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Intercettazioni del difensore? Legittime fino a prova contraria

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Penale

Intercettazioni

Intercettazioni del difensore? Legittime fino a prova contraria

lunedì 19 febbraio 2024

di Filippi Leonardo Già ordinario di Diritto processuale penale all’Università di Cagliari

Un orientamento ormai consolidato della Corte di cassazione ritiene sempre legittima l’intercettazione della comunicazione tra difensore e assistito, salvo accertarne caso per caso e solo a posteriori il contenuto e, soltanto se ne riconosce la natura difensiva, ritiene inutilizzabile la captazione (Cassazione penale, Sez. II, sentenza 7 febbraio 2024, n. 5452).

Cassazione penale, Sez. II, sentenza 7 febbraio 2024, n. 5452

La questione

La Corte di cassazione si è recentemente occupata della legittimità delle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra la persona offesa ed il proprio difensore, questione sollevata, però, non dal difensore intercettato ma dall’imputato.

Correttamente la pronuncia non dichiara inammissibile il ricorso per carenza di interesse della difesa, consapevole che le questioni di inutilizzabilità attengono al regolare svolgimento del processo e, a differenza delle nullità, non sottostanno all’interesse particolare di chi le deduce.

La Corte, nel caso specifico, ha, anzitutto, valutato come generico il motivo che investe l’inutilizzabilità delle captazioni per violazione dell’art. 103, commi 5 e 7 c.p.p. per la mancata indicazione della rilevanza del dato probatorio, cioè della prova di resistenza, cui è tenuto il ricorrente.

Nel merito della questione, la Corte, seguendo un indirizzo interpretativo ormai pacifico, ha ritenuto legittime tali captazioni. precisato che il divieto captativo attiene alla tutela delle garanzie difensive in quanto tali ed è limitato a quelle conversazioni e comunicazioni, individuabili ai fini della loro inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma, inerenti all’esercizio delle funzioni del suo ufficio (Cass. pen., Sez. VI, 3/6/2008, G., Rv.241510, C V, 25.9.2014, Galati, Rv.261081). In altre parole, secondo la Corte, il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, situazione che non risulta essersi verificata nel caso di specie [Cass. pen., Sez. II, 9/11/2023, n. 5452, P. e altro].

Una soluzione inaccettabile

La conclusione cui giunge la sentenza in esame non può essere condivisa. Purtroppo, deve constatarsi che In Italia, sebbene l’art. 15 Cost. imponga la riserva di legge (oltre quella di giurisdizione) e l’art. 103, comma 5, c.p.p. preveda un incondizionato divieto di intercettare le conversazioni o comunicazioni dei difensori e il comma 7 della stessa disposizione aggiunga un divieto di utilizzazione e di trascrizione, anche sommaria, nei brogliacci della polizia giudiziaria, la giurisprudenza è consolidata nel senso di consentire sempre l’intercettazione della comunicazione tra difensore e assistito per accertarne caso per caso e solo a posteriori il contenuto e, soltanto se ne riconosce la natura difensiva, la registrazione non è acquisibile.

Si tratta di un atteggiamento giurisprudenziale proclive ad assecondare le esigenze investigative a discapito del diritto di difesa. È pacifico che tali divieti probatori e di utilizzazione sono posti a garanzia della necessaria riservatezza dell’attività difensiva e quindi le comunicazioni e conversazioni tra assistito e difensore, riconoscibili dal numero di utenza del legale o da altri elementi, devono presumersi di natura difensiva, salvo prova contraria aliunde emergente, e pertanto non sono ammesse e, se erroneamente iniziate, devono essere immediatamente interrotte. Si dovrebbe perciò riflettere sui limiti che all’attività di indagine devono essere non solo posti legislativamente, ma anche rispettati nella prassi, per tutelare davvero la funzione difensiva.

La giurisprudenza europea

Anche la CEDU ha sottolineato che il segreto professionale è alla base del rapporto di fiducia esistente tra il difensore e il suo assistito e che la tutela del segreto professionale è il corollario del diritto di non autoincriminarsi in capo a chi è assistito da un difensore, il che presuppone che le autorità devono cercare di dimostrarne la responsabilità senza ricorrere a prove ottenute attraverso metodi di coercizione, in spregio alla volontà della persona accusata [CEDU, Sez. V, A. ed altri c/Francia, 24/7/2008].

Per questa ragione la giurisprudenza della CEDU ha ripetutamente ravvisato la violazione dell’art. 8CEDU [CEDU, Sez. IV, D.I.R. c/Romania, 31/10/2017; CEDU, Sez. III, D.P. c/Romania (n. 2), 26/4/2007]. La stessa CEDU riconosce che «è chiaramente interesse generale che chiunque desideri consultare un avvocato sia libero di farlo in condizioni che favoriscano una discussione piena e disinibita e che è per questo motivo che il rapporto difensore-assistito è, in linea di principio, tutelato» [CEDU, Sez. V, 17/12/2020, S. c/Norvegia.

Pertanto, i giudici di Strasburgo richiedono regole chiare e dettagliate sull’intrusione nella vita privata [CEDU, Sez. IV, S. e altri c/Finlandia, 27/9/2005] e riconoscono l’importanza di specifiche garanzie procedurali quando si tratta di proteggere la riservatezza delle conversazioni tra difensore e suo assistito [CEDU, Sez.V, S. c/Germania, 27/4/2017; CEDU, Sez. V, M. c/Francia, 6/12/2012].

Prospettive di riforma

Il disegno di legge Nordio, all’esame del Senato (Atto Senato n. 808) prevede di apportare modifiche all’art. 103 c.p.p., inserendo, dopo il comma 6, altri due commi. In particolare, il comma 6-bis prescriverebbe che “È parimenti vietata l’acquisizione di ogni forma di comunicazione, anche diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l’imputato e il proprio difensore, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato”. Ed il comma 6-ter aggiungerebbe che “L’autorità giudiziaria o gli organi ausiliari delegati interrompono immediatamente le operazioni di intercettazione quando risulta che la conversazione o la comunicazione rientra tra quelle vietate».

Riferimenti normativi:

Art. 103, comma 5, c.p.p.

Art. 103, comma 7, c.p.p.

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