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No all’attenuante del concorso doloso dell’offesa anche se, ubriaca, molesta l’aggressore

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Penale

Reato in genere

No all’attenuante del concorso doloso dell’offesa anche se, ubriaca, molesta l’aggressore

lunedì 19 febbraio 2024

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta dal tribunale ad un uomo per il reato di lesioni dolose aggravate avendo sfregiato il volto della vittima, la Corte di Cassazione penale, Sez. V, con la sentenza 13 febbraio 2024, n. 6401 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui erroneamente i giudici di merito avevano negato la configurabilità dell’attenuante del concorso doloso della persona offesa, per essersi la stessa ubriacata al punto tale da assumere un atteggiamento molesto nei confronti dell’imputato – nell’escludere qualsiasi atteggiamento provocatorio della vittima, ha invece riaffermato il principio secondo cui ai fini della sussistenza della circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa, è necessaria l’integrazione di un elemento materiale, quale è l’inserimento del comportamento della persona offesa nella serie delle cause determinatrici dell’evento, e di un elemento psichico, consistente nella volontà di concorrere a determinare lo stesso evento.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 13 febbraio 2024, n. 6401

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen., Sez. II, 2/3/2018, n. 25915

Cass. pen., Sez. IV, 17/1/2023, n. 5714

Difformi Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 62, n. 5, c.p., sotto la rubrica «Circostanze attenuanti comuni», prevede che “Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti: (omissis); 5. l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa; (omissis)”.

La circostanza, di natura oggettiva, attribuisce rilevanza attenuante al concorso nella produzione dell’evento del fatto doloso della persona offesa. Per la configurabilità dell’attenuante è, innanzitutto, necessario che la condotta della persona offesa abbia contribuito a determinare l’evento.

È controverso in dottrina il significato del riferimento normativo all’«evento». Gli Autori che lo interpretano come «evento» in senso giuridico affermano l’applicabilità dell’attenuante anche ai reati di mera condotta (Marini, Fatto doloso della persona offesa, in RIDPP, 1960, 933); nello stesso senso coloro che interpretano l’espressione come sinonimo di fatto di reato (Marinucci, Dolcini). Altra parte della dottrina, in linea con l’interpretazione giurisprudenziale del termine, fa riferimento all’evento naturalistico e richiede che la condotta della persona offesa si inserisca nella serie causale che ha determinato l’evento (Fiandaca, Musco; Mantovani Pagliaro); secondo tale impostazione, il fatto della persona offesa rileva in quanto non interrompa, ai sensi dell’ult. co. dell’art. 41, quale causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, il nesso causale tra l’azione o l’omissione del colpevole e l’evento stesso.

Secondo elemento per la configurabilità dell’aggravante è la sussistenza di un «fatto doloso della persona offesa». La formula è interpretata in dottrina in senso atecnico e non letterale: non è richiesto il dolo della persona offesa, ma soltanto che la sua condotta diretta alla realizzazione dell’evento sia volontaria (Fiandaca, Musco; Marinucci, Dolcini; contra Palermo Fabris, Art. 62, in Comm. Crespi, Forti, Zuccalà, 273), per cui non è sufficiente l’occasionalità di un contributo oggettivo alla realizzazione del fatto, prestato per finalità differenti (Comm. Romano, I). Si ritiene che possa essere qualificato come doloso anche il fatto commesso da persona non imputabile (Comm. Romano, I; Padovani; contra Manzini, II).

Secondo la giurisprudenza, l’aggravante richiede l’integrazione di un elemento materiale, quale è l’inserimento del comportamento della persona offesa nella serie delle cause determinatrici dell’evento, e di un elemento psichico, consistente nella volontà di concorrere a determinare lo stesso evento (Cass. pen., Sez. IV, 10/2/2023, n. 5714; Cass. pen., Sez. II, 7/6/2018, n. 25915); occorre che sia effettuato un puntuale raffronto tra la condotta del soggetto attivo e il concreto atteggiarsi del comportamento concorrente della persona offesa, nelle sue componenti oggettive e soggettive (Cass. pen., Sez. V, 21/12/2020, n. 36843).

Il riconoscimento dell’attenuante presuppone che la persona offesa preveda e voglia l’evento dannoso come conseguenza della propria cooperazione attiva o passiva al fatto delittuoso dell’agente (Cass. pen., Sez. I, 14/7/2010, n. 29938); non è, invece, sufficiente che il suo comportamento abbia costituito semplicemente il movente della condotta dell’imputato (Cass. pen., Sez. V, 17/9/2012, n. 35560). La condotta della persona offesa deve, pertanto, collegarsi sul piano della causalità psicologica alla condotta del soggetto attivo del reato, nel senso che la persona offesa deve volere lo stesso evento avuto di mira dall’agente (Cass. pen., Sez. VI, 29/1/2016, n. 6659; Cass. pen., Sez. I, 7/3/2012, n. 14802; Cass. pen., Sez. I, 11/3/2008, n. 13764; Cass. pen., Sez. I, 9/5/1994, n. 9352).

