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Confisca allargata: i redditi evasi giustificano gli acquisti tra il 29 maggio 2014 e il 19 novembre 2017

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Contrasti giurisprudenziali

Confisca allargata: i redditi evasi giustificano gli acquisti tra il 29 maggio 2014 e il 19 novembre 2017

mercoledì 28 febbraio 2024

di Aceto Aldo Consigliere della Corte di Cassazione

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione penale con la sentenza 23 febbraio 2024, n. 8052 hanno dato risposta al seguente quesito: «se per il soggetto destinatario di un provvedimento di confisca c.d. allargata o di sequestro finalizzato a tale tipo di confisca il divieto – già stabilito dall’art. 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, come sostituito dall’art. 31 della legge 17 ottobre 2017, n. 161 e oggi previsto dall’art. 240-bis, comma 1, c.p. – di giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, valga anche per i cespiti acquistati prima del 19 novembre 2017, ossia prima del giorno di entrata in vigore dell’art. 31 della L. n. 161/2017».

Cassazione penale, Sez. Un., sentenza 23 febbraio 2024, n. 8052

La soluzione
Il divieto previsto dall’art. 240-bis c.p., introdotto dall’art. 31L. 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificare la legittima provenienza dei beni oggetto della confisca c.d. allargata o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle Sezioni Unite n. 33451/2014 ric. R., e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della L. n. 161/2017.

 

I precedenti
Cass. pen., Sez. I, 17/1/2020, n. 1778 In tema di confisca cd. allargata ai sensi dell’art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306 (ora art. 240-bis c.p.), la previsione di cui all’art. 31 della L. 17 ottobre 2017, n. 161, secondo la quale il condannato per un reato-spia “non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale”, ha natura di norma processuale, giacché non eleva l’evasione fiscale a presupposto dell’ablazione, ma introduce, in capo al predetto, un divieto probatorio destinato ad operare nel contesto d’una ricostruzione delle sue capacità economiche da effettuarsi in termini scomposti, ossia in ragione d’anno con riferimento alle risorse necessarie per realizzare gli acquisti nel momento in cui gli stessi sono intervenuti, e non riassuntivi, secondo il metodo di un confronto globale; ne deriva che la suddetta previsione – in ossequio a criteri di ragionevolezza e tutela dell’affidamento – non può trovare applicazione, anche nei procedimenti in corso, in relazione a ricostruzioni patrimoniali relative ad anni anteriori a quello di sua introduzione.
Cass. pen., Sez. II, 23/2/2022, n. 6587 In tema di confisca cd. allargata ai sensi dell’art. 12-sexies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356 (ora art. 240-bis c.p.), l’art. 31 della L. 17 ottobre 2017, n. 161, secondo cui il condannato per un reato-spia “non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale”, si applica anche in relazione a cespiti acquisiti prima dell’entrata in vigore della stessa. A siffatta conclusione non osta il principio secondo cui la legge, ai sensi dell’art. 11 disp. prel. c.c., dispone solo per l’avvenire, atteso che, in ragione della natura di misura di sicurezza di detta confisca, rileva la speciale disposizione dell’art. 200, comma 1 c.p., richiamata dall’art. 236, comma 2, c.p., in forza della quale le misure di sicurezza soggiacciono alla disciplina in vigore al momento della loro applicazione.
Cass. pen., Sez. II, 21/4/2022, n. 15551 In tema di confisca allargata ex art. 12-sexiesD.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356 (ora art. 240-bis c.p.), la disposizione di cui all’art. 31L. 17 ottobre 2017, n. 161, secondo cui il condannato per un reato-spia “non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale”, si applica anche in relazione a cespiti acquisiti prima dell’entrata in vigore della stessa, avendo siffatta confisca natura di misura di sicurezza.

