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In G.U. il D.L. Caivano di contrasto alla criminalità giovanile

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Penale

Criminalità minorile

In G.U. il D.L. Caivano di contrasto alla criminalità giovanile

martedì 19 settembre 2023

di Molino Pietro Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione

È stato pubblicato nella G.U. n. 216 del 15 settembre 2023 il D.L. 15 settembre 2023, n. 123 contro la criminalità giovanile, giornalisticamente noto come “decreto Caivano” perché concepito come risposta agli episodi di criminalità minorile, registratisi (ma non solo) nel comune campano: finalità dichiarata dell’intervento legislativo è quella di intervenire approntando una più incisiva risposta sanzionatoria, correlandola all’intera durata dell’obbligo scolastico stesso e alla previsione di misure disincentivanti l’elusione nei confronti degli esercenti la responsabilità genitoriale.

D.L. 15 settembre 2023, n. 123 – G.U. n. 216 del 15 settembre 2023

È stato pubblicato nella G.U. n. 216 del 15 settembre 2023 il D.L. 15 settembre 2023, n. 123 contro la criminalità giovanile, giornalisticamente noto come “decreto Caivano”.

Il cuore del decreto – che contempla anche interventi specificamente dedicati al territorio del comune di Caivano (art. 1), alla tutela della dignità delle vittime dei reati commessi per via telematica (art. 10), al potenziamento del piano asili nido per la fascia di età 0-2 anni (art. 12) e al rafforzamento del rispetto dell’obbligo scolastico (art. 13) – è peraltro rappresentato dal capo II, al cui interno sono previste misure di prevenzione e di pubblica sicurezza, nonché disposizioni di natura penale e processuale, misure che dovrebbero tenere conto della specificità della condizione dell’autore di reato minorenne, intervenendo anche sui presupposti di applicabilità delle misure cautelari; è introdotto infine un procedimento anticipato, idoneo al reinserimento e alla rieducazione del minore autore di condotte criminose.

Ma procediamo con ordine.

L’estensione del cd. “Daspo urbano”

Un primo gruppo di novità – art. 2 del decreto in commento – riguarda le misure di prevenzione a tutela della sicurezza pubblica e della sicurezza delle città ed in particolare il cd. “Daspo urbano”.

Come noto, quest’ultimo è istituto introdotto per la prima volta con il D.L. 20 febbraio 2017, n. 14 (cd. “decreto Minniti”), convertito, con modificazioni, dalla L. 18 aprile 2017, n. 48; il Daspo urbano è stato successivamente oggetto di modifiche ed integrazioni prima per opera del D.L. n. 113/2018, denominato “sicurezza e immigrazione” (uno dei cosiddetti “decreti Salvini”), poi per effetto del D.L. n. 130/2020, convertito dalla L. n. 173/2020 (decreto sicurezza Lamorgese).

Con l’intento di tutelare le aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aereoportuali, marittime e di traporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, nonché i presidi sanitari e le aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli, nonché ancora le zone di particolare interesse turistico, la disciplina sinora vigente (art. 9, comma 1, del D.L. n. 14/2017) contempla una fattispecie di illecito amministrativo volta a sanzionare le condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione delle predette aree e infrastrutture, prevedendo sia una sanzione amministrativa pecuniaria, sia un ordine di allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto; ordine adottato anche nei confronti di coloro che, nelle medesime aree, si siano resi responsabili di illeciti, amministrativi o penali, di ubriachezza, atti contrari alla pubblica decenza, esercizio abusivo del commercio o del parcheggio abusivo.

L’ordine di allontanamento – la cui adozione spetta all’organo accertatore – deve essere rivolto per iscritto, riportando le motivazioni per le quali lo stesso è stato adottato ed indicando dettagliatamente i luoghi inibiti, per poi essere trasmesso con immediatezza al Questore competente per territorio con contestuale segnalazione ai competenti servizi socio-sanitari, ove ne ricorrano le condizioni; l’efficacia del provvedimento è limitata alle quarantotto ore successive all’accertamento del fatto e la sua violazione comporta il raddoppio della sanzione pecuniaria applicata alla violazione del divieto di stazionamento ed occupazione.

