Penale
Giustizia riparativa
Giustizia riparativa: non è impugnabile il provvedimento che nega l’accesso
mercoledì 21 febbraio 2024
a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale, dopo avere emesso sentenza di condanna nei confronti di un imputato per i delitti di truffa aggravata e ricettazione, aveva rigettato la richiesta, da questi successivamente avanzata, di accesso ai programmi di giustizia riparativa ai sensi dell’art. 129-bis c.p.p., la Corte di Cassazione penale, Sez. II, con la sentenza 14 febbraio 2024, n. 6595 – nel disattendere la tesi difensiva per non aveva il giudice adeguatamente motivato in merito al mancato invio dell’imputato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, in violazione dell’art. 44D.Lgs. n. 150/2022, che prevede la possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa “senza preclusioni in relazione alla fattispecie del reato o alla sua gravità” – ha affermato il principio secondo cui la mancata previsione dell’impugnabilità, nell’ambito del procedimento penale, dell’ordinanza che nega all’indagato/imputato l’accesso ad un programma di giustizia riparativa non pone problemi di legittimità costituzionale, poiché il procedimento riparativo di cui all’art. 129-bis c.p.p. non ha natura giurisdizionale, concretizzandosi in un servizio pubblico di cura relazionale tra persone, disciplinato da regole non mutuabili da quelle del processo penale, che talora risultano incompatibili con queste ultime.
Cassazione penale, Sez. II, sentenza 14 febbraio 2024, n. 6595
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Non si rinvengono precedenti |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 129-bis, c.p.p., sotto la rubrica «Accesso ai programmi di giustizia riparativa», così recita: “1. In ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della L. 27 settembre 2021, n. 134, al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa.
- La richiesta dell’imputato o della vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b) del decreto legislativo attuativo della L. 27 settembre 2021, n. 134, è proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale.
- L’invio degli interessati è disposto con ordinanza dal giudice che procede, sentite le parti, i difensori nominati e, se lo ritiene necessario, la vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato.
- Nel caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione e in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’articolo 415-bis, il giudice, a richiesta dell’imputato, può disporre con ordinanza la sospensione del procedimento o del processo per lo svolgimento del programma di giustizia riparativa per un periodo non superiore a centottanta giorni. Si osservano le disposizioni dell’articolo 159, primo comma, n. 3), primo periodo, del codice penale, e dell’articolo 344-bis, commi 6 e 8, nonché, in quanto compatibili, dell’articolo 304.
- Al termine dello svolgimento del programma di giustizia riparativa, l’autorità giudiziaria acquisisce la relazione trasmessa dal mediatore”.
Il tema, posto dalla vicenda in esame, è quello della impugnabilità dei provvedimenti del giudice che rigettino la richiesta di accesso a tali programmi.
Orbene, secondo la Cassazione, nella decisione qui commentata, nessuna disposizione prevede specificamente l’impugnabilità dei provvedimenti che negano al richiedente l’accesso ai programmi di giustizia riparativa. Il rispetto del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, espresso dall’art. 568, comma 1, c.p.p. (secondo il quale è la legge che “stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti ad impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati”), non consente di ritenere impugnabile l’ordinanza con la quale sia stata rigettata la richiesta di accesso ad un programma di giustizia riparativa mutuando il regime d’impugnabilità di provvedimenti diversi.
D’altro canto, i provvedimenti del tipo di quello de quo non sono all’evidenza riconducibili al novero di quelli in materia di libertà personale, in relazione ai quali l’art. 111, comma 7, Cost., ammette la ricorribilità per cassazione per violazione di legge (“contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge”): la garanzia costituzionale riguarda i provvedimenti giurisdizionali che abbiano carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo, producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti (Cass. pen., Sez. Un., n. 25080 del 28/5/2003, CED Cass. 224610). Il provvedimento con il quale si rigetta la richiesta di accesso alla giustizia ripartiva manca di tali requisiti, e dunque ad esso non è estensibile il regime di ricorribilità per cassazione per violazione di legge previsto dall’art. 111, comma 7, Cost. L’ordinamento vigente non prevede, pertanto, secondo la Cassazione, la possibilità di impugnare, nell’ambito del procedimento/processo penale, i provvedimenti che rigettino le richieste di accesso ai programmi di giustizia riparativa.
