Riduzione di pena se l’estorsione è di “lieve entità”
lunedì 19 giugno 2023
di Corbetta Stefano Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
Con la sentenza n. 120 depositata il 15 giugno 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 c.p., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Corte costituzionale, sentenza 15 giugno 2023, n. 120
Il caso
Il Tribunale di Firenze solleva, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629 c.p., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita in misura non eccedente i due terzi quando il fatto risulti di lieve entità, e, in via subordinata, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita quando il fatto risulti di lieve entità.
Analogamente, il Tribunale di Roma, in riferimento agli stessi parametri nonché al primo comma dell’art. 27 Cost., sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629, primo e secondo comma, c.p., nella parte in cui non prevede una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Entrambi i rimettenti erano chiamati a giudicare su imputazioni per il reato di estorsione riguardo a fatti di coartazione tramite minaccia, perpetrati ai danni di vittime di furto, le quali, per recuperare il bene loro sottratto (rispettivamente, un telefono cellulare e le chiavi di un motociclo), erano state costrette a pagare somme, pur modeste, di danaro, nell’ordine di alcune decine di euro.
Ad avviso dei giudici a quibus, i fatti estorsivi oggetto delle imputazioni sono di lieve entità, per il carattere estemporaneo della condotta, per l’esiguità del danno patrimoniale e del lucro, per la scarsa incidenza della minaccia di definitiva perdita del bene.
Ciò posto, secondo i rimettenti la severità del minimo edittale della pena comminata per il delitto di estorsione, pari a cinque anni di reclusione, impedisce di irrogare una sanzione proporzionata al concreto, modesto, disvalore del fatto, al netto dell’eventuale applicazione dell’attenuante comune della speciale tenuità del danno e del lucro, di cui all’art. 62, comma 1, n. 4), c.p.; si invoca, pertanto, un intervento additivo, evocando a modello la sentenza della Corte costituzionale n. 68/2012, la quale dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 630 c.p. nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Ad avviso del Tribunale di Firenze, inoltre, la mancanza di un’attenuante di lieve entità per il reato di estorsione viola l’art. 3 Cost., perché il conseguente trattamento sanzionatorio risulterebbe irragionevole, sia considerato intrinsecamente, sia in comparazione con altre ipotesi delittuose – segnatamente a confronto con la diminuente di pena fino a due terzi prevista dall’art. 609-bis, terzo comma, c.p. per la violenza sessuale di minore gravità; la sproporzione per eccesso della pena in concreto non potrebbe d’altronde conciliarsi con la finalità rieducativa che ad essa attribuisce l’art. 27, terzo comma, Cost.
Da qui la richiesta additiva, che il Tribunale di Firenze riferisce, in via principale, ad un’attenuante fino a due terzi, estesa per comparazione dall’art. 609-bis, comma 3, c.p., e, in via subordinata, ad un’attenuante fino a un terzo, sull’esempio della già citata sentenza Corte cost. n. 68/2012.
La decisione della Corte
La Corte, in primo luogo, ha ritenuto infondate le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze in via principale, con cui si chiedeva l’addizione di una diminuente fino a due terzi, sul modello previsto per il delitto di violenza sessuale dall’art. 609-bis, comma 3, c.p., in considerazione della eterogeneità dell’evocato tertium comparationis.
La Corte, infatti, ha evidenziato che l’attenuante di cui all’art. 609-bis, comma 3, c.p. è stata introdotta in sede di una generale riconfigurazione dei delitti sessuali, alla quale è estraneo il reato di estorsione, allo scopo di “temperare gli effetti della concentrazione in un unico titolo di reato di condotte tra loro assai differenti, inclusive tanto della congiunzione carnale quanto dell’atto di libidine”.
Del resto, il diritto vivente, coerentemente con il bene tutelato dalla norma incriminatrice, “collega il riconoscimento dell’attenuante in questione a una valutazione globale del fatto guidata da indici palesemente inconferenti alla dimensione patrimoniale dell’estorsione, in quanto rapportati al grado di compressione della libertà sessuale e al conseguente danno arrecato alla vittima in termini psichici”.
Sono state invece ritenute fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Roma e, in via subordinata, dal Tribunale di Firenze.
La Corte ha evidenziato come, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 8D.L. 31 dicembre 1991, n. 419, convertito, con modificazioni, nella L. 18 febbraio 1992, n. 172, il minimo edittale per la fattispecie base del delitto di estorsione è stato elevato da tre a cinque anni di pena detentiva; tale innalzamento ha “determinato una sostanziale impossibilità per l’autore del reato di estorsione di accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena, ove pure il fatto-reato sia in concreto, non soltanto esente da circostanze aggravanti, ma finanche connotato dalla speciale tenuità del danno patrimoniale e del lucro”.
