Reati contro la persona
Reati contro la famiglia
Schiaffi, insulti e umiliazioni ai bambini della “primaria”: per la Cassazione si tratta di maltrattamenti
lunedì 20 novembre 2023
di Scarcella Alessio Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
In tema di reati contro la famiglia, l’uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai con-sentito, atteso che l’abuso dei mezzi di correzione presuppone l’uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, quali l’esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l’obbligo di condotte riparatorie o forme di rimprovero non riservate, mentre l’uso sistematico della violenza quale metodo di trattamento del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nella fattispecie di abuso di mezzi di correzione, ma concretizza gli estremi del più grave reato di maltrattamenti (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 8 novembre 2023, n. 45096).
Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 8 novembre 2023, n. 45096
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen., Sez. VI, 21/1/2020, n. 11777 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
La Corte di Cassazione si sofferma, con la sentenza in commento, su una purtroppo ricorrente questione con cui i Supremi Giudici sono chiamati a confrontarsi, in particolare afferente alla configurabilità o meno del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, piuttosto che del reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina nei casi di utilizzo, da parte dell’insegnante, di metodi educativi verso gli studenti che si traducano in aggressioni fisiche e/o verbali.
Nella vicenda processuale esaminata, in particolare, a fronte di una decisione assolutoria resa in primo grado, ribaltata in appello, in un processo che vedeva imputata un’insegnante prevalente di una scuola primaria, responsabile del reato di maltrattamenti continuato e aggravato nei confronti dei bambini a lei affidati per ragioni di educazione e istruzione, per aver tenuto in classe un comportamento violento, vessatorio, concretizzatosi in percosse, insulti, minacce e umiliazioni, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso proposto contro la sentenza di condanna, rilevando che esulasse dal perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice dell’abuso di mezzi di correzione o di disciplina in ambito scolastico qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da “animus corrigendi”, atteso che le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l’esercizio lecito del potere correttivo ed educativo – che mai deve deprimere l’armonico sviluppo della personalità del minore – lì dove l’abuso ex art. 571 c.p. presuppone l’eccesso nell’uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti.
Il fatto
La vicenda processuale segue alla sentenza con cui la Corte d’appello aveva ribaltato l’esito assolutorio del giudizio di primo grado, condannando una insegnante prevalente di una scuola primaria, responsabile del reato di maltrattamenti continuato e aggravato nei confronti dei bambini a lei affidati per ragioni di educazione e istruzione, per aver tenuto in classe un comportamento violento, vessatorio, concretizzatosi in percosse, insulti, minacce e umiliazioni.
Il ricorso
Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’imputata, in particolare dolendosi, per quanto qui di interesse, per la mancanza dei presupposti integrativi del reato. Tali elementi si rinvenivano:
- a) nei questionari compilati dai genitori degli alunni che frequentavano la classe dell’imputata, compresi quelli che avevano sporto denuncia, nei quali non si denunciava alcun abuso, ma, anzi, si esprimeva soddisfazione per i metodi di insegnamento dell’imputata;
- b) nelle dichiarazioni della dirigente scolastica;
- c) nelle attestazioni di stima pervenute all’imputata da genitori di alunni non appena appreso della sottoposizione ad indagini e poi a giudizio;
- d) nelle dichiarazioni rese in sede di indagini difensive, allegate al ricorso, di cui si riportavano stralci attestanti la stima per l’insegnante.
Si sosteneva inoltre, che i fatti addebitati all’imputata non avrebbero nemmeno potuto neppure integrare il reato di cui all’art. 571 c.p. per insussistenza della condizione di punibilità richiesta dalla norma.
La decisione della Cassazione
La Cassazione, come anticipato, ha disatteso la tesi difensiva.
In particolare, la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica della condotta, avuto riguardo:
- a) al clima di timore ammesso dalle persone offese e riscontrato dalle immagini, analizzate in sentenza;
- b) alla ripetitività e frequenza dei gesti, delle espressioni di disprezzo e umilianti registrate;
- c) alla decisività dei dati emersi dalle videoriprese, letti e interpretati alla luce delle dichiarazioni delle vittime, rispetto ai quali sono stati implicitamente ritenuti recessivi gli elementi indicati dalla difesa, essendo i fatti accertati idonei a instaurare un clima di timore e a ledere l’integrità psicofisica dei minori, che non può essere escluso in ragione del numero limitato delle persone offese rispetto alla composizione della classe.
L’analisi attenta delle dichiarazioni dei minori e, soprattutto, dei filmati dà conto della valutazione più completa effettuata dalla Corte di appello, che non aveva mancato di attribuire rilievo anche al comportamento ondivago e incostante dell’imputata e alla consapevolezza di tenere un comportamento non adeguato al suo ruolo di educatrice, come si ricavava dai discorsi intercettati con i bambini, nei quali si preoccupava di quello che avrebbero potuto riferire ai genitori nonché dalle riprese, che documentavano l’alternanza di comportamenti affettuosi dopo i rimproveri: colloqui e commenti intercettati non considerati affatto nella sentenza di primo grado.
La decisione non può che essere condivisa. Ed invero, una volta risolte le censure fattuali svolte dalla difesa, i fatti non potevano non rientrare nel reato di cui all’art. 572, c.p., non essendo certo riconducibili le condotte nell’ipotesi di cui all’art. 571 c.p. per l’incompatibilità delle condotte aggressive con il potere correttivo e il metodo educativo.
Pacifica è infatti la giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito, atteso che l’abuso dei mezzi di correzione presuppone l’uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, quali l’esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l’obbligo di condotte riparatorie o forme di rimprovero non riservate (Cass. pen., Sez. VI, n. 11777 del 21/1/2020, CED Cass. 278744), mentre l’uso sistematico della violenza quale metodo di trattamento del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nella fattispecie di abuso di mezzi di correzione, ma concretizza gli estremi del più grave reato di maltrattamenti.
Esula, infatti, dal perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice dell’abuso di mezzi di correzione o di disciplina in ambito scolastico qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da “animus corrigendi”, atteso che le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l’esercizio lecito del potere correttivo ed educativo – che mai deve deprimere l’armonico sviluppo della personalità del minore – lì dove l’abuso ex art. 571 c.p. presuppone l’eccesso nell’uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti (Cass. pen., Sez. VI, n. 13145 del 3/3/2022, CED Cass. 283110).
Riferimenti normativi:
Art. 571 c.p.