Il caso e la questione di diritto

Con ordinanza del 17 ottobre 2022 il Tribunale di Bari, pronunciando quale giudice dell’appello cautelare, aveva confermato la legittimità del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca in casi particolari di cui all’art. 240-bis c.p. (cd. “confisca allargata” o “per sproporzione”) adottato nell’ambito del procedimento penale a carico dell’imputato per i delitti di concussione (art. 317 c.p.), truffa (art. 640 c.p.) e truffa aggravata ai danni di ente pubblico (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.).

Nel proporre ricorso per cassazione, il difensore aveva dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione sotto il duplice profilo della non applicabilità, al caso di specie, del limite probatorio previsto dall’art. 240-bis, comma 1, c.p., introdotto dall’art. 31 della L. 17 ottobre 2017, n. 161, secondo cui il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale (primo motivo) e del criterio della c.d. “ragionevolezza temporale” della ablazione (secondo motivo).

Investita del ricorso, la Sesta Sezione penale aveva rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione dedotta con il primo motivo e con ordinanza del 30 marzo 2023 aveva rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.

La giurisprudenza precedente

Secondo un primo orientamento, l’art. 31 della L. 17 ottobre 2017, n. 161, ha natura processuale perché introdurrebbe per il condannato un divieto probatorio destinato ad operare nel contesto dell’operazione di ricostruzione delle sue capacità economiche; detta norma, in ossequio a criteri di ragionevolezza e tutela dell’affidamento, non potrebbe trovare applicazione, anche nei procedimenti in corso, in relazione alle ricostruzioni patrimoniali relative ad anni anteriori a quello di sua introduzione.

Secondo questo indirizzo, solo in relazione alla confisca di prevenzione – rispetto alla quale il presupposto di pericolosità soggettiva può essere fondato anche su condotte di sistematica e ricorrente evasione fiscale (se penalmente rilevanti) – le Sezioni Unite avevano già escluso che la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto potesse essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale (Cass. pen., Sez. Un., 29/7/2014, n. 33451, R.). Dunque, proprio i principi precedentemente affermati dalle Sezioni Unite consentirebbero di ritenere, ex adverso, che, almeno fino all’entrata in vigore della L. n. 161/2017, per la confisca allargata fosse consentito giustificare la sproporzione di valori tra redditi e investimenti facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati al fisco.

Un secondo orientamento ritiene, invece, che il divieto probatorio in questione troverebbe applicazione anche con riguardo ai beni acquisiti prima dell’entrata della L. n. 161/2017 in ragione della natura di misura di sicurezza, benché atipica, della confisca allargata e, di conseguenza, del combinato disposto degli artt. 199 e 200 c.p., richiamati, quanto alle misure di sicurezza patrimoniali, dall’art. 236, comma 2, c.p. Le misure di sicurezza, secondo questo orientamento, non sarebbero soggette al principio di irretroattività di cui all’art. 25 Cost. e 2 c.p. e sarebbero invece regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione

Con decreto del 15 giugno 2023, la Prima Presidente aveva assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la trattazione l’udienza camerale del 26 ottobre 2023.

La decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite non aderiscono a nessuno dei due orientamenti.

Rievocate, sul piano storico, le ragioni dell’introduzione nell’ordinamento penale dell’art. 12-sexies L. n. 356/1992, veicolato nel codice penale con l’aggiunta dell’art. 240-bis c.p. (“confisca in casi particolari”) in attuazione del principio della riserva di codice di cui all’art. 3-bis, inserito dall’art. 1D.Lgs. n. 21/2018, le Sezioni Unite ricordano che fu data in tal modo attuazione all’obiettivo di confiscare le ricchezze non giustificate che fossero nella disponibilità di un soggetto che avesse riportato condanna per uno dei reati in detta norma elencati.

Si tratta, in particolare, di una confisca giustificata dalla particolare gravità dei delitti spia ed in cui la diminuzione patrimoniale è caratterizzata da un forte affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa in quanto fondata, nella sostanza, su tre elementi: la qualità di condannato per determinati reati; la sproporzione del patrimonio di cui il condannato dispone, anche indirettamente, rispetto al suo reddito o alla sua attività economica; la presunzione che il patrimonio stesso derivi da altre attività criminose non accertate. In presenza di determinate condizioni, si presume, cioè, che il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla condanna, ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni di cui egli dispone.

