Contrasti giurisprudenziali
RDC: falsa autodichiarazione punibile solo se volta ad ottenere il beneficio non spettante o spettante in misura superiore
lunedì 18 dicembre 2023
di Scarcella Alessio Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione con la sentenza 13 dicembre 2023, n. 49686 hanno dato risposta al seguente quesito: «Se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto di cui all’art. 7 del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, conv. in L. 28 marzo 2019, n. 26, indipendentemente dalla effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l’ammissione al beneficio».
Cassazione penale, Sez. Un., sentenza 13 dicembre 2023, n. 49686
La soluzione |
Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all’art. 7D.L. 28 gennaio 2019 n. 4, conv. in L. 28 marzo 2019 n. 26 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge. |
I precedenti | |
Cass. pen., Sez. III, 24/9/2021, n. 5309 | Integrano il delitto di cui all’art. 7, comma 1, D.L. n. 4/2019, le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del “Reddito di cittadinanza”, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio. |
Cass. pen., Sez. II, 8/6/2022, n. 29910 | Integrano il delitto di cui all’art. 7D.L. n. 4/2019, soltanto le false indicazioni o le omissioni strumentali al conseguimento del beneficio cui altrimenti l’agente non avrebbe diritto. |
Il caso e la questione di diritto
La Corte d’appello confermava la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare che aveva condannato l’imputato, per quanto qui di interesse, per il reato di cui all’art. 7, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, perché, al fine di ottenere indebitamente un beneficio economico (Reddito di cittadinanza – RDC), con artifici e raggiri consistiti nell’attestare falsamente, nella dichiarazione sostitutiva unica (DSU) presentata ai fini ISEE, un valore del proprio patrimonio immobiliare inferiore a quello reale, induceva in errore I’INPS che gli erogava, in forza di tale dichiarazione, la somma di oltre 4000 euro a titolo di integrazione del reddito familiare riferito all’anno 2019, così procurandosi l’ingiusto profitto derivante dalla indebita percezione del sussidio.
La Corte di appello aveva ritenuto fondata l’ipotesi accusatoria sul presupposto che il perfezionamento della fattispecie delittuosa di cui all’art. 7, cit., si realizza per il solo fatto di avere portato all’attenzione dell’amministrazione erogatrice del reddito di cittadinanza dati non veritieri (l’omissione, nella specie, riguardava la comproprietà da parte dell’imputato di alcuni terreni con la propria moglie), a nulla rilevando la circostanza, prospettata dalla difesa, che la dichiarazione parzialmente non veritiera non aveva alterato i termini economici dei limiti reddituali per l’ottenimento del beneficio.
Avverso la sentenza, la difesa aveva proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi e sviluppando in una successiva memoria, in replica alla requisitoria del Procuratore Generale, la richiesta di accoglimento del ricorso o, in subordine, la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 7D.L. n. 4/2019, in presenza di dichiarazione non veritiera allorquando sussistano comunque i requisiti per l’ammissione al beneficio.
Investita del ricorso, la Terza Sezione penale, con ordinanza dell’11 ottobre 2022, aveva rimesso gli atti alle Sezioni Unite prospettando l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza in merito alla interpretazione del primo comma dell’art. 7, D.L. n. 4/2019, premettendo che nella richiesta volta a ottenere il reddito di cittadinanza possono in astratto verificarsi tre distinte ipotesi:
- a) il mendacio per totale assenza di requisiti;
- b) il mendacio finalizzato al conseguimento di un beneficio maggiore rispetto al dovuto;
- c) il mendacio che non incide sul diritto a ottenere il sussidio né sull’ammontare del beneficio.
Con decreto del 30 gennaio 2023 la Prima Presidente della Corte di cassazione assegnava il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando l’udienza pubblica del 13 luglio 2023.
La giurisprudenza precedente
Secondo un primo orientamento, integrano il delitto in esame le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio.
