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Inutilizzabili a fini cautelari le intercettazioni se il PM non consegna alla difesa file audio delle conversazioni

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Misure Cautelari

Inutilizzabili a fini cautelari le intercettazioni se il PM non consegna alla difesa file audio delle conversazioni

martedì 06 febbraio 2024

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva confermato il provvedimento con il quale un uomo era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, in quanto indiziato dei reati di associazione mafiosa e di estorsione, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 30 gennaio 2024, n. 4021 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui nulla era l’ordinanza perché emessa nonostante la difesa avesse chiesto e non ottenuto di ascoltare una conversazione costituente la prova principale quanto meno con riferimento al reato di estorsione – nel prendere atto di un contrasto giurisprudenziale sul punto, ha aderito all’orientamento secondo cui in tema di riesame, l’omessa consegna da parte del pubblico ministero dei file audio delle registrazioni di conversazioni intercettate, utilizzate per l’emissione dell’ordinanza cautelare, determina una nullità di ordine generale, a regime intermedio, ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. nel caso in cui, pur in mancanza di formule sacramentali nella richiesta di accesso, sussistano elementi, desumibili dal suo contenuto o dal comportamento del difensore, da cui desumere inequivocabilmente la riferibilità di detta richiesta al soddisfacimento di esigenze correlate allo stato custodiale dell’indagato.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 30 gennaio 2024, n. 4021

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen., Sez. VI, 22/5/2019, n. 32391
Difformi Cass. pen., Sez. II, 14/5/2019, n. 27865

Cass. pen., Sez. II, 28/9/2018, n. 51935

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 291, c.p.p., sotto la rubrica «Procedimento applicativo», stabilisce, per quanto qui di interesse, al comma 1 che “1. Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi i verbali di cui all’articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, e comunque conferiti nell’archivio di cui all’articolo 269, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate”.

Gli fa da pendant l’art. 293, c.p.p., che, sotto la rubrica «Adempimenti esecutivi», stabilisce, al comma 3, che “3. Le ordinanze previste dai commi 1 e 2, dopo la loro notificazione o esecuzione, sono depositate nella cancelleria del giudice che le ha emesse insieme alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati con la stessa. Avviso del deposito è notificato al difensore. Il difensore ha diritto di esaminare e di estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate di cui all’articolo 291 cpp, comma 1. Ha in ogni caso diritto alla trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati, delle relative registrazioni”.

Orbene, la disciplina concernente i diritti difensivi conseguenti all’adozione della misura cautelare è chiaramente improntata all’esigenza di consentire la tempestiva ed incondizionata possibilità dell’indagato ad esaminare tutti gli atti che sono stati utilizzati dal pubblico ministero nell’avanzare la richiesta. In base al combinato disposto degli artt.291, comma 1, e 293, comma 3, c.p.p., il pubblico ministero deve depositare presso la cancelleria del GIP quanto meno le trascrizioni sommarie delle intercettazioni, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, ove devono rimanere a disposizione della difesa dopo l’adozione della misura. In tal modo si realizza, quindi, la selezione delle conversazioni rilevanti in fase cautelare, consentendo da un lato al pubblico ministero di non disvelare integralmente il materiale d’indagine, dall’altro di permettere alla difesa l’immediato acceso alle fonti di prova sulle quali si basa l’adozione della misura. Tale selezione, peraltro, è sostanzialmente un’anticipazione parziale di quella – complessiva e tendenzialmente definitiva – che avviene nel momento del deposito delle intercettazioni telefoniche in sede di conclusione delle indagini preliminari.

La compiuta regolamentazione della selezione e del deposito delle intercettazioni telefoniche in fase cautelare è strettamente funzionale al diritto dell’imputato ad estrarre copia delle trascrizioni sommarie, nonché a richiedere copia delle registrazioni ritenute rilevanti dalla pubblica accusa, come riconosciuto prima con gli interventi della Corte costituzionale (Corte cost. sent. n. 336/2008 e Corte cost. sent.n. 192/1997) e, successivamente, mediante la riformulazione dell’art. 293, comma 3, c.p.p., in occasione della recente riforma delle intercettazioni.

Proprio in virtù di tali principi, concorde giurisprudenza riconosce che, a seguito dell’adozione della misura cautelare, il difensore ha diritto di esaminare ed estrarre copia dei verbali delle intercettazioni, nonché di ottenere la trasposizione delle intercettazioni su supporto idoneo. L’illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall’ingiustificato ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore, prima del loro deposito ai sensi del quarto comma dell’art. 268 c.p.p., l’accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cosiddetti brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), c.p.p., in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova, che pur non inficiando il risultato probatorio, ne impedisce l’utilizzo in fase cautelare (in tal senso, Cass. pen., Sez. Un., n.20300 del 22/4/2010, L., CED Cass.246907; il principio è stato anche recentemente ribadito, tra le tante, da Cass. pen., Sez. III, n.10951 del 17/1/2019, S., CED Cass. 275868; Cass. pen., Sez. VI, n.32391 del 22/5/2019, R., CED Cass. 276476).