Si è dubitato – affermano le Sezioni Unite – della compatibilità costituzionale di uno strumento tanto efficace quanto fortemente invasivo e si è chiarito come la presunzione relativa non realizzi una reale inversione dell’onere della prova ma si limiti a porre a carico del soggetto destinatario del provvedimento di confisca (o di sequestro ad essa finalizzato) un onere di allegazione di fatti e circostanze di cui il giudice valuterà la specificità e la rilevanza e verificherà, in definitiva, la sussistenza.

La confisca di prevenzione, di cui all’art. 24 D.Lgs. n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), e la confisca allargata(o di sproporzione) – e i sequestri che, rispettivamente, ne anticipano gli effetti – sono ‘species’ di un unico ‘genus’, costituito dalla confisca dei beni di sospetta origine illecita; si tratta di uno strumento strutturato attraverso uno schema legale di carattere presuntivo caratterizzato sia da un allentamento del rapporto tra l’oggetto dell’ablazione e il singolo reato, sia, soprattutto, da un affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa (in questo senso, Corte cost., sent. n. 24/2019).

I rilevanti alleggerimenti probatori per l’accusa trovano un bilanciamento nell’onere di allegazione da parte del condannato, finalizzato a superare la presunzione di illecita accumulazione; un onere che, come affermato dal Giudice delle leggi, deve limitarsi a rendere credibile la provenienza lecita dei beni (Corte cost., sent. n. 33/2018) e che – annotano le Sezioni Unite – si pone tra diritto e prova, tra requisiti di struttura della fattispecie ablatoria e, soprattutto, accertamento processuale, tra tipicità e diritto di difesa; una fattispecie ablatoria in movimento, in divenire, che pone questioni ed esigenze di conformazione di consolidati schemi interpretativi e che, senza cedere a semplificazioni probatorie incontrollate, siano capaci di studiare le condotte e, attraverso il processo, il loro significato obiettivo.

Nell’ambito della complessità della fattispecie ablatoria in esame, la Corte di cassazione e la Corte costituzionale hanno perimetrato l’ambito di operatività della presunzione di illecita provenienza dei beni secondo il criterio di “ragionevolezza temporale”, ponendo l’accento, sulla base di un percorso ermeneutico affine a quello cui sono precedentemente pervenute le stesse Sezioni Unite in tema di confisca di prevenzione, sulla necessità di un collegamento cronologico tra l’attività delittuosa per cui è stata emessa la sentenza di condanna o di applicazione della pena e il momento di ingresso nel patrimonio del singolo bene di valore sproporzionato rispetto al reddito o all’attività economica. Si tratta di un accertamento processuale complesso e scomposto, perché relativo ai singoli beni che nel tempo sono stati acquisiti, e volto a riempire di contenuto di garanzia, attraverso il versante processuale, la struttura di una fattispecie efficace e, al tempo stesso, invasiva.

Si tratta, dunque, di una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all’affine misura di prevenzione antimafia introdotta dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, e che si colloca su una linea di confine con la funzione repressiva propria della misura di sicurezza patrimoniale, come emerge dalla sua collocazione sistematica, coniugandosi la finalità dissuasivacon la funzione preventiva della misura, in quanto volta ad evitare il proliferare di ricchezza di provenienza non giustificata ed il suo impiego per ulteriori attività delittuose. L’ablazione dei beni non costituisce una sanzione, ma piuttosto la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione.

In questo contesto, prosegue la sentenza, si colloca il principio affermato in materia di confisca di prevenzione da Cass. pen., Sez. Un., 29/7/2014, n. 33451, R., secondo cui la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca di prevenzione mirano a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso.