In caso di reiterazione delle condotte vietate, se da questa possa derivare pericolo per la sicurezza, il Questore può disporre con provvedimento motivato, per un periodo non superiore a dodici mesi, il divieto d’accesso ad una o più delle aree sopra indicate, individuando altresì le modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto. La durata del provvedimento varia dai dodici mesi ai due anni qualora le condotte siano commesse da un soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio. La pena per questi ultimi soggetti – in caso di trasgressione del divieto – è quella dell’arresto da uno a due anni, mentre nell’ipotesi non soggettivamente qualificata la sanzione prevista è quella dell’arresto da sei mesi ad un anno.

Sempre secondo il D.L. n. 14/2017 (e successive modifiche e integrazioni), al Questore è attribuita, ai sensi dell’art. 13, la facoltà di disporre il divieto di accesso o di stazionamento nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico o pubblici esercizi nei confronti di soggetti denunziati o condannati, anche non definitivamente, negli ultimi tre anni per reati di vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope commessi in quegli stessi luoghi.

Il divieto – di durata non inferiore ad un anno e non superiore a cinque – può essere accompagnato dall’obbligo di presentazione, almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dell’Arma e/o da quello di rientrare nella propria abitazione, e/o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata, e/o ancora dal divieto di allontanarsi dal comune di residenza e/o ovvero obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici; in tali casi, trattandosi di prescrizioni che non influiscono solo sulla libertà di circolazione (circoscrivendola limitatamente) ma incidono direttamente sulla libertà personale imponendo obblighi positivi di comparizione o di stazionamento, il provvedimento è sottoposto – in tale parte – alla convalida del Giudice per le indagini preliminari, il quale ha ampia autonomia anche nel modificare il provvedimento.

La trasgressione del divieto e delle prescrizioni è punita con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da ottomila a ventimila euro.

La disciplina del cd. “Daspo urbano” è infine arricchita dalla previsione del cd. Daspo “Willy” (così denominato perché introdotto dopo l’episodio criminoso che condusse alla morte del giovane Willy Monteiro) di cui all’art. 13-bis, articolo inserito all’interno del D.L. n. 14/2017 per opera del già citato D.L. n. 113/2018: al fine di prevenire disordini negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento, la disposizione estende il divieto questorile nei confronti delle persone denunciate negli ultimi tre anni o condannate anche non definitivamente per reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi o in locali di pubblico intrattenimento, ovvero per delitti non colposi contro la persona o il patrimonio ovvero aggravati ai sensi dell’articolo 604-ter del codice penale, qualora dalla condotta possa derivare un pericolo per la sicurezza.

Ebbene, tanto succintamente ricordato, l’art. 2 comma 1 del decreto “Caivano” apporta le seguenti modifiche al D.L. n. 14/2017:

– è riscritto completamente il comma 4 dell’art. 10, nel senso che i divieti di cui ai precedenti commi 1, 2 dello stesso articolo – ovvero sia quelli disposti dall’organo accertatore, sia quelli adottati dal Questore in caso di reiterazione – possono ora essere decisi anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni che ne abbiano compiuto quattordici; in tal caso, il provvedimento è notificato a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale e comunicato al Procuratore presso il Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie del luogo di residenza del minore.

– l’art. 13 è modificato nel comma 1, stabilendosi ora che il divieto di accesso e di avvicinamento ai locali pubblici e ai pubblici esercizi, previsto per chi sia stato denunciato o condannato per vendita o cessione di droga, si applichi anche per qualsiasi condotta tra quelle previste nell’art. 73 del D.P.R. n. 309/1990 e dunque anche nei confronti di chi detenga sostanze stupefacenti ai fini dello spaccio. Tale divieto è esteso a scuole, università ed aree limitrofe;