Premesso che l’ascolto diretto delle conversazioni poste a base dell’ordinanza cautelare rappresenta una insopprimibile garanzia difensiva, la S.C. non ritiene che il tempestivo assolvimento della messa a disposizione delle intercettazioni possa farsi dipendere dal fatto che la richiesta contenga o meno l’esplicitazione dell’esigenza difensiva legata alla proposizione del riesame. Invero, a seguito dell’adozione della misura cautelare, l’esigenza della difesa di avere compiuta conoscenza degli atti sui quali quella si fonda deve ritenersi in re ipsa, posto che solo l’esame degli atti consente di compiere consapevolmente le scelte difensive e, quindi, anche di valutare se e come proporre l’istanza di riesame.

La tesi secondo cui la nullità si verificherebbe solo ove l’omesso rilascio di copia o la negazione della facoltà di ascolto consegua ad una richiesta in cui si è espressamente specificato che la stessa è finalizzata alla proposizione del riesame, introduce un motivo di inammissibilità non codificato e fondato su una lettura formalistica della disciplina. Nel momento in cui l’ordinanza genetica pone a fondamento della gravità indiziaria determinate intercettazioni, l’interesse della difesa al loro ascolto, ove la richiesta sia tempestivamente proposta, non richiede anche la specificazione della finalità della stessa, posto che il diretto collegamento con le esigenze difensive scaturenti dalla misura è di per sé manifesto, anche se il richiedente non specifichi l’intenzione di proporre riesame. Del resto, nulla esclude che l’indagato, una volta ascoltate le intercettazioni, potrebbe soprassedere alla proposizione del riesame, circostanza che di per sé dimostra come non si possa pretendere che la richiesta di ascolto debba necessariamente contenere l’indicazione della finalità cui la stessa mira.

Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale del riesame aveva confermato l’ordinanza con la quale l’indagato era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, in quanto raggiunto da indizi di colpevolezza dei reati di associazione mafiosa e di estorsione.

Ricorrendo in cassazione, la difesa ne sosteneva l’erroneità, in particolare invocandone la nullità in quanto emessa nonostante la difesa avesse chiesto e non ottenuto di ascoltare una conversazione, costituente la prova principale quanto meno con riferimento al reato di estorsione. Rappresentava l’indagato che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto l’insussistenza della lesione del diritto di difesa, sul presupposto che non era stata esplicitata la ragione dell’urgenza derivante dalla proposizione del riesame. Diversamente, la difesa evidenziava che, al momento in cui l’istanza di accesso è stata formulata, non era stata fissata la data del riesame e, quindi, l’istanza non poteva essere motivata con riguardo a tale incombente processuale.

La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C., premesso che non era contestato l’omesso accesso alla registrazione audio, avendo il Tribunale ritenuto che la richiesta non conteneva l’esplicitazione della necessità di acquisire la conversazione in vista della proposizione del riesame, il che legittimerebbe l’intempestivo rilascio della copia, ha ricordato che, a supporto di tale assunto, il Tribunale aveva richiamato un orientamento giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. II, n. 27865 del 14/5/2019, S., CED Cass. 277016; Cass. pen., Sez. II, n. 51935 del 28/9/2018, P., CED Cass. 275065) che, tuttavia, non è apparso condivisibile ai Supremi Giudici, i quali, diversamente, hanno ritenuto debba darsi prevalenza all’orientamento secondo cui, in tema di riesame, l’omessa consegna da parte del pubblico ministero dei file audio delle registrazioni di conversazioni intercettate, utilizzate per l’emissione dell’ordinanza cautelare, determina l’inutilizzabilità a fini cautelari di tali conversazioni nel caso in cui, pur in mancanza di formule sacramentali nella richiesta di accesso, sussistano elementi, desumibili dal suo contenuto o dal comportamento del difensore, da cui desumere inequivocabilmente la riferibilità di detta richiesta al soddisfacimento di esigenze correlate allo stato custodiale dell’indagato (Cass. pen., Sez. VI, n. 32391 del 22/5/2019, R., CED Cass. 276476).

Da qui, dunque, l’accoglimento del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 291, comma 1 c.p.p.

Art. 293, comma 3 c.p.p.

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