Tale conclusione ha imposto, peraltro, alla Cassazione di verificare la legittimità costituzionale della mancata previsione dell’impugnabilità dell’ordinanza con la quale sia stata rigettata la richiesta di accesso ad un programma di giustizia riparativa. La Cassazione, richiamati sul punto i principi generali che hanno indotto il Legislatore ad inserire il tema della “giustizia riparativa” nel vigente codice di procedura penale, ha ricordato come il D.Lgs. n. 150/2022 (attuativo della c.d. riforma Cartabia) ha concepito il rapporto tra sistema penale e giustizia riparativa in chiave di complementarietà “integrativa”, nel senso che, soltanto tendenzialmente, la giustizia riparativa si innesta nel procedimento penale in qualsiasi stato e grado e senza preclusioni in relazione alla tipologia di illecito.
Questo assunto non è però valido in assoluto, poiché per la Cassazione esistono due ipotesi (che non è sistematicamente consentito non considerare, ai fini della definizione della natura del procedimento finalizzato all’accesso ai programmi di giustizia riparativa) nelle quali l’accesso ai programmi di giustizia riparativa prescinde dal procedimento/processo penale:
- a) la prima è quella prevista dall’art. 44, comma 2, D. Lgs. n. 150/2022, che prevede l’accesso ai programmi di giustizia riparativa anche dopo l’esecuzione della pena e dunque quando la giustizia punitiva ha fatto il suo corso;
- b) la seconda è quella prevista dall’art. 44, comma 3, stesso D.Lgs., che, per i reati perseguibili a querela di parte, consente il ricorso alla giustizia riparativa anche prima della proposizione della querela e dunque dell’inizio del procedimento penale.
In tali casi, quindi, l’accesso ad un programma di giustizia riparativa è, alternativamente, possibile quando l’iter della giustizia punitiva si è concluso, e dunque la responsabilità penale è stata accertata e la pena è stata eseguita, oppure quando esso non è ancora iniziato, e potrebbe non iniziare mai.
Tanto premesso, la Cassazione ha aggiunto come il procedimento riparativo non è un procedimento giurisdizionale: il programma riparativo e le attività che gli sono propri appartengono non al procedimento/processo penale, quanto piuttosto all’ordine di un servizio pubblico di cura della relazione tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale. Ciò spiega le ragioni per le quali, all’interno del procedimento riparativo, operano regole di norma non mutuabili da quelle del processo penale, ed anzi, incompatibili con quelle del processo penale: volontarietà, equa considerazione degli interessi tra autore e vittima, consensualità, riservatezza, segretezza.
Ed invero, proprio perché l’oggetto e la finalità del percorso riparativo sono completamente diversi da quelli del processo penale, non possono in entrambi operare gli stessi principi. Queste considerazioni confermano secondo la Cassazione che la mancata previsione per i provvedimenti di cui trattasi, all’interno del procedimento/processo penale, di un regime impugnatorio ad hoc analogo a quello dei provvedimenti aventi natura giurisdizionale, non costituisce mera ed ingiustificata lacuna (che, si badi, nessuno tra i pur numerosi autori che hanno commentato la novella sembrerebbe avere enucleato, a riprova della implicita, ma generalizzata, valutazione della sua irrilevanza), bensì scelta consapevole, perché ricollegata alla “speciale” natura, non giurisdizionale, del nuovo istituto, del legislatore.
D’altro canto, sia pur in una prospettiva diversa, la stessa Cassazione (Cass. pen., Sez. VI, n. 25367 del 9/5/2023, I., CED Cass. 285639 – 01) ha già ritenuto, in tema di giustizia riparativa, che la possibilità, per il giudice, di disporre “ex officio” l’invio delle parti ad un centro di mediazione è rimessa a una sua valutazione discrezionale, non sussistendo un obbligo in tal senso, né dovendo tale scelta essere motivata, sicché, ove non risulti attivato il percorso riparativo di cui all’art. 129-bis c.p.p. o sia stato omesso l’avviso alle parti della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa previsti dall’art. 419, comma 3-bis, c.p.p., non è configurabile alcuna nullità.
Da qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.
Riferimenti normativi:
Art. 129-bis c.p.p.