, nei confronti dell’imputato non appellante, la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 420-bis commi 1, 2 e 3 c.p.p. per procedere in assenza, disponendo altrimenti le sue ricerche. Ed infatti, anche a fronte di udienze “non partecipate” non può prescindersi dalla necessità di garantire l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato non appellante.
Il sistema dei rimedi
L’art. 1, comma 7, lett. g), L. n. 134/2021 ha conferito delega al Governo al fine di «ampliare la possibilità di rimedi successivi a favore dell’imputato e del condannato giudicato in assenza senza avere avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo, armonizzando la normativa processuale nazionale con quanto previsto dall’articolo 9 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016».
A tal fine, il legislatore delegato ha previsto sia rimedi interni al processo, sia rimedi esperibili “post giudicato”.
Con riguardo ai primi, l’art. 420-bis predispone rimedi “interni” all’udienza preliminare per le ipotesi in cui si sia proceduto in assenza pur in mancanza dei presupposti.
Due sono le ipotesi che vengono in considerazione e differenti sono i rimedi per esse apprestati.
Innanzitutto, è possibile che l’assenza sia stata correttamente dichiarata dal giudice e tuttavia l’imputato, prima della decisione, sia comparso in udienza. Ciò comporta che il giudice debba revocare, anche d’ufficio, l’ordinanza che ha dichiarato l’assenza e debba altresì rimettere l’imputato in termini per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto.
A tal fine, tuttavia, devono ricorrere le condizioni specificamente indicate dal comma 6 dell’art. 420-bis c.p.p., che è onere dell’imputato provare. Queste consistono:
a) nell’esistenza di caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento che gli abbiano impedito in modo assoluto di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che è stato nella assoluta impossibilità di trasmettere tempestivamente la prova dell’impedimento, senza che sia ravvisabile una sua colpa;
b) nelle ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto “altrimenti provata” l’effettiva conoscenza del processo, ovvero nel caso di latitanza o di volontaria sottrazione, l’imputato deve fornire la prova di non aver avuto conoscenza del processo e di non essere stato in grado, senza sua colpa, di intervenire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto; c) quando risulti comunque che non ricorrevano i presupposti per dichiarare l’assenza. |
Non può negarsi che l’imputato incontrerà enormi difficoltà di natura oggettiva nell’adempiere a tale onere dimostrativo per essere restituito nel termine e che, addirittura, la prova di non aver avuto conoscenza del processo può rappresentare una probatio diabolica.
Inoltre, dal nuovo impianto normativo si deduce «che è del tutto preclusa qualsiasi iniziativa restitutoria ove la doglianza riguardi l’effettiva conoscenza del processo, svoltosi in assenza in ragione di presupposti la cui esistenza attesta per il sistema – senza possibilità di prova contraria – l’avvenuta conoscenza» (in questi termini, L. Kalb, La nuova disciplina del processo in assenza dell’imputato, cit., p. 358).
L’art. 420-bis c.p.p.contempla altresì un rimedio generale per l’ipotesi in cui il giudice si avveda che l’assenza sia stata erroneamente dichiarata. In tal caso, egli revoca anche d’ufficio l’ordinanza che ha dichiarato l’assenza e provvede a norma del comma 5, rinviando l’udienza e disponendo che l’avviso di fissazione dell’udienza, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale dell’udienza siano notificati all’imputato a mezzo polizia giudiziaria. Pur nel silenzio della norma, sembra doversi ritenere che anche in tal caso, come per l’ipotesi contemplata dal comma 6, l’imputato sarà restituito nel termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto, senza che però gravi su di lui alcun onere, posto che la sua mancata comparizione in udienza non è derivata da una sua scelta volontaria, né l’assenza di consapevolezza del processo è dipesa da sua colpa.