– l’art. 13 è modificato anche nel comma 3, prevedendosi che il Questore, assieme all’ordine di allontanamento, possa disporre anche ulteriori obblighi – presentazione alla PG; rientro nella propria abitazione entro una determinata ora e di non allontanamento prima di altra ora prefissata; non allontanamento dal comune di residenza ovvero; comparizione in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici – “quando ricorrano specifiche ragioni di pericolosità” e non più, come nella formulazione sinora vigente, “nei confronti dei soggetti già condannati negli ultimi tre anni con sentenza definitiva”;

– l’art. 13 è infine modificato nel comma 6, innalzandosi la pena, in caso di trasgressione del divieto questorile di cui ai predetti commi 1 e 3, alla soglia della reclusione da uno a tre anni e della multa da 10.000 a 24.000 euro;

– quanto all’articolo 13-bis, è ampliata la sfera dei presupposti del divieto questorile mediante l’aggiunta dei reati di cui all’articolo 4 della L. 18 aprile 1975, n. 110 (porto di armi non autorizzato) e di violenza/minaccia o resistenza a pubblico ufficiale, prevedendosi altresì che il provvedimento possa essere adottato anche nei confronti di persone sottoposte a una delle misure cautelari di cui agli articoli 284 e 285 del codice di procedura penale; è innalzata la durata del divieto, non inferiore a un anno né superiore a tre anni; si specifica che l’eventuale obbligo aggiuntivo di presentazione alla PG non può avere una durata superiore a due anni; è aumentata la pena, in caso di trasgressione, sino alla reclusione da uno a tre anni e alla multa da 10.000 a 24.000 euro.

Il pacchetto degli interventi in materia di misure di prevenzione è completato da alcune modificazioni apportate al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159): in particolare, è riscritta la norma – art. 2 comma 1 – in tema di foglio di via obbligatorio stabilendosi che qualora le persone indicate nell’articolo 1 (ovvero i soggetti che abitualmente sono dediti a traffici delittuosi, ovvero vivono con i proventi di attività delittuose, ovvero sono abitualmente dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica) siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino in un comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale, il Questore, con provvedimento motivato, può ordinare loro di lasciare il territorio del medesimo comune entro un termine non superiore a quarantotto ore, inibendo di farvi ritorno, senza preventiva autorizzazione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a quattro anni.

Il provvedimento è efficace nella sola parte in cui dispone il divieto di ritorno nel comune, nel caso in cui, al momento della notifica, l’interessato abbia già lasciato il territorio del comune dal quale il Questore ha disposto l’allontanamento; stabilendosi, a chiusura, che la violazione di tale divieto comporta la pena, aumentata, della reclusione da sei a diciotto mesi e della multa fino a 10.000 euro.

Le disposizioni in materia di armi e droga

Un secondo gruppo di interventi – art. 3 del decreto in commento – mira ad aumentare il contrasto ai reati in materia di armi e di sostanze stupefacenti, inasprendo il trattamento sanzionatorio di alcune specifiche previsioni criminose.

In particolare, quanto alle armi, sono apportate le seguenti modifiche all’articolo 4 della L. n. 110/1975:

– la pena per il porto ingiustificato di armi od oggetti atti ad offendere (terzo comma, primo periodo) non è più l’arresto “da sei mesi a due anni”, ma l’arresto “da uno a tre anni”;

– la pena per il porto di armi nelle riunioni pubbliche anche da parte di persone munite di licenza (quarto comma, secondo periodo) non è più l’arresto “da uno a tre anni”, ma l’arresto “da due a quattro anni”;

– la pena, per chiunque, all’infuori dei casi previsti nei precedenti commi dell’art.4, porta in una riunione pubblica uno strumento ricompreso tra quelli indicati nel primo o nel secondo comma, è innalzata all’arresto da uno a tre anni.

La pena massima per chi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un’arma per cui non è ammessa licenza (art. 699, comma 2 c.p.), è aumentata sino a quattro anni di arresto.