In quell’occasione le Sezioni Unite individuarono la linea di confine tra la confisca per sproporzione e la confisca di prevenzione osservando che mentre, ai fini della prima (confisca allargata), la presunzione di illecita provenienza dei beni del condannato è ancorata letteralmente ed espressamente alla sola sproporzione rispetto all’attività economica svolta e all’assenza di giustificazione, ai fini della seconda (confisca di prevenzione) sono altresì richiesti gli indizi sufficienti della provenienza dei beni da qualsiasi attività illecita.

In breve, mentre la confisca allargata consegue alla mancata giustificazione della provenienza delle utilità ed alla sproporzione rispetto ai redditi dichiarati o alla propria attività economica, quella di prevenzione, invece, aggiunge (profilo estraneo alla confisca ex art. 240-bis c.p.) in alternativa la riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al reimpiego delle stesse. Di qui la possibilità di indicare, per sterilizzare la confisca allargata (o per sproporzione), anche i redditi eventualmente sottratti all’imposizione fiscali, possibilità preclusa in caso di confisca di prevenzione perché tali redditi hanno comunque origine illecita.

La sentenza “Repaci” ha dunque determinato un legittimo affidamento sulle condizioni che dal 2014 potevano legittimare la confisca allargata. Il sistema del precedente vincolante per le sezioni semplici della Corte di cassazione (sistema codificato dall’art. 618, comma 1-bis, c.p.p.), attribuendo alla regola enunciata dalle Sezioni Unite una valenza di tendenziale stabilizzazione dei rapporti, è funzionale ad assicurare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie e, quindi, ad offrire al cittadino la possibilità di conoscere le conseguenze delle libere scelte di azione e di fare affidamento su un assetto normativo stabile. Il tema della prevedibilità e dell’«ampliamento garantistico» ad esso sotteso è stato allargato oltre la stessa nozione estesa di ‘materia penale’, trovando applicazione anche alla confisca allargata e alle misure di prevenzione (CEDU, Grande Camera, 23/2/2017, D.T. c. Italia, ma anche Corte cost., sent. n. 24/2019 e 25/2019) e alla gran parte dei diritti di libertà e, in particolare, al diritto di proprietà tutelato dall’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU.

Ora, ricordano le odierne Sezioni Unite, la L. n. 161/2017, oltre ad aver ampliato l’elenco dei reati-presupposto (o delitti-spia), ha volutamente esteso alla disciplina della confisca allargata il divieto per il condannato di giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, un divieto che si traduce in un limite probatorio di uguale tenore a quello già previsto per la confisca di prevenzione e che recede solo se l’obbligazione tributaria è stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge.

In questo modo è stata dichiaratamente superata la regola con cui le Sezioni Unite “Repaci” (espressamente richiamate in sede di lavori preparatori) avevano stabilizzato nel 2014 il senso e la portata della base legale della confisca allargata, incidendo soprattutto sulla posizione del soggetto destinatario del provvedimento ablatorio, al quale peraltro anche sul piano testuale la disposizione di legge è riferita. Si tratta, sottolineano le Sezioni Unite, di una disposizione fortemente incidente sul diritto di difesa, sul contenuto e sull’ambito dell’allegazione difensiva a discarico, sulla possibilità di “rompere” e superare la presunzione di illecita accumulazione, sulla prevedibilità dell’ablazione rispetto alla base legale stabilizzata e non controversa, per anni, dal 2014.

Il legislatore è intervenuto modificando le regole probatorie di un accertamento processuale che si sviluppa nel tempo, che si proietta “indietro”, che ha carattere complesso e scomposto – perché riferibile ai singoli beni – e che può involgere beni acquisiti già prima che le Sezioni Unite nel 2014 chiarissero la base legale della fattispecie, ovvero beni acquisiti nel segmento di tempo successivo, intercorrente tra la pronuncia delle Sezioni Unite e l’introduzione nel 2017 della “nuova” regola probatoria, ovvero, ancora, nel segmento temporale successivo. Una modifica normativa, dunque, che pesa sulla posizione processuale del soggetto destinatario dell’ablazione, atteso che, dal 2014 al 2017, non solo non era vietato, ma era stato espressamente consentito giustificare la provenienza dei beni facendo riferimento ai redditi derivanti da attività lecite non dichiarate.

