Contrasti giurisprudenziali
Continuazione in executivis: la pena più grave è sempre quella concretamente inflitta
martedì 20 febbraio 2024
di Aceto Aldo Consigliere della Corte di Cassazione
Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione con la sentenza 16 febbraio 2024, n. 7029 hanno dato risposta al seguente quesito: «Se il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, c.p.p. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), comporti che, in sede esecutiva, per “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., debba intendersi quella risultante dalla riduzione per il rito speciale ovvero quella antecedente alla suddetta riduzione».
Cassazione penale, Sez. Un., sentenza 16 febbraio 2024, n. 7029
La soluzione |
1) ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., il giudice dell’esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta”, che identifica la “violazione più grave”: quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza;
2) ai sensi degli artt. 671 c.p.p. e 187 disp. att. c.p.p., in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, c.p.p. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), il giudice dell’esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato. |
I precedenti | |
Cass. pen., Sez. I, 5/9/2019, n. 37168 | Il riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato, l’applicazione dell’aumento per continuazione su detta pena base e, infine, il computo sull’intero in tal modo ottenuto della diminuente per il rito abbreviato. |
Cass. pen., Sez. I, 26/5/2010, n. 20007 | Il riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato, l’applicazione dell’aumento per continuazione su detta pena base e infine il computo sull’intero in tal modo ottenuto della diminuente per il rito abbreviato. |
Cass. pen., Sez. I, 24/12/2008, n. 48204 | Ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, il giudice deve tenere conto della sanzione più severa concretamente inflitta, previa riduzione di un terzo nel caso di condanna pronunciata con rito abbreviato. |
Il caso e la questione di diritto
Con ordinanza del 31 gennaio 2022 il GIP del Tribunale di Catanzaro, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, aveva accolto la richiesta di applicazione della continuazione tra i reati oggetto di separate sentenze irrevocabili di condanna, una delle quali alla pena di anni trenta di reclusione per il delitto di omicidio volontario aggravato frutto della riduzione per la scelta del rito abbreviato.
Nel ritenere più grave quest’ultimo reato, il giudice aveva individuato come pena base quella dell’ergastolo (pena edittale prevista per il delitto di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p.), applicando su di essa le frazioni di pena a titolo di continuazione con i reati oggetto delle altre condanne ed indicando come pena finale quella dell’ergastolo con isolamento diurno ai sensi dell’art. 72, comma 2, c.p., che disciplina il concorso di un delitto che comporta la pena dell’ergastolo con uno o più delitti che importano pene complessivamente superiori a cinque anni.
Nel proporre ricorso per cassazione, il difensore del condannato aveva stigmatizzato che il criterio di calcolo seguito dal giudice dell’esecuzione aveva comportato un trattamento deteriore in sede di esecuzione, in quanto, pur essendo stato riconosciuto il beneficio della continuazione, la pena temporanea della reclusione – applicata, in cognizione, in ciascuno dei processi in considerazione – era stata sostituita con quella di specie diversa e più grave dell’ergastolo.
Investita del ricorso, la Prima Sezione penale aveva rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione dedotta (relativa alla corretta individuazione della nozione di “pena più grave inflitta” ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p.) e con ordinanza del 21 dicembre 2022 aveva rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.
La giurisprudenza precedente
Secondo un primo orientamento, per «pena più grave inflitta», che identifica la «violazione più grave» ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., deve intendersi quella antecedente alla riduzione per il rito abbreviato. L’argomento valorizzato a sostegno di tale orientamento rimanda, essenzialmente, alla considerazione della natura prettamente processuale della diminuente di cui all’art. 442, comma 2, c.p.p., da cui scaturisce la riduzione di pena; consistendo, quest’ultima, in un’operazione puramente aritmetica conseguente alla scelta del rito da parte dell’imputato, essa, logicamente e temporalmente, dev’essere eseguita dopo la determinazione della pena, effettuata secondo i criteri e nel rispetto delle norme sostanziali.
Un secondo orientamento ritiene, invece, che, ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, il giudice deve tenere conto della sanzione più severa concretamente inflitta, anche se frutto della riduzione di un terzo in caso di condanna pronunciata con rito abbreviato.
Con decreto del 20 aprile 2023, la Prima Presidente aveva assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la trattazione l’udienza camerale del 28 settembre 2023.
La decisione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento.
Applicano, in primo luogo, il criterio ermeneutico della interpretazione letterale della legge, privilegiato dall’art. 12 delle preleggi.