Più sensibile – tenuto conto tanto della differente natura delittuosa (anziché contravvenzionale), quanto della non indifferente ricorrenza “autonoma” del fenomeno criminoso (laddove invece i reati in tema di armi sono nella maggioranza dei casi oggetto di accertamento assieme ad altre più gravi fattispecie) – appare l’aumento apportato dal decreto “Caivano” alle soglie edittali per le condotte criminose di traffico di droga di lieve entità ex art.73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990, soglie portate rispettivamente da sei mesi ad un anno e da quattro a cinque anni di reclusione.

Il contrasto alla criminalità giovanile

Il tema della devianza minorile, esploso con drammatica evidenza con i recenti fatti di Caivano e di Palermo, è oggetto delle successive previsioni normativa del decreto in commento.

L’art. 4 del decreto detta disposizioni finalizzate a fronteggiare la violenza giovanile, ricorrendo al consueto arsenale delle misure di prevenzione e delle risposte sanzionatorie.

In particolare, il già menzionato codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159) è soggetto delle seguenti modificazioni:

l’avviso orale – il provvedimento cioè mediante il quale il Questore può avvisare oralmente i soggetti destinatari (ovvero quelli abitualmente dediti a traffici delittuosi o a vivere con i proventi di attività delittuose, ovvero gli abitualmente dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica) che esistono indizi a loro carico, indicando i motivi che li giustificano, invitandoli a tenere una condotta conforme alla legge – è ora, per effetto dell’inserimento di un comma 3-bis all’art. 3 del predetto codice, applicabile anche ai soggetti minori di diciotto anni purché maggiori di quattordici. La nuova disposizione esige tuttavia che il Questore, prima di emettere il provvedimento, convochi il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale. Gli effetti dell’avviso orale di cui al presente comma cessano comunque al compimento della maggiore età.

Una delle novità maggiormente oggetto di risalto mediatico è l’attenzione dedicata al possesso, da parte dei minori, di cellulari o altri strumenti ritenuti pericolosi o perniciosi.

In primo luogo, la facoltà per il Questore di imporre alle persone definitivamente condannate per delitti non colposi, con l’avviso orale, il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, una serie di beni – ovvero qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a  modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi – è ora estesa anche nei confronti dei minori ultraquattordicenni.

Ma soprattutto, dopo il comma 6 dell’art. 3 del codice antimafia, sono inseriti i commi 6-bis, 6-ter e 6-quater, a mente dei quali, nei casi di cui ai commi 1 e 3-bis – e dunque ora anche nei confronti dei minori ultraquattordicenni – se il soggetto al quale è notificato l’avviso orale risulta condannato, anche con sentenza non definitiva, per uno o più delitti contro la persona, contro il patrimonio ovvero inerenti alle armi o alle sostanze stupefacenti, il Questore può proporre al tribunale l’applicazione del divieto di utilizzare, in tutto o in parte, piattaforme o servizi informatici e telematici specificamente indicati nonché il divieto di possedere telefoni cellulari, altri dispositivi per le comunicazioni dati e voce o qualsiasi altro apparato di comunicazione radio trasmittente.

Alla persona avvisata oralmente viene notificata la proposta di cui al periodo precedente e data notizia della facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per l’applicazione del divieto, il quale provvede, con decreto motivato, entro trenta giorni dal deposito della proposta. Il divieto – contro il quale è proponibile ricorso per cassazione, che tuttavia non ne sospende l’esecuzione – è disposto per una durata non superiore a due anni, con l’individuazione di modalità applicative compatibili con le esigenze di salute, famiglia, lavoro o studio del destinatario del provvedimento. Peraltro, in caso di rigetto della proposta di cui al comma 6-bis, è fatto comunque salvo l’avviso orale emesso dal Questore.

A chiusura della previsione, il decreto Caivano interviene anche sulla sanzione penale in caso di inosservanza del “divieto di cellulare”, estendendo alla violazione di tale nuova proibizione la sanzione della reclusione da uno a tre anni e della multa da euro 1.549 ad euro 5.164 (e la connessa confisca) prevista dall’art. 76 del comma 2 del D.Lgs. n. 159/2011.

Interessanti le novità anche per quanto riguarda la procedura di ammonimento di cui all’articolo 8, commi 1 e 2, del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni.