Un secondo orientamento invece sostiene che il reato è configurabile solo quando le condotte di mendacio siano finalizzate a conseguire il beneficio del reddito di cittadinanza e il richiedente in concreto non ne abbia diritto o ne abbia diritto in misura minore. Sarebbero, pertanto, penalmente rilevanti le false dichiarazioni solo nel caso in cui la percezione del sussidio risulti indebita nell’an o nel quantum.
La decisione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento.
Il Supremo Collegio, anzitutto, dà conto del fatto che l’art. 1, comma 318, L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha abrogato l’art. 7D.L. n. 4/2019, a decorrere, però, dal 1° gennaio 2024. La fattispecie incriminatrice è, perciò, tutt’ora in vigore. Il legislatore, peraltro, nell’introdurre il cd. «assegno di inclusione» (misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Rdc e definita dall’art. 1, comma 1, D.L. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 luglio 2023, n. 85, «quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro»), ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7D.L. n. 4/2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023.
Le Sezioni Unite, poi, passano ad esaminare il primo orientamento, mostrando di non condividerlo per una serie di ragioni. Osservano, a tal proposito, come l’argomento utilizzato dal primo orientamento per sostenere l’irrilevanza della sussistenza dei requisiti per ottenere il Rdc (e la conseguente superfluità del relativo accertamento) si fonda su un parallelismo (il confronto con l’art. 95D.P.R. n. 115/2002) e su una individuazione del bene tutelato dalla norma incriminatrice (il dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico) niente affatto convincenti.
Sul piano strutturale, mentre il reato di cui all’art. 95D.P.R. n. 115/2002, richiede il dolo generico, quello di cui all’art. 7D.L. n. 4/2019, richiede il dolo specifico di ottenere indebitamente il Rdc, essendo irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, l’effettivo conseguimento del beneficio; l’ottenimento o il mantenimento del patrocinio a spese dello Stato, quale conseguenza delle falsità od omissioni aggravano invece il reato di cui all’art. 95 cit. La falsità nella dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 79, comma 1, lett. c), penalmente sanzionata dall’art. 95D.P.R. n. 115/2002, inoltre, è correlata alla ammissibilità dell’istanza, non a quella del beneficio richiesto (così, in motivazione, Cass. pen., Sez. Un., n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, l.); le falsità e le omissioni sanzionate dall’art. 7, D.L. n. 4/2019, riguardano invece i requisiti di ammissione e mantenimento del beneficio.
Divergono profondamente, inoltre, i contesti procedimentali nei quali i due reati sono collocati. La procedura prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale è informata alla massima celerità e snellezza, trattandosi di istituto finalizzato ad assicurare e a rendere effettivo il diritto di difesa nell’ambito di un processo penale pendente.
Anche il procedimento finalizzato all’eventuale erogazione del Rdc deve essere definito in tempi brevi, ma non con quell’immediatezza richiesta per assicurare al non abbiente la difesa nel processo penale pendente, dovendo essere effettuato al più tardi, entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda.
Nel procedimento per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, i controlli preventivi sulla corrispondenza al vero dei dati comunicati con la domanda dell’interessato sono, per la maggior parte dei casi, eventuali, superabili anche con dichiarazione sostitutiva di certificazione, e di certo non condizionano (perlomeno non nell’immediato) la decisione, considerato che il giudice deve comunque assumere le proprie determinazioni entro dieci giorni dalla presentazione dell’istanza.
La domanda di Rdc è invece sottoposta ad una (sia pur minima) attività istruttoria finalizzata alla verifica del possesso dei requisiti per l’accesso al beneficio. È interessante, da questo punto di vista, notare come il Legislatore imponga all’INPS la verifica del «possesso dei requisiti per l’accesso del Rdc» (art. 5, comma 3, D.L. n. 4/2019) non di quelli dichiarati nella domanda o nella DSU cui la stessa faccia eventualmente riferimento. Nel caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale i dati comunicati con la domanda assumono, dunque, un ruolo pressoché decisivo e ciò spiega l’evocazione del dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali egli riceve un beneficio economico, dovere la cui violazione rende superflua la verifica della possibile sussistenza, in concreto, delle condizioni di ammissione al beneficio stesso. In conclusione, la diversità strutturale dei due reati nonché dei relativi contesti procedimentali, sono argomenti che ostano per le Sezioni Unite ad improbabili parallelismi essendo i termini di paragone indiscutibilmente eterogeni, tanto sotto il profilo strutturale, quanto sotto quello funzionale.