L’art. 187 disp. att. c.p.p. – affermano – fa testualmente riferimento alla pena che «è stata inflitta per il reato più grave» e, dunque, alla pena in concreto irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza e, in caso di pena inflitta in sede di giudizio abbreviato, a quella risultante dalla riduzione di un terzo per il rito.
È una soluzione pienamente coerente con la natura “derogatoria” della disposizione di attuazione rispetto alla norma generale di cui all’art. 81 c.p., come già sostenuto da precedenti sentenze delle stesse Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Un., 13/6/2013, C., n. 25939; Cass. pen., Sez. Un., 8/6/2017, n. 28659, G.) che, nel descrivere il “parallelismo” tra la norma sostanziale e quella processuale, hanno rilevato come la previsione dell’art. 187 disp. att. c.p.p. sia ispirata all’esigenza di “adattamento” dell’istituto della continuazione alle caratteristiche proprie dell’esecuzione, sicché mentre nel processo di cognizione l’individuazione della violazione più grave è affidata alla valutazione discrezionale, per quanto vincolata, del giudice, nella fase esecutiva essa, pur a fronte alla cedevolezza, pro-reo, del giudicato, non può che incontrare il limite della pena più grave già inflitta. Nell’uno come nell’altro caso, quindi, la pena-base è sempre quella per la violazione più grave, rispettivamente da determinare o già determinata: nel primo caso (giudizio di cognizione), si parla di una mera ipotesi di pena applicabile, nel secondo (fase esecutiva) di pene già concretamente applicate.
Inoltre, ricorda l’odierna sentenza, Cass. pen. Sez. Un., 6/12/2007, V., n. 45583, impropriamente richiamata dal primo orientamento a sostegno delle proprie conclusioni, aveva al contrario affermato che la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito opera necessariamente e sempre prima del criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 c.p. sicché la pena base relativa al più grave reato oggetto di condanna pronunciata all’esito di giudizio abbreviato deve essere calcolata al netto della riduzione del rito, come concretamente inflitta dal giudice della cognizione e non come se tale riduzione non vi fosse mai stata.
In ultima analisi, la corretta lettura dell’art. 187 disp. att. c.p.p. richiede – sostengono le Sezioni Unite – che, nella sequenza delle operazioni per la determinazione del trattamento sanzionatorio del reato continuato in fase esecutiva, la riduzione per il giudizio abbreviato assume rilievo in limine, dovendosi avere riguardo alla pena concretamente inflitta in esito all’applicazione della riduzione premiale del rito, e ciò con riferimento sia al reato base che ai reati satellite e prima, eventualmente, dell’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p.
L’altro argomento fa leva sulla natura sostanziale della pena concretamente irrogata a seguito della diminuente per la scelta del rito a prova contratta.
L’orientamento confutato fa leva, aggiungono le Sezioni Unite, sulla natura “processuale” della riduzione di pena applicata a seguito di giudizio abbreviato che, si afferma, non incide, in quanto mera operazione matematica, sulla individuazione della nozione giuridica di “pena” ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.p., nozione che prescinde dalla riduzione operata per fini meramente processuali, siccome frutto del patteggiamento sul rito.
Sennonché, obiettano le Sezioni Unite citando Cass. pen., Sez. Un., 17/3/1992, n. 2977, P., non importa stabilire la natura della diminuzione o della sostituzione della pena, importa piuttosto rilevare che essa si risolve indiscutibilmente in un trattamento penale di favore che sarebbe difficile contestare, non assumendo rilevanza, in senso contrario, il fatto che dipenda da un comportamento successivo alla commissione del reato.
La natura anche sostanziale assolta dalla diminuente in parola è emersa, ricordano le Sezioni Unite, con ancora maggiore nettezza, nelle fondamentali pronunce giurisprudenziali occasionate dalle vicende modificative della normativa disciplinante l’accesso al rito abbreviato succedutesi tra il 1999 e il 2000 e attinenti a casi di imputati che, ammessi al rito speciale in base alla legge vigente al momento della richiesta (L. 16 dicembre 1999 n.479, entrata in vigore il 2 gennaio 2000), con l’aspettativa di essere condannati alla pena di anni trenta di reclusione, vennero condannati all’ergastolo in virtù del sopravvenuto art. 7D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4, in vigore al momento della decisione.