Come noto, tale disposizione prevede attualmente che fino a quando non è proposta querela per il delitto di atti persecutori, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza, avanzando richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta al Questore competente, il quale, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale, adottando al contempo i provvedimenti eventualmente necessari materia di armi e munizioni.

Orbene, il decreto Caivano (art. 4 commi 2 e seguenti) allarga tale procedura anche ai reati – ove commessi da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne – di cui agli articoli 581, 582, 610, 612 e 635 del codice penale (fattispecie su alcune delle quali la cd. riforma Cartabia – D.Lgs. n. 150/2022 – ha inciso in senso fortemente estensivo della procedibilità a querela), nonché ai delitti commessi da minore di età compresa fra i dodici e i quattordici anni purché puniti con reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

La nuova disposizione prevede che ai fini dell’ammonimento il Questore convochi il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale, e che comunque gli effetti del provvedimento cessino al compimento della maggiore età.

Modifiche non di poco conto coinvolgono il processo penale minorile (art. 5 del decreto in commento).

Si abbassa il limite – da cinque a tre anni di reclusione – dei delitti non colposi per i quali gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accompagnare presso i propri uffici il minorenne colto in flagranza e trattenerlo, per un massimo di dodici ore, per il tempo strettamente necessario alla sua consegna all’esercente la potestà dei genitori o all’affidatario o a persona da questi incaricata; facoltà peraltro d’ora in avanti prevista indipendentemente dalla soglia edittale in caso di flagranza dei delitti di lesioni personali, furto semplice, danneggiamento aggravato ex art.635 comma 2 c.p., alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti, ovvero di uno dei reati in materia di armi di cui all’articolo 699 del codice penale o di cui all’articolo 4 della L. 18 aprile 1975, n. 110.

Simmetricamente alla precedente previsione:

– diminuisce il limite – da cinque a tre anni di reclusione – dei delitti per i quali le misure diverse dalla custodia cautelare possono essere applicate nei confronti dei minorenni;

– si riduce il limite – da nove a sei anni di reclusione – dei delitti non colposi per i quali il giudice può disporre nei confronti dei minorenni la misura carceraria più estrema.

Ma proprio la custodia cautelare in carcere si sgancia sensibilmente dal limite edittale, divenendo ora applicabile anche fuori da tale soglia (comunque come detto ribassata) allorquando si procede per uno dei seguenti delitti, consumati o tentati:

furto aggravato, perché commesso su armi, munizioni od esplosivi nelle armerie ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di armi, ovvero perché commesso con usando violenza sulle cose, portando indosso armi o narcotici pur non facendone uso, ovvero perché commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d’incaricato di un pubblico servizio, ovvero perché commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica;

furto in abitazione e furto con strappo ai sensi dell’art.624-bis c.p.;

– illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse e di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo;

– violenza o minaccia o pubblico ufficiale;

– resistenza a pubblico ufficiale;

– traffico di stupefacenti ex art. 73D.P.R. n. 309/1990.

Modificata infine la disciplina dei termini di durata delle misure cautelari, la cui minore durata rispetto a quello dei maggiorenni è oggi un po’ meno breve: i termini sono infatti ridotti solo di un terzo per i reati commessi da minori degli anni diciotto e solo della metà per quelli commessi da minori degli anni sedici.

Anche all’obiettivo di intervenire negli snodi del meccanismo di reclutamento minorile delle mafie sono ispirate le previsioni di cui all’art. 7 del decreto Caivano, secondo cui quando un minore è coinvolto nei reati di cui all’art. 416-bis c.p. e/o di cui all’art. 74 del D.P.R. n. 309/1990, il giudice, con la sentenza di condanna, dispone la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, per le iniziative di competenza finalizzate alla adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 33 e seguenti del codice civile (come ad esempio la decadenza dalla potestà genitoriale, allontanamento del figlio dalla residenza familiare, allontanamento del genitore o convivente).

Il percorso di rieducazione del minorenne criminale

All’evidente inasprimento del bagaglio penale e prevenzionale si unisce – in una ideale approccio “stick and carrot” – una previsione manifestamente improntata alla rieducazione e al reinserimento del minorenne che delinque.