L’evento illecito perseguito dalla vittima deve coincidere dal punto di vista materiale e psicologico con quello costitutivo del delitto e non può essere stato soltanto occasione o pretesto della condotta dell’agente (Cass. pen., Sez. II, 26/4/2021, n. 15587). Le condotte della vittima e degli aggressori devono essere elementi della stessa serie causale di produzione dell’evento (Cass. pen., Sez. I, 14/7/2010, n. 29938, che ha escluso la circostanza attenuante con riferimento alla reazione a una rapina a mano armata da parte di un gioielliere rimasto ucciso nello scontro con gli autori del fatto; Cass. pen., Sez. I, 11/3/2008, n. 13764). Il fatto doloso del soggetto passivo deve essere concausa efficiente dell’evento del reato (Cass. pen., Sez. I, 6/4/2006, n. 15990; Cass. pen., Sez. III, 26/11/1999, n. 285). La circostanza attenuante non è applicabile alla rissa ed ai reati ad essa connessi (Cass. pen., Sez. I, 5/11/2009, n. 49966); l’accettazione di una sfida, come anche il portare una sfida, per la risoluzione di una contesa o per dare sfogo ad un risentimento, impedisce l’applicazione della circostanza attenuante della provocazione, per la illiceità del comportamento di sfida, seppure esso sia stato occasionato da un precedente fatto dell’avversario (Cass. pen., Sez. I, 12/4/2012, n. 16123); la partecipazione ad una rissa non può integrare, rispetto al reato di omicidio preterintenzionale, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 5 poiché essa presuppone, oltre all’inserimento dell’azione della persona offesa nella serie delle cause dell’evento lesivo subito, anche la volontà di concorrere alla produzione di questo (Cass. pen., Sez. V, 18/12/1991).

È stata anche esclusa: in relazione al delitto di cui all’art. 9-ter, comma 2, c. str., che punisce la violazione del divieto di gareggiare in velocità cui consegua la morte di una o più persone (Cass. pen., Sez. IV, 28/2/2018, n. 9128); in relazione al delitto di atti sessuali con minorenne, poiché l’eventuale consenso della vittima non costituisce causa o concausa dell’evento (Cass. pen., Sez. III, 21/11/2008, n. 347); in relazione al delitto di corruzione propria, poiché la persona offesa è soltanto la pubblica amministrazione, interessata a che i propri atti non siano oggetto di mercimonio e dunque in situazione di contrasto con i fini illeciti e personali del funzionario infedele (Cass. pen., Sez. VI, 9/7/2009, n. 36083); in relazione al delitto di agevolazione dell’ingresso clandestino nel territorio dello Stato di cui all’art. 12, commi 3 e 3-bis, D.Lgs. 25/7/1998, n. 286, perché il concorso della volontà della persona non cittadina già costituisce elemento necessario per la realizzazione della fattispecie (Cass. pen., Sez. I, 17/5/2018, n. 21955); in relazione al delitto di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, sia perché il concorso della volontà della prostituta è elemento costitutivo delle due fattispecie, sia perché la prostituta non è persona offesa, ma soltanto parte eventualmente danneggiata e soggetto passivo del delitto, sia, infine, perché la condotta della prostituta è soltanto un’occasione, prossima o remota, del delitto e non una vera e propria causa o concausa dell’evento (Cass. pen., Sez. III, 23/4/2014, n. 44915; Cass. pen., Sez. III, 26/11/1999, n. 285); in relazione alle attività illecite concernenti gli stupefacenti, quando per il riconoscimento dell’attenuante, si faccia riferimento alla condotta degli ufficiali di polizia giudiziaria che abbiano proceduto all’acquisto simulato di droga (Cass. pen., Sez. VI, 25/5/1993, n. 10938).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di Appello aveva confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di un uomo, dichiarato colpevole del reato di lesioni personali aggravate, per aver aggredito la vittima sfregiandole il volto. Ricorrendo in Cassazione, la difesa si era doluta per non essere stata riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 62, n. 5, c.p. in quanto la persona offesa era capace di intendere e di volere quando aveva dolosamente deciso di ubriacarsi e di rendersi pericolosa ed imprevedibile, in quanto se non si fosse ubriacata non sarebbe stata percepita come un pericolo da chi andava ad approcciare con essa.

La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C. ha osservato come la Corte di appello aveva chiarito come lo stato di alterazione della persona offesa aveva inciso sulla sua capacità di difendersi dall’aggressione, tant’è che la stessa immediatamente cercava di sottrarsi e di evitare lo scontro, né aveva rilievo la circostanza che la persona offesa sarebbe stata perfettamente capace di intendere e di volere quando avrebbe deciso di ubriacarsi e di rendersi in tal modo pericolosa ed imprevedibile.

La vittima infatti palesava l’intenzione di volere evitare lo scontro fisico, cercando di allontanarsi dall’altra persona che aveva assunto un atteggiamento aggressivo e violento nei suoi confronti, nonostante le sue condizioni psico-fisiche e il suo atteggiamento remissivo. A ciò, ha osservato la Cassazione, va aggiunto anche che l’ubriachezza rileva sul versante dell’autore del fatto (ed è rispetto a costui che il codice prevede che essa sia un’aggravante perché riconducibile ad una scelta del medesimo soggetto agente), e che, ove sia la persona offesa a versare in una condizione di alterazione psico-fisica, questa non è di per sé idonea ad incidere sulla responsabilità dell’autore del fatto – sminuendola o escludendola – per essere stata determinata dalla volontà del soggetto passivo; né è emerso che, nel caso di specie, lo stato di alterazione per ubriachezza sia stato voluto dalla vittima proprio per innescare l’alterco.

Nel caso di specie, pur a voler ritenere dimostrato che fosse riconducibile ad una scelta della persona offesa l’essersi posto nella condizione di ubriachezza che ebbe a indurla ad assumere un comportamento molesto, non si può affatto affermare che sia alla stessa imputabile la volontà di concorrere a determinare l’evento avendo il teste oculare riferito come essa avesse invece cercato di ritrarsi rispetto all’atteggiamento aggressivo e violento assunto dall’imputato.

Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 62, n. 5 c.p.

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