Penale
Reati contro gli animali
Tenuità dal fatto a chi causa gravi sofferenze agli animali ma non li sottopone a vere e proprie sevizie
martedì 12 settembre 2023
a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il tribunale aveva condannato un imputato perché ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 727, comma 2, c.p., a lui contestato per aver detenuto presso la propria abitazione e relative pertinenze 15 cani in condizioni incompatibili con la loro natura, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 4 settembre 2023, n. 36574 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui erroneamente il giudice aveva negato l’applicazione della speciale causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità, non avendo egli sottoposto gli animali a vere e proprie sevizie, detenendoli solo in condizioni incompatibili con la loro natura, il che esula dal divieto di legge invocato dal giudice – ha affermato che se è ben vero che l’art. 131-bis, comma 2, c.p. contempla, tra le condizioni ostative al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, i casi in cui l’autore del fatto abbia agito per motivi abietti o futili o con crudeltà “anche nei confronti degli animali”, è altrettanto vero che tale divieto non è applicabile ove il reo, pur causando gravi sofferenze agli animali, non li sottoponga a vere e proprie sevizie, atteso che, in tali caso, il reato non è sorretto dal dolo ma dalla colpa, elemento questo non compatibile con la crudeltà o i motivi abietti o futili.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza 4 settembre 2023, n. 36574
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Non si rinvengono precedenti |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 727, c.p. sotto la rubrica «Abbandono di animali» punisce con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro la condotta di chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività. Il comma 2 prevede che alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.
La L. 20/7/2004, n. 189, ha parzialmente abrogato la norma in commento, inserendo, in luogo delle previgenti disposizioni, un nuovo titolo del Codice penale (titolo IX-bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”). In questa sede preme segnalare come il novellato art. 727 preveda due autonome figure di reato, entrambe di natura contravvenzionale, il cui più rigoroso trattamento sanzionatorio comporta la possibilità di definire il procedimento con l’oblazione di cui all’art. 162-bis.
Per quanto concerne la seconda di esse, qui di interesse, il parametro normativo della natura degli animali, in base al quale la condotta di detenzione assume valenza illecita, richiede, per le specie più note, che ci si riferisca al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Cass. pen., Sez. III, 24/1/2022, n. 2511; Cass. pen., Sez. III, 3/11/2016, n. 46144; Cass. pen., Sez. III, 17/12/2014, n. 6829; Cass. pen., Sez. III, 4/6/2014, n. 37859). Sussiste ad esempio il reato se il regime di detenzione è incompatibile con le caratteristiche etologiche e con l’habitat dell’animale (Cass. pen., Sez. III, 30/1/2017, n. 46365). La grave sofferenza dell’animale deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere (Cass. pen., Sez. III, 7/12/2016, n. 52031).
Anche sotto il vigore della precedente formulazione normativa, il reato era stato ravvisato nella detenzione di gatti in gabbie talmente piccole da implicare la possibilità di movimento solo a costo di notevoli sofferenze per gli stessi, nonché nella detenzione di uccelli in gabbie di dimensioni ridotte poste in un ambiente umido e buio (Cass. pen. 20/5/1997; Cass. pen. 10/4/1996). Integrava, altresì, la fattispecie la condotta di colui che detenesse cavalli in un recinto situato in una posizione tale da impedire agli animali di potersi riparare o bere in modo adeguato (P. Modena 30/7/1997). Si consideri ancora il caso del venditore di animali vivi che, contrariamente alle più elementari regole dell’igiene, esponga in vendita cani chiusi in gabbie da polli sovrapponendole ad altre gabbie contenenti animali di specie diversa. In tale ipotesi la mancanza di movimento e l’evidente promiscuità di detenzione degli animali determinano, per la precedente giurisprudenza, una situazione di incompatibilità con la natura degli stessi (Cass. pen. 14/3/1990).
La giurisprudenza aveva ritenuto integrati gli estremi della contravvenzione in esame anche nell’ipotesi cani lasciati sempre all’aperto, costretti da catene molto corte e privi di un qualsiasi riparo o di mezzi di sostentamento (P. Verona 22/9/1987). Il reato era stato, da ultimo, ravvisato nel fatto di chi lascia il proprio cane in auto in periodo estivo, così da cagionarne la morte a causa dell’eccessivo calore (Cass. pen., Sez. III, 13/11/2007; Cass. pen., Sez. III, 24/6/1999). Il reato è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Cass. pen., Sez. III, 3/7/2015, n. 36377).