Ai sensi dell’art. 8 del decreto, è infatti inserito – nel corpo del codice del processo penale minorile (D.P.R. n. 448 del 1988) – un nuovo articolo, il 27-bis, mediante il quale viene resa possibile l’applicazione della messa alla prova sin dalla fase delle indagini.

Il Pubblico Ministero, nel caso di reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, notifica al minore e all’esercente la responsabilità genitoriale l’istanza di definizione anticipata del procedimento subordinata alla condizione che il minore, con l’accordo dell’esercente la responsabilità genitoriale, acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda, sentiti i servizi minorili e compatibilmente con la legislazione sul lavoro minorile, lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti no profit o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da uno a sei mesi.

La norma esige il deposito del programma entro trenta giorni dalla notifica dell’istanza del PM, il quale, una volta ricevuto lo trasmette entro i dieci giorni successivi al giudice al fine di fissare l’udienza per deliberare il provvedimento di ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione; nell’ordinanza di ammissione il giudice stabilisce la durata del percorso, sospendendo il procedimento per un periodo massimo di sei mesi, entro i quali deve essere eseguito il percorso concordato e fissata l’udienza di verifica.

Il mancato accesso al percorso o la sua interruzione ingiustificata precludono l’eventuale successivo accesso all’istituto della sospensione del processo e messa alla prova (di cui agli articoli 28 e 29del processo minorile), accesso impedito anche in caso di valutazione finale negativa dell’attività svolta dal minore durante il programma rieducativo; al contrario, qualora, al termine del percorso di reinserimento e rieducazione, valuti positivamente l’esito del programma rieducativo, sentite se del caso le parti, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere dichiarando l’estinzione del reato.

Un’ultima disposizione riguarda invece la fase di esecuzione della pena.

L’art. 9 del decreto in commento introduce infatti la possibilità che il direttore dell’istituto penitenziario chieda al magistrato di sorveglianza il nulla osta al trasferimento dall’istituto minorile al carcere nei confronti del detenuto maggiore di ventuno anni che abbia commesso il reato da minorenne, quando questi con i suoi comportamenti determina cumulativamente un grave turbamento dell’ordine e della sicurezza negli istituti; il magistrato di sorveglianza può peraltro negare il nulla osta, quando sussistono comprovate ragioni di sicurezza anche del detenuto medesimo.

Le disposizioni penali (e non) per il rafforzamento dell’obbligo scolastico

Come accennato in premessa, lo scopo dichiarato del provvedimento legislativo è quello di legare l’incremento delle previsioni punitive con una azione parallela sul versante dell’obbligo scolastico, attraverso misure (sul versante economico/organizzativo) volte a rafforzare l’offerta educativa nelle zone caratterizzate da alta dispersione scolastica. In tale prospettiva si inseriscono i meccanismi di controllo e verifica dell’adempimento dell’obbligo scolastico e la previsione di una nuova fattispecie di reato per i casi di elusione.

In particolare, il decreto Caivano introduce una inedita fattispecie delittuosa – quella prevista dal nuovo art. 570-ter c.p. (Inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori), secondo la quale chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza giusto motivo, d’impartirgli o di fargli impartire l’istruzione obbligatoria è punito con la reclusione fino a due anni.

Conseguentemente, la fattispecie contravvenzionale di cui all’articolo 731 del codice penale – che contemplava la pena dell’ammenda sino a euro 30 per chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omettesse, senza giusto motivo, d’impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare – è espressamente abrogato.

A completamento ideale della risoluzione, il decreto contempla prevede la perdita del diritto di percepire l’assegno di inclusione per i soggetti che violano l’obbligo.

Brevi considerazioni a margine

In disparte naturalmente ogni valutazione di merito della capacità delle misure adottate di prevenire o anche solo ridurre i fenomeni sempre più crescenti di violenza giovanile, le nuove previsioni si prestano ad alcune immediate considerazioni di natura tecnica.

