Maltrattamenti: la condotta durante la convivenza integra il delitto
di Carioli Alberto Avvocato in Padova, Dottorando di ricerca in Diritto penale nell’Università degli studi Europea di Roma
La Corte di Cassazione penale, Sez. I, con la sentenza 12 gennaio 2024, n. 1540 torna sul rapporto tra le fattispecie di maltrattamenti contro familiari e conviventi e atti persecutori, in un caso di omicidio aggravato dall’art. 576, comma 1, n. 5.1) che prevede la pena dell’ergastolo per l’omicidio della persona offesa dal delitto di atti persecutori, avvenuto per mano dell’autore di questi.
Cassazione penale, Sez. I, sentenza 12 gennaio 2024, n. 1540
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Sulla convivenza quale elemento di distinzione tra il delitto di maltrattamenti e quello di atti persecutori
Cass. pen. sez. VI, 30/03/2023, n. 31390 Sulla possibilità di concorso tra l’omicidio aggravato ex art. 576, co. 1, n. 5.1) c.p. e il delitto di atti persecutori |
Difformi | Non si rinvengono precedenti in termini |
La Corte di Cassazione giudica sul ricorso proposto dall’imputato avverso la condanna all’ergastolo inflittagli per il delitto di omicidio commesso nei confronti della ex convivente.
L’accusa è articolata in due capi di imputazione: con il primo si addebita all’imputato il reato di omicidio volontario commesso nei confronti della persona precedentemente legata da relazione sentimentale, poi conclusa; con il secondo, invece, gli si contesta di aver perpetrato il delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) nei confronti della stessa persona offesa perché cessata la convivenza egli avrebbe inviato numerosi messaggi di minaccia a lei e al suo nuovo convivente, cagionando un perdurante e grave stato di ansia e di paura, nonché un fondato timore per la sua incolumità.
La Corte d’Assise e la Corte d’Assise d’Appello hanno ritenuto l’imputato responsabile del reato di cui al primo capo d’imputazione e hanno condannato per il solo reato di omicidio (aggravato dai futili motivi, dalla premeditazione e dall’aver commesso il delitto di cui all’art. 612-bisc.p. nei confronti della stessa persona offesa), con assorbimento del reato di atti persecutori di cui al secondo capo.
La condotta sottoposta all’esame si dipana in due distinti periodi storici: uno durante la convivenza dei due e l’altro successivo alla rottura del rapporto (quando la ex compagna) si traferisce altrove con il nuovo partner.
Nella concreta vicenda da cui nasce il processo, infatti, l’imputato e l’ex fidanzata furono legati da una relazione durata circa sei mesi e caratterizzata dalla convivenza dei due: terminata la relazione, la ragazza si allontanò dalla casa comune per raggiungere il nuovo partner conosciuto sui social network con il quale intraprese una nuova relazione sentimentale.
Durante la convivenza con il nuovo partner la ragazza fu raggiunta – sia sul proprio cellulare che attraverso quello del nuovo fidanzato – da numerosi messaggi del vecchio compagno, contenenti molestie e minacce di varia natura.
La drammatica vicenda culmina con l’omicidio della giovane ragazza per mano dell’uomo con il quale ebbe una relazione connotata da convivenza, della durata di circa sei mesi.
Nel primo segmento di condotta – quello della convivenza tra l’autore dell’omicidio e la persona offesa – si pone il problema giuridico della qualificazione del comportamento illecito in termini di delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.) o di atti persecutori (eventualmente nella forma aggravata dalla relazione affettiva, di cui all’art. 612-bis, comma 2 c.p.).
Sul secondo si innesta, invece, il problema della configurabilità del delitto di cui all’art. 612-bis (cfr. punto 2.3. del considerato in diritto).
Andiamo con ordine, esaminando innanzitutto il primo segmento temporale.
In proposito, la Corte ribadisce l’orientamento consolidato in forza del quale l’elemento distintivo tra il delitto di atti persecutori rispetto alla fattispecie di cui all’art. 572 c.p. dev’essere rinvenuto nella relazione di convivenza tra autore della condotta e vittima (cfr. punto 2.2. del considerato in diritto). Relazione di convivenza che può essere intesa sia quale comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed affetti, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continuativa (e quindi secondo un’accezione più ristretta fatta propria di recente, ad esempio, da Cass. pen. sez. VI, 30/03/2023, n. 31390, Pres. Fidelbo, Rel. Vigna che si pone in linea di continuità e di piena attuazione della fondamentale pronuncia della Corte costituzionale n. 98/2021 la quale stigmatizzò una certa interpretazione delle fattispecie penali talmente estensiva da ricomprendervi fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore), sia – secondo il dictum del Supremo Collegio – quale vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione di una mantenuta consuetudine di vita (e, quindi, secondo una più ampia lettura del requisito normativo della convivenza, propiziato da Cass. pen. sez. VI, 26/11/2021, n. 7259, Pres. Fidelbo, Rel. D’Arcangelo, seguita da Cass. pen. sez. VI, 15/09/2022, n. 9187, Pres. Fidelbo, Rel. Di Nicola Travaglini, già sottoposta all’attenzione dei lettori su questo periodico, insieme a una nota critica).
Nel caso di specie, la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e afferma che la condotta posta in essere nel periodo della convivenza tra l’imputato e la persona offesa avrebbe dovuto essere qualificata ai sensi dell’art. 572 c.p. che, tuttavia, non costituisce elemento circostanziale configurabile giacché l’aggravante, in quel caso, richiede la commissione dell’omicidio in occasione del delitto di maltrattamenti.
Il primo segmento di condotta preso in esame (cioè il periodo precedente al trasferimento della persona offesa) non avrebbe quindi potuto essere considerato tale da integrare il delitto di cui all’art. 612-bis c.p., sia pure ai fini dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 576, n. 5.1, c.p. (sul rapporto tra l’aggravante ridetta e il delitto di atti persecutori si cfr. Cass. pen. sez. Unite, 15/07/2021, n. 38402, Pres. Cassano, Rel. Zaza, che ha chiarito che la fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell’agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e art 576, comma 1, n. 5.1 c.p. — punito con la pena edittale dell’ergastolo — integra un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, comma 1 c.p., in ragione della unitarietà del fatto).
L’ulteriore profilo di interesse della pronuncia si riferisce al secondo ambito temporale della vicenda, iniziato con il trasferimento della persona offesa presso il nuovo partner.
Innanzitutto, è ben possibile che la condotta illecita possa anche solo indirettamente essere rivolta contro la persona offesa (come nel caso di specie, in cui anche il nuovo compagno è destinatario delle comunicazioni moleste o minacciose), come ha chiarito anche Cass. pen. sez. VI, 12/01/2021, n. 8050, Pres. Bricchetti, Rel. De Amicis.
La Corte, per concludere, si concentra sulla configurabilità del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. nel periodo successivo alla cessazione della convivenza tra l’imputato e la vittima, giungendo a escluderla poiché il delitto si configura nel caso in cui si sia verificato l’evento costituito dal mutamento o dall’alterazione delle abitudini di vita, con conseguente condizione di ansia e timore da parte della persona offesa (ex multis, Cass. pen. sez. V, 09/02/2021, n. 15625, Pres. Palla, Rel. Brancaccio), mentre nel caso di specie la persona offesa ha pubblicato su Facebook frequenti aggiornamenti del proprio profilo (in particolare con foto), tenendo un comportamento incompatibile con il peculiare stato soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.
Riferimenti normativi:
Art. 572 c.p.
Art. 612-bis c.p.