Per quanto riguarda il dibattimento, il novellato art. 489 c.p.p. prevede che il giudice, anche d’ufficio, dichiari la nullità del decreto che dispone il giudizio, adottato a seguito di una dichiarazione d’assenza disposta in mancanza dei presupposti sanciti dall’art. 420-bis c.p.p. Tuttavia, tale nullità potrà essere rilevata solo nei casi in cui l’imputato non si sia presentato alla prima udienza dibattimentale, mentre verrà sanata se l’imputato ha rinunciato a comparire ovvero è comparso e non l’ha eccepita, alla stregua di una qualsiasi nullità relativa, in evidente contrasto con le previsioni generali in materia di nullità assoluta (cfr. A. Chelo, Saldi intenti di razionalizzazione e timidi tentativi di recupero delle garanzie nel giudizio “secondo Cartabia”, cit., p. 171).
La riforma è altresì intervenuta sull’art. 494 c.p.p., il quale attribuisce all’imputato il rimedio della restituzione nel termine anche nel caso in cui risulti che questi – pur essendo corretta la dichiarazione di assenza – si trovasse in presenza di un impedimento che non abbia potuto addurre in tempo, ovvero, nei casi previsti dall’art. 420-bis, commi 2 e 3, c.p.p., mancasse una effettiva conoscenza della pendenza del processo o gli sia stato impossibile intervenire, senza colpa, in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto; in questi casi, però, gli atti regolarmente compiuti in precedenza resteranno comunque validi.
Riteniamo, però, che «la possibilità di riconoscere all’imputato l’esercizio successivo dei diritti e delle facoltà la cui sede propria è l’udienza preliminare non consente di ritenerlo completamente reintegrato, permanendo gli esiti della lesione del diritto di (auto)difesa quantomeno nei termini di una perdita di chance» (così A. Chelo, Saldi intenti di razionalizzazione e timidi tentativi di recupero delle garanzie nel giudizio “secondo Cartabia”, cit., p. 172).
Anche nel corso del giudizio di secondo grado ci si potrebbe avvedere del fatto che la dichiarazione di assenza è stata pronunciata in difetto dei presupposti previsti dall’art. 420-bis, commi 1, 2, e 3, c.p.p.
In tal caso, la Corte d’appello dichiara la nullità della sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità. Tale vizio deve essere eccepito nell’atto di appello e non può essere né rilevato d’ufficio né eccepito dalla parte (art. 604, comma 5-bis, c.p.p.) se risulta che l’imputato era a conoscenza della pendenza del processo ed era nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza.
Per quanto riguarda il giudizio di legittimità, l’art. 623, comma 1, lett. b-bis c.p.p. -richiamando l’art. 604, commi 5-bis e 5-ter c.p.p. – prevede una disciplina speculare a quella dettata per l’appello.
In particolare, nei casi di cui all’art. 604, comma 5-bis, c.p.p., l’annullamento comporta, oltre che il travolgimento degli atti compiuti, il rinvio al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità. Nei casi di cui all’art. 604, comma 5-ter, c.p.p., invece, gli atti precedentemente compiuti non sono travolti e il rinvio è disposto al giudice della fase nella quale può essere esercitata la facoltà dalla quale l’imputato è decaduto.
La rescissione del giudicato
La riforma è intervenuta altresì sull’istituto della rescissione del giudicato, quale rimedio straordinario in grado di travolgere le sentenze irrevocabili.
Alla luce delle modifiche apportate all’art. 629-bis c.p.p., l’ambito applicativo della rescissione del giudicato è destinato ad operare fuori dei casi in cui opera l’istituto della “revisione europea” introdotto all’art. 628-bis c.p.p., nelle ipotesi in cui il condannato e la persona sottoposta a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza. Costoro dovranno provare la concomitante ricorrenza dei tre seguenti presupposti:
a) che la dichiarazione di assenza sia stata effettuata in carenza dei presupposti di cui all’art. 420-bis (in tutti i casi);
b) di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo; c) di non aver potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza loro colpa. |
Tale ultima condizione preclusiva si giustifica per la possibilità, riconosciuta dal sistema, di far valere la nullità della dichiarazione di assenza in tutte le fasi e i gradi del processo.