Quanto al cd. Daspo urbano, il suo ulteriore allargamento anche ad obiettivo diverso rispetto a quello – in breve: il decoro dei centri abitati – perseguito al momento di introduzione dell’istituto è destinato a replicare, evidentemente, tutte i dubbi già espressi anche all’epoca delle modifiche ampliative dei decreti Salvini e Lamorgese, a partire da una certa indeterminatezza dei presupposti (per esempio, in ordine al concetto di reiterazione delle condotte e alla loro tipologia), nonché in ordine alla compatibilità con il quadro ordinamentale in cui si innesta ovvero in relazione alla libertà personale ed a quella di circolazione tutelate dalla Costituzione (artt. 13 e 16) e dai parametri convenzionali CEDU (artt. 6 e 13 della Convenzione nonché al IV protocollo addizionale in tema di libertà di circolazione).

Sul piano penale, la giurisprudenza di legittimità non ha avuto in realtà molte occasioni per confrontarsi con l’istituto.

In una occasione, la Terza sezione, con decisione assunta all’udienza del 21/9/2021, n. 41170, Rv. 282231-01, ha affermato che il mancato rispetto, da parte del Pubblico Ministero, del termine di quarantotto ore dalla notifica del provvedimento del Questore per la presentazione della richiesta di convalida (nel caso di Daspo con prescrizioni aggiuntive) non comporta l’inefficacia della misura, ove la convalida del giudice sia intervenuta nel termine complessivo di novantasei ore da detta notifica.

La decisione ribadisce, in tema di Daspo cd. “urbano”, l’orientamento maggioritario già ripetutamente affermato, in tema di Daspo sportivo, secondo il quale non è prevista un’autonoma sanzione di inefficacia della misura per la mancata formulazione da parte del Pubblico Ministero al giudice, nel termine “intermedio” di quarantotto ore, dell’istanza di convalida dell’obbligo di presentazione al Questore, dandosi rilievo solo al termine di novantasei ore dalla notifica del provvedimento all’interessato, “essendo unicamente quest’ultimo il termine complessivo rilevante” (così, fra le tante, Cass. pen., Sez. III, n. 36957 del 9/4/2019, Rv. 276829-01,). Tale indirizzo valorizza il tenore letterale dell’art. 6, comma 3, L. n. 401/1989 (norma specificamente richiamata dal comma 3 dell’art. 13D.L. n. 14/2017 e quindi valevole anche in tema di Daspo urbano), secondo il quale le misure imposte dal Questore cessano di avere efficacia soltanto “se il Pubblico Ministero con decreto motivato non avanza richiesta di convalida e se il giudice non dispone la convalida nelle quarantottore successive”.

Più in generale, trattandosi di misura atipica ricalcata sul cd. Daspo sportivo avente uguale natura e contenuto interdittivo, il Daspo urbano è caratterizzato da ampia discrezionalità e pertanto non esige la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, delle condotte fattuali che concorrono a definire il presupposto legale, essendo pienamente legittima la sua adozione ove nella motivazione si dia atto di un quadro indiziario abbastanza univoco ed evidente.

Con riferimento ai delitti di violazione del Daspo urbano (tanto se emesso ai sensi dell’art. 13 quanto a mente del successivo 13-bis) – rispetto ai quali il decreto Caivano ha come ricordato agito nel senso di aumentare la previsione sanzionatoria – secondo l’opinione condivisa trattasi di reati di mera condotta, a dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di violare il provvedimento di divieto di accesso, di cui si sia avuta previa notifica ricettizia.

Rispetto ad entrambe le previsioni incriminatrici, non possono evidentemente che persistere le perplessità già espresse (cfr. Relazione n. 100/2020 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione) sulla compatibilità con il principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza laddove i divieti siano rivolti a soggetti condannati anche con sentenza non definitiva, essendo peraltro sospetto di irragionevolezza il sensibile divario sanzionatorio rispetto alla pena prevista dalla generale ipotesi contravvenzionale codicistica di inosservanza di provvedimento dell’autorità (art. 650 c.p.).