In particolare, la natura sostanziale della diminuente è stata affermata da:
– Corte EDU, 17/9/2009, S. c. Italia, secondo la quale la specificazione introdotta dal D.L. n. 341/2000 alla modifica apportata dalla L. n. 479/1999 all’art. 442, comma 2, c.p.p. deve essere considerata non l’interpretazione autentica della suddetta norma, ma una nuova disposizione che stabiliva la riduzione di pena da applicare, per la scelta del rito abbreviato, in caso di condanna alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno; norma che, avendo natura sostanziale e non processuale, non poteva essere applicata retroattivamente, in quanto meno favorevole all’imputato;
– Corte cost., sent. n. 210/2013, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’articolo 7CEDU, come riscontrata dalla sentenza Corte EDU, 17/9/2009, S. c. Italia – l’art. 7, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4;
– Cass. pen., Sez. Un., 7/9/2012, n. 34233, G., secondo cui tra le diverse leggi succedutesi nel tempo che prevedono la specie e l’entità della pena da infliggere all’imputato in caso di condanna all’esito del giudizio abbreviato per i reati astrattamente punibili con l’ergastolo, la legge intermedia più favorevole non trova applicazione quando la richiesta di accesso al rito speciale non sia avvenuta durante la vigenza di quest’ultima, ma soltanto successivamente, nel vigore della legge posteriore che modifica quella precedente;
– Cass. pen., Sez. Un., 7/5/2014, n. 18821, E., secondo cui non può essere ulteriormente eseguita, ma deve essere sostituita con quella di anni trenta di reclusione, la pena dell’ergastolo inflitta in applicazione dell’art. 7, comma 1, D.L. n. 341/2000 all’esito di giudizio abbreviato richiesto dall’interessato nella vigenza dell’art. 30, comma 1, lett. b), L. n. 479/1999 – il quale disponeva, per il caso di accesso al rito speciale, la sostituzione della sanzione detentiva perpetua con quella temporanea nella misura precisata – anche se la condanna è divenuta irrevocabile prima della dichiarazione di illegittimità della disposizione più rigorosa, pronunciata per violazione dell’art. 117 Cost. in riferimento all’art. 7, par. 1, della Convenzione Edu, laddove riconosce il diritto dell’interessato a beneficiare del trattamento “intermedio” più favorevole, in quanto il divieto di dare esecuzione ad una sanzione penale contemplata da una norma dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi esprime un valore che prevale su quello della intangibilità del giudicato e trova attuazione nell’art. 30, comma 4, della L. 11 marzo 1953, n. 87.
Tutte queste pronunce, ricordano le odierne Sezioni Unite, hanno concordemente riconosciuto che gli aspetti processuali propri del giudizio abbreviato sono strettamente collegati con aspetti sostanziali, dovendosi ritenere tali quelli relativi alla diminuzione o alla sostituzione della pena.
Del resto, la giurisprudenza di legittimità non ha esitato ad affermare la immediata applicabilità dell’art. 442, comma 2, c.p.p., nella parte novellata dalla L. 23 giugno 2017 n. 103, anche alle contravvenzioni commesse prima della entrata in vigore della legge, con conseguente riduzione della metà della pena in conseguenza della scelta del rito abbreviato. Ciò in considerazione della riconosciuta natura sostanziale degli effetti prodotti dalla riduzione della pena per il rito alternativo, sebbene in conseguenza dell’applicazione di una norma processuale.
Sicché, chiosano le Sezioni Unite, può ritenersi, ormai, condivisa la prospettiva secondo la quale è innegabile la natura sostanziale delle ricadute sul trattamento sanzionatorio derivanti dall’accesso al rito abbreviato con conseguente soggezione alla disciplina prevista dagli artt. 2 c.p. e 25 Cost.
Di qui l’affermazione del principio di diritto sopra indicato in attuazione del quale le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso del condannato affermando che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto individuare la “pena più grave” inflitta in quella di anni trenta di reclusione, al netto, cioè, della riduzione per il rito, e su questa apportare gli aumenti per i reati satellite (nella misura di anni trentatré e mesi nove di reclusione, ridotti per il rito abbreviato ad anni ventidue e mesi sei); applicato il criterio moderatore previsto dall’art. 78, comma 1, n. 1), c.p., il giudice avrebbe dovuto rideterminare la pena definitiva in anni trenta di reclusione, pena direttamente determinata dalla Corte senza necessità di rinvio.
Riferimenti normativi:
Art. 187 disp. att. c.p.p.
Art. 671 c.p.p.
Art. 187 disp. att. c.p.p.