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Non comunica condanne ostative al reddito di cittadinanza: giusto l’annullamento della sentenza

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Penale

Reddito di cittadinanza

Non comunica condanne ostative al reddito di cittadinanza: giusto l’annullamento della sentenza

martedì 20 febbraio 2024

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta dal tribunale ad un uomo per aver indebitamente ottenuto l’erogazione del reddito di cittadinanza non avendo comunicato di essere stato destinatario di alcune condanne irrevocabile per reati ostativi all’ottenimento del beneficio statale, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 14 febbraio 2024, n. 6560 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui, al momento della presentazione della domanda per ottenere il reddito di cittadinanza, egli non aveva riportato condanne ostative, essendo queste divenute tali solo a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 234/2021, che aveva ricompreso tra i reati ostativi anche quelli di ricettazione e di traffico di stupefacenti – ha annullato la sentenza rilevando come il reato ascritto non poteva essere considerato configurabile, posto che, all’epoca della domanda e fino al 1° gennaio 2022, i reati per cui egli era stato condannato non erano inseriti nel novero dei reati ostativi, per cui l’omessa comunicazione delle condanne a suo carico non poteva essere ritenuta idonea a integrare il contestato reato, in quanto all’epoca non incidente sulla concessione del beneficio.

Cassazione penale, Sez. III, sentenza 14 febbraio 2024, n. 6560

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen., Sez. Un., 13/7/2023, n. 49686
Difformi Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 7, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, recante “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”, conv. con modd. in L. 28 marzo 2019, n. 26, oggi abrogato dall’art. 1, comma 318, L. 29 dicembre 2022, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2024, sotto la rubrica «Sanzioni», così prevedeva nei primi tre commi “1.  Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni.

  1. L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni.
  2. Alla condanna in via definitiva per i reati di cui ai commi 1 e 2 e per quelli previsti dagli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422, 600, 600-bis, 601, 602, 624-bis, 628, 629, 630, 640-bis, 644, 648, 648-bis e 648-ter del codice penale, dall’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, per i delitti aggravati ai sensi dell’articolo 416-bis.1 del codice penale, per i reati di cui all’articolo 73, commi 1, 1-bis, 2, 3 e 4, nonché comma 5 nei casi di recidiva, del testo unico di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nonché all’articolo 74 e in tutte le ipotesi aggravate di cui all’articolo 80 del medesimo D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e per i reati di cui all’articolo 12, comma 1, quando ricorra l’aggravante di cui al comma 3-ter, e comma 3, del testo unico di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nonché alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per gli stessi reati, consegue di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito. La revoca è disposta dall’INPS ai sensi del comma 10. Il beneficio non può essere nuovamente richiesto prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna”.

Il comma 3, in particolare, era stato così modificato dall’ art. 1, comma 74, lett. f), n. 1), L. 30 dicembre 2021, n. 234, a decorrere dal 1° gennaio 2022.

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello aveva confermato la decisione con la quale il GUP del Tribunale aveva condannato un imputato in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 7 del D.L. n. 4/2019, convertito dalla L. n. 26/2019, reato a lui contestato perché egli, ottenuto il reddito di cittadinanza a seguito di apposita domanda, ometteva informazioni dovute, non comunicando di essere sottoposto all’affidamento in prova ai servizi sociali a seguito di condanne, di essere proprietario di beni immobili e di essere destinatario di successione telematica a seguito della madre, percependo così indebitamente la somma di euro 5.385,67.

Assolto parzialmente in primo grado, in appello residuava a suo carico tale violazione, limitatamente all’omessa comunicazione di essere sottoposto alla misura alternativa dell’affidamento in prova presso i servizi sociali, stante l’omessa indicazione della propria posizione giuridica di soggetto condannato nei 10 anni precedenti per reati ostativi alla percezione del beneficio, quali il delitto di ricettazione e di traffico di sostanze stupefacenti.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa, in particolare sostenendone l’erroneità in quanto, allorquando l’imputato ebbe a presentare la domanda volta a conseguire il reddito di cittadinanza, egli non aveva riportato condanne ostative, essendo queste divenute tali solo dal 10 gennaio 2022 a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 234/2021, che ha ricompreso tra i reati ostativi anche quelli di ricettazione e di traffico di stupefacenti.