La detenzione è penalmente rilevante non solo quando determina un vero e proprio processo patologico nell’animale, ma anche quando produce meri patimenti (Cass. pen., Sez. III, 21/10/2022, n. 39844, in caso di detenzione di cani; Cass. pen., Sez. III, 4.4.2019, n. 14734). La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato la contravvenzione sia in caso di detenzione di rapaci in ambienti così angusti da provocare la recisione della parte esterna delle ali e in stato di sostanziale abbandono in quanto denutriti (Cass. pen. 6/10/2004), sia allorquando dalla detenzione incompatibile con la natura dell’animale derivi allo stesso una sofferenza rappresentata dallo stato di disidratazione e lieve anemia (Cass. pen. 21/9/2005) sia in un caso di trasporto di bovini stipati in un furgone di piccole dimensioni e privo d’aria (Cass. pen., Sez. V, 6/4/2018, n. 15471); sia in un caso di detenzioni di asini in condizioni tali da costringerli ad un portamento innaturale, tale da impedire o rendere difficoltosa la deambulazione o dal mantenere una posizione eretta e stabile (Cass. pen., Sez. III, 4/4/2019, n. 14734).
La contravvenzione è integrata dalla condotta del responsabile di un circo che detenga elefanti in catene quale condizione abituale nelle ore notturne (Cass. pen., Sez. III, 3/3/2016, n. 25805), così come l’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza (Cass. pen., Sez. III, 19/3/2021, n. 10758; Cass. pen., Sez. III, 7/4/2020, n. 11561; Cass. pen., Sez. III, 24/1/2018, n. 3290; Cass. pen., Sez. III, 11/2/2016, n. 21932). Integra il reato, ex art. 727, la detenzione di volatili in condizioni di privazione di cibo, acqua e luce (Cass. pen., Sez. VI, 22/3/2016, n. 17677); mentre è integrato il delitto di cui all’ art. 544-ter, in caso di detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l’avulsione del piumaggio e di loro impiego nell’attività venatoria quali richiami vivi, fuori dai casi e dai modi consentiti dagli artt. 4 e 5, L. 11/2/1992, n. 157 (Cass. pen., Sez. V, 24/5/2022, n. 20221). Con particolare riferimento al reato in esame, infine, si è affermato che la causa di non punibilità può essere riconosciuta con riferimento alla contravvenzione ex art. 727 quando il fatto sia commesso in prossimità di una struttura adeguata a soccorrere gli animali, senza alcun patimento per gli stessi (Cass. pen., Sez. III, 6/3/2023, n. 9202).
Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale aveva condannato un uomo in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 727, comma 2, c.p., a lui contestato per aver detenuto presso la propria abitazione e relative pertinenze 15 cani in condizioni incompatibili con la loro natura, posto che alcuni di essi erano distesi sopra le loro stesse feci, essendo privi di un adeguato giaciglio, altri manifestavano infezioni massive da parassiti ed erano in evidente stato di denutrizione, mentre due animali venivano rinvenuti nel cortile antistante l’abitazione, legati con catena avente lunghezza di circa due metri, inferiore a quella prevista per legge e privi di alcun ricovero o tettoia.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa si doleva, per quanto qui di interesse, per il mancato riconoscimento dell’art. 131-bis, c.p., evidenziando che il Tribunale aveva disatteso la richiesta difensiva in ragione di un presunto divieto normativo che in realtà non esiste, posto che il divieto stabilito dal comma 2 dell’art. 131-bis c.p. attiene alle condotte nelle quali l’autore del fatto ha agito “per motivi abietti o futili o con crudeltà“, in danno di persone o anche di animali, condotta questa che, nel caso di specie, non ricorre, atteso che, come riconosciuto dallo stesso Tribunale, l’imputato non aveva sottoposto gli animali a vere e proprie sevizie, detenendoli solo in condizioni incompatibili con la loro natura, il che esula dal divieto invocato dal giudice. La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C. ha preso atto della circostanza che il reo, pur causando gravi sofferenze agli animali; tuttavia, “non li ha sottoposti a vere e proprie sevizie”, tanto è vero che il reato è stato ritenuto sorretto non dal dolo ma dalla colpa, elemento questo non compatibile con la crudeltà o i motivi abietti o futili. Stante l’inesattezza del richiamo normativo operato dal giudice, che ha fermato a tale rilievo la propria disamina sul punto, si è quindi giustificato l’annullamento della sentenza impugnata per una nuova valutazione da parte del giudice.
Riferimenti normativi:
Art. 727, comma 2 c.p.
Art. 131-bis c.p.