La Corte ha evidenziato che, in passato, le questioni di legittimità costituzionale, al metro degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., ad oggetto tale incremento sanzionatorio furono dichiarate manifestamente infondate, sul presupposto che detto inasprimento, “come emerge dalla Relazione accompagnatrice del disegno di legge di conversione del decreto, appare comunque giustificato dalla esigenza di evitare che possano essere irrogate pene che, con il concorso delle circostanze attenuanti, si mantengano nei limiti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, a causa della difficile individuazione in concreto dell’aggravante di far parte di un’associazione di stampo mafioso” (Corte cost. ordinanza n. 368/1995; in senso conforme Corte cost. ordinanza n. 460/1997).
Tali precedenti, tuttavia, ha osservato la Corte, non influiscono sulle questioni in esame, che concernono il diverso profilo dell’inesistenza di un’attenuante di lieve entità.
Al proposito, la Corte si è ricollegata alla sentenza Corte cost. n. 68/2012, largamente citata dai rimettenti, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p., nella parte in cui non prevedeva che la pena da esso comminata fosse diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità.
In quella decisione, la Corte ritenne sussistente la violazione sia dell’art. 3 Cost., in relazione alla similare fattispecie sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione, punito dall’art. 289-bis c.p., cui si applica la circostanza attenuante di cui all’art. 311 c.p. nel caso di “lieve entità del fatto”, sia dell’art. 27 Cost., nella prospettiva della proporzionalità della pena come premessa della finalità rieducativa, e considerando la funzione assegnata a detta attenuante, “che consiste propriamente nel mitigare – in rapporto ai soli profili oggettivi del fatto (caratteristiche dell’azione criminosa, entità del danno o del pericolo) – una risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza e che, proprio per questo, rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varietà delle situazioni concrete riconducibili al modello legale”.
Un analogo iter argomentativo è stato seguito dalla sentenza Corte cost. n. 244/2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 167, comma 1, c.p. mil. di pace, il quale incrimina – con una pena non inferiore a otto anni di reclusione -il sabotaggio militare, nella parte in cui non prevedeva che la pena fosse diminuita se il fatto di rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle Forze armate dello Stato risultasse, per la particolare tenuità del danno causato, di lieve entità.
In quella decisione, la Corte ritenne violato il principio di proporzionalità della pena per la mancata previsione di una causa di attenuazione del trattamento sanzionatorio per i fatti di lieve entità abbracciati dal perimetro applicativo della disposizione censurata.
Pur ritenendo impraticabile un’estensione dell’attenuante di cui all’art. 311 c.p., applicabile al sabotaggio comune, la Corte ha osservato che il trattamento sanzionatorio può risultare, anche per il militare in servizio, “manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, con pregiudizio allo stesso principio di individualizzazione della pena e alla sua necessaria funzione rieducativa”.
Ciò premesso, la Corte ha ritenuto sussistente, nel caso in esame, la violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e finalità rieducativa della pena: “la mancata previsione di una ‘valvola di sicurezza’ che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza”.
Orbene, stante l’affinità tra l’estorsione e il sequestro di persona a scopo di estorsione, che emerge non soltanto dalla parziale coincidenza dell’oggettività giuridica, ma anche dal parallelismo evolutivo dei rispettivi trattamenti sanzionatori, si “impone di estendere all’un titolo di reato la medesima ‘valvola di sicurezza’ introdotta per l’altro dalla sentenza Corte cost. n. 68/2012”.
La Corte, infatti, ha rilevato che gli indici dell’attenuante di lieve entità del sequestro estorsivo – individuati dalla giurisprudenza di legittimità nell’estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità delle somme estorte e assenza di profili organizzativi (Cass. pen., Sez. V, sentenza 20/4/2017, n. 18981) – risultano coerenti con la fisionomia oggettiva del delitto di estorsione, in quanto garantiscono che la riduzione della pena – in misura non eccedente un terzo – “sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona”.
La Corte ha perciò dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 c.p. – per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., assorbita la censura di cui al primo comma dello stesso art. 27 – “nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”.
Esito del ricorso:
Dichiarazione di illegittimità costituzionale, dichiarazione di infondatezza;
Riferimenti normativi:
Art. 629 c.p.