Venendo al cd. avviso orale, può essere utile ricordare che secondo la giurisprudenza (in ambito penalistico, si veda Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 47713 del 27/10/2022, Rv. 283820 – 01, che affronta il tema in collegamento con quello del reato di guida senza patente previsto dall’art.73 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159; nella giurisprudenza civile ed amministrativa, cfr. rispettivamente Cass. civ., Sez. I, n. 7973/17 e Cons. Stato, Sez. III, n. 722 del 14/2/2014), il solo avviso, privo della prescrizione dei divieti previsti dall’art. 3, comma 4 del citato decreto 159/2011, non costituisce misura di prevenzione, non comportando limitazioni alla libertà personale; peraltro, il sensibile arricchimento delle prescrizioni imponibili con l’avviso, per effetto del cd. “divieto di cellulare”, non dovrebbe far dubitare, in simile ipotesi, della natura di misura di prevenzione del provvedimento questorile, con quanto ne consegue in termini di assetto giuridico.

Una breve annotazione merita il tema della procedura di ammonimento di cui all’art. 8, comma 2, del D.L. 23 febbraio 2009 n. 11, convertito nella L. 23 aprile 2009 n. 38.

Il dubbio di legittimità costituzionale della norma in relazione agli artt. 3, 13, 117, comma 1, Cost. e 5 della Convenzione EDU è già stato disatteso in una pronuncia della Corte di Cassazione – Sez. V, sentenza n. 17350 del 20/1/2020, Rv. 279401 – 01 – secondo cui la previsione del potere di ammonimento od invito orale al soggetto segnalato per atti persecutori a tenere una condotta conforme a legge non è norma incriminatrice, ma disciplina il procedimento di competenza del Questore, effettivo destinatario della norma, e la condotta oggetto di intimazione ha un contenuto certo e ben definito nelle sue linee portanti perché riferito al disposto di cui alla norma incriminatrice: valutazione evidentemente trasponibile – attesa l’eadem ratio – anche alle nuove fattispecie penali per le quali è possibile emettere l’ammonimento.

Sotto altro profilo, il rimando indistinto operato alla “procedura” e all’intero art. 8 del D.L.n. 11/2009 sembra poter autorizzare a dire che il richiamo si estende anche alle previsioni di cui ai commi 3 e 4 di tale ultima citata disposizione, nel senso che la pena per i delitti per i quali è oggi consentito l’ammonimento è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già precedentemente ammonito, potendosi in tal caso procedere d’ufficio anche se il (nuovo) reato è procedibile a querela di parte.

Per ultimo, certamente qualche spunto di riflessione offre il nuovo istituto della messa alla prova in sede di indagini.

Al riguardo, non pare superfluo ricordare come nel giudizio minorile la sospensione del processo per consentire la messa alla prova, ai sensi degli artt. 28 e 29 del D.P.R. n. 448/1988, è subordinata al vaglio discrezionale del giudice di merito circa la possibilità di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale ed è espressione di un giudizio prognostico – insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione – condotto sulla scorta di molteplici indicatori, inerenti sia il reato commesso sia la personalità del reo, da lui manifestati anche in epoca successiva al fatto incriminato (così, ex multis, Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 28670 del 9/9/2020, Rv. 280276 – 01); in particolare, è stato affermato che l’ammissione alla messa alla prova dell’imputato, previa sospensione del processo, richiede da parte dell’interessato la rimeditazione critica del passato e la disponibilità a un costruttivo reinserimento, le quali, pur non esigendo la confessione degli addebiti, sono incompatibili con la frontale negazione di ogni responsabilità degli stessi (così Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 32125 del 20/6/2014).

Sarà allora interessante verificare se e come tali coordinate interpretative si conformeranno rispetto alla nuova ipotesi di applicazione dell’istituto in sede di indagini preliminari, procedura consegnata alla iniziativa del Pubblico Ministero e la cui apertura è apparentemente subordinata, fermo ovviamente il limite edittale, alla sola condizione che il minore, con l’accordo dell’esercente la responsabilità genitoriale, accetti di sottoporsi al programma rieducativo.

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