La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui in massima. In particolare, la S.C. ha anzitutto evidenziato in proposito che i reati per cui l’imputato era stato condannato in via definitiva prima della presentazione della domanda di ammissione al reddito di cittadinanza, ovvero quelli di cui agli art. 648 c.p. e 73 del D.P.R. n. 309/1990, non erano considerati ostativi alla concessione del beneficio richiesto, essendo divenuti tali solo a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 234 del 30 dicembre 2021 (“legge di bilancio 2022”), entrata in vigore il 10 gennaio 2022.

Pertanto, sia all’epoca della presentazione della domanda, sia alla data indicata nel capo di imputazione, coincidente con l’accertamento compiuto dalla Guardia di Finanza, i reati per cui l’imputato era stato condannato non impedivano l’erogazione del reddito di cittadinanza, per cui l’omessa indicazione nella domanda di tali condanne e la loro mancata comunicazione dopo l’elargizione del beneficio non potevano ritenersi penalmente rilevanti, dovendosi in tal senso richiamare la recente affermazione delle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Un., n. 49686 del 13/7/2023, CED Cass. 285435), secondo cui integrano il delitto di cui all’art. 7 del D.L. n. 4/2019, convertito dalla L. n. 26/2019, le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza, solo se funzionali a ottenere un beneficio non spettante, ovvero spettante in misura superiore a quella di legge: si è infatti precisato che quello di cui all’art. 7 del D.L. n. 4/2019 costituisce un reato di pericolo concreto a consumazione anticipata, per cui, nell’ottica del principio di necessaria offensività, l’omessa comunicazione di dati non rilevanti, a differenza delle informazioni dovute ai fini della concessione, della revoca o della riduzione del beneficio, “costituisce puramente e semplicemente un fatto atipico che non reca alcuna offesa al patrimonio e agli interessi pubblici dell’ente erogante“.

Partendo da tale premessa interpretativa, la condotta posta in essere dal reo, secondo la Cassazione, doveva essere necessariamente valutata alla luce del quadro normativo vigente all’epoca della presentazione della domanda volta al conseguimento del beneficio e dell’accertamento che ne è conseguito. Ora, secondo la Corte d’appello, la modifica del contesto legislativo di riferimento non era idonea a escludere la rilevanza penale della condotta decettiva, valendo solo a spostarne il temine di consumazione al momento della entrata in vigore della L. n. 234 del 30 dicembre 2021.

Tale affermazione, per la Cassazione, non poteva essere condivisa, atteso che, ampliando il novero dei reati ostativi alla concessione del beneficio e dunque idonei a comportarne la revoca, la L. n. 234/2021 ha finito con l’attribuire rilevanza penale, a partire dal 1° gennaio 2022, a condotte che fino a quel momento erano destinate a rimanerne prive, atteso che l’omessa comunicazione di eventuali condanne definitive intanto assume rilievo ai fini dell’integrazione della fattispecie per cui si procede, in quanto si riverberi sull’ an o sul quantum del beneficio economico richiesto.

Alla luce di tali considerazioni, il reato ascritto al reo non poteva essere considerato configurabile, posto che, all’epoca della domanda e fino al 1° gennaio 2022, i reati per cui egli era stato condannato non erano inseriti nel novero dei reati ostativi, per cui l’omessa comunicazione delle condanne a suo carico non poteva essere ritenuta idonea a integrare il contestato reato di cui al citato art. 7, in quanto all’epoca non incidente sulla concessione del beneficio.

Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 7D.L. 28 gennaio 2019, n. 4

  1. 28 marzo 2019, n. 26
  2. 30 dicembre 2021, n. 234
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