Non convince, inoltre, le Sezioni Unite la teorizzazione di un «dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico», sostenuto dal primo orientamento. Questo “dovere di lealtà”, infatti, sembra costituire il corrispettivo di un beneficio “graziosamente” concesso al cittadino (piuttosto che in forza di un diritto espressamente riconosciuto per legge sulla base di dati oggettivi e verificabili), costituendo una giustificazione tautologica della potestà punitiva dello Stato (prohibitum quia prohibitum) che deve cedere il passo di fronte a possibili spiegazioni alternative della penale rilevanza della condotta più aderenti al principio di offensività.
Richiamata la natura di reato di pericolo concreto del reato di cui all’art. 7 citato, Le Sezioni Unite lo qualificano come reato posto a tutela del patrimonio dell’ente erogante e, in particolare, delle specifiche (e limitate) risorse destinate all’erogazione del beneficio ed al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso, militando in favore di tale soluzione diversi argomenti:
- a) l’interpretazione dell’avverbio “indebitamente” che qualifica il dolo specifico;
- b) un argomento di natura sistematica che riguarda il rapporto tra il reato di cui al primo comma dell’ 7, D.L. n. 4/2019, e quello di cui al secondo comma del medesimo articolo.
In particolare, osservano le Sezioni Unite, è omogeneo (ed unico) il bene tutelato dalle due fattispecie di reato, in quanto le condotte ivi previste non costituiscono altro che modalità diverse di aggressione a tale unico bene in costanza della diversità del presupposto: la mancanza del beneficio (e la prospettiva di ottenerlo, nel primo caso; il suo godimento nel secondo). Il minimo comune denominatore di entrambe le fattispecie penali è dunque costituito dal patrimonio (o dalle risorse economiche) dell’ente e dal fine che con il suo utilizzo si intende perseguire. Il patrimonio non rileva come bene di proprietà ma come strumento per il raggiungimento di determinati obiettivi; non rileva l’aspetto statico, bensì quello dinamico: sullo sfondo s’intravede l’interesse pubblico leso (anche solo potenzialmente) dall’azione di chi sottrae risorse per perseguirlo. L’indebita percezione (o fruizione) del Rdc, dunque, distrae le somme messe a disposizione per finanziarne l’erogazione a danno (diretto) dell’ente pubblico erogatore e (indiretto) di chi avrebbe diritto di godere del beneficio. Deve escludersi per il Supremo Collegio che il reato di cui all’art. 7, comma 1, D.L. n. 4/2019, sia posto a tutela della fede pubblica e che si risolva in un reato di falso: ritenere diversamente equivarrebbe a spostarne il disvalore dall’evento alla condotta e a svuotare di senso l’avverbio “indebitamente” che qualifica il movente tipizzato dell’azione (il dolo specifico).
Il dolo specifico, in questo contesto, svolge una funzione selettiva tra condotte penalmente rilevanti e quelle che tali non sono, estromettendo dalla fattispecie quelle insuscettibili di mettere in pericolo il bene protetto. Se l’agente ha comunque diritto al beneficio, la non corrispondenza al vero delle informazioni a tal fine rese non qualifica il falso come “inutile”, ma rende puramente e semplicemente atipica la condotta, dovendosi escludere la natura indebita del beneficio stesso; viene meno, cioè, un elemento del fatto tipico. Il dolo specifico, nel caso di specie, non si limita a tipizzare il movente dell’azione ma assolve anche allo scopo di qualificare la condotta, costituendo, sul piano oggettivo, un elemento della fattispecie rivelatore dell’offesa che si intende prevenire (e punire).
Di qui l’affermazione del principio di diritto sopra indicato, in applicazione del quale le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso.
Riferimenti normativi:
Art. 2D.L. 28 gennaio 2019, n. 4
Art. 3D.L. 28 gennaio 2019, n. 4