Del resto, nell’attuale sistema, l’istituto della rescissione non si limita, come già previsto dall’art. 175 c.p.p., a restituire nel termine per impugnare la sentenza emessa nel processo in cui l’imputato sia rimasto assente, ma garantisce la celebrazione di un nuovo giudizio, se la sua mancata partecipazione non sia stata volontaria.
La relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 150/2022 precisa che «l’aver esteso l’istituto della rimessione in termini a colui che non deduca una illegittima dichiarazione di assenza, ma assuma che, incontestata la correttezza della pronuncia, non ha avuto effettiva conoscenza del processo, esclude la necessità di ritenere esperibile in tali casi il rimedio rescissorio, che presuppone una invalidità di fondo».
Disposizioni transitorie in materia di assenza
L’art. 89 D.Lgs. n. 150/2022 contiene la disciplina transitoria relativa al processo in absentia, «al fine di ovviare alle incertezze applicative legate all’applicazione della regola tempus regit actum, proprio per le difficoltà legate all’individuazione dei presupposti identificativi dell’actum e del tempus, trattandosi di modifiche di norme processuali inserite all’interno di una sequenza procedimentale, nella specie, che fonda e legittima la dichiarazione di assenza dell’imputato» (Relazione a cura dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, p. 186).
In via generale, il principale elemento di valutazione, ai fini dell’applicazione delle nuove disposizioni, è individuato dal legislatore nel momento della verifica della costituzione delle parti, cui ordinariamente è associata la dichiarazione di assenza che, ove già compiuta alla data di entrata in vigore del decreto, determinerà tendenzialmente l’applicazione al procedimento delle disposizioni anteriormente vigenti.
In tema di restituzione del termine, è stata inoltre prevista una disposizione transitoria in relazione ai procedimenti relativi a reati commessi prima del 1° gennaio 2020, in cui sia stata disposta la restituzione nel termine ai sensi dell’art. 175, comma 2.1., c.p.p.
Per tali reati non opera il blocco della prescrizione con la sentenza di primo grado. L’art. 88 D.Lgs. n. 150/2022 prevede, infatti, che in tal caso non si calcoli, ai fini della prescrizione del reato, il tempo intercorso tra la scadenza del termine per impugnare e la notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza che concede la restituzione nel termine.
Conclusioni
Nonostante i compilatori della riforma abbiano manifestato la volontà di rivedere la disciplina del processo in absentia, in modo tale da adeguarla alla Direttiva n. 2016/343/UE, sono ancora percettibili alcune contaminazioni di fondo col precedente assetto normativo, che ha come canone di riferimento la “conoscenza del procedimento” anziché la “conoscenza del processo”. Nonostante le due formule possano apparire abbastanza simili tra loro da un punto di vista semantico, il loro contenuto è ben diverso. Difatti, una cosa è venire a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a proprio carico; altra cosa è, invece, conoscere la data e il luogo di svolgimento del processo, in modo tale da potervi partecipare e difendersi.
Ciò posto, a dispetto dei buoni auspici, continuano ad operare meccanismi presuntivi per effetto dei quali l’imputato viene considerato presente al processo anche quando manchi la prova che questi abbia contezza dell’accusa e delle coordinate spaziotemporali di svolgimento del giudizio.
In particolare, mostriamo preoccupazione per quelle disposizioni che rimettono al giudice la possibilità di considerare presente l’imputato anche qualora questi non abbia ricevuto personalmente la notifica dell’atto introduttivo del giudizio.
Auspichiamo che la giurisprudenza rifugga da interpretazioni estensive che possano snaturare lo spirito della riforma, come potrebbe accadere, ad esempio, considerando presente l’imputato che abbia conferito al proprio difensore, anteriormente alla notifica della vocatio in ius, procura speciale valida per la richiesta di un procedimento speciale.
In fin dei conti, occorre acquisire consapevolezza del fatto che la presenza dell’imputato al proprio processo è un diritto fondamentale, funzionale a far sì che alla “difesa tecnica” si possa affiancare l’“autodifesa”.
Da questo punto di vista la Corte penale internazionale offre maggiori garanzie, dal momento che non consente il dibattimento in assenza dell’accusato.
Riferimenti normativi:
Art. 420-bis c.p.p.