La valenza prettamente processuale della norma introdotta con la L. n. 161/2017 impone di fare riferimento non tanto all’art. 236 c.p. e al principio della incondizionata retroattività della legge sopravvenuta, quanto, piuttosto, allo statuto intertemporale espresso dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, considerato un parametro valido ogni qual volta non debba farsi applicazione dei principi previsti dall’art. 25 Cost. e 2 c.p., ovvero 200236 c.p.

Orbene, affermano le Sezioni Unite, al fine di individuare la norma processuale penale applicabile tra quelle interessate da un fenomeno successorio ovvero l’ambito applicativo di una norma processuale penale sopravvenuta, l’operatività del principio ‘tempus regit actum’ può essere mitigata, temperata, in ragione della necessità di dare attuazione alla tutela dell’affidamento dei consociati sull’assetto di una determinata base legale, stabilizzata dal diritto vivente, in ossequio ai plurimi principi di rilievo costituzionale desumibili dagli artt. 2, 13, 24 e 111 Cost. nonché dagli artt. 1 e 6CEDU, ed applicabili anche in relazione ad una fattispecie complessa come quella della confisca allargata.

Viene quindi in rilievo una operazione valoriale dell’interprete di conformazione prudente, volta, da una parte, ad assicurare tutela ai diritti dell’individuo, effettività al diritto di difesa, prevedibilità di una ragionevole decisione, e, per converso, ad evitare che, attraverso l’introduzione di norme processuali incidenti in senso peggiorativo sull’accertamento della “responsabilità” in senso lato, si realizzino fenomeni di retroattività incontrollata e diminuzioni di garanzie per chi ha ragionevolmente confidato nell’assetto normativo precedente al ‘novum’ processuale.

Si tratta di un’applicazione del principio ‘tempus regit actum’ temperata anche per le forme di punizione non penale. La confisca allargata, infatti, pur non avendo natura strettamente “penale”, è caratterizzata per il riferirsi ad una concatenazione di atti e fatti collocati in tempi diversi, rispetto ai quali occorre avere riguardo all’affidamento della parte di potersi difendere “provando” al fine di superare la presunzione di illecita accumulazione. Limitatamente ai beni acquisiti nel periodo intercorrente tra il 29 maggio 2014 – data della sentenza delle Sezioni Unite “Repaci” – e il 19 novembre 2017 – data di entrata in vigore della L. n. 161/2017 – la posizione processuale del condannato era misurata su un assetto normativo consolidatoe chiarificatore della base legale della confisca, del suo significato, del suo ambito operativo, del contraddittorio e del diritto di difesa.

Con riferimento al periodo temporale indicato provare la legittima provenienza dei singoli beni facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati, non solo non era vietato ma era espressamente consentito da anni. Il limite probatorio sopravvenuto, dunque, non costituisce per il condannato una modifica accessoria peggiorativa della base legale consolidata, ma incide profondamente sul pregresso assetto normativo, mutandolo nella regolamentazione e nel rapporto tra diritto e processo.

Le Sezioni Unite, dunque, non condividono il primo indirizzo perché fondato sulla incondizionata applicazione retroattiva del divieto probatorio sopravvenuto limitandosi a fare riferimento alle norme generali dettate in tema di misura di sicurezza, di cui agli artt. 200236 c.p., senza tuttavia cogliere le implicazioni della norma sopravvenuta per i diritti dell’individuo e per l’affidamento incolpevole dei consociati in relazione alla complessità dell’accertamento processuale sottostante la fattispecie prevista dall’art. 240-bis c.p.

Non condividono, però, nemmeno il secondo indirizzo perché, pur cogliendo le connessioni tra il ‘novum’ e i diritti dell’individuo, finisce per escludere l’operatività del principio ‘tempus regit actum’ anche in relazione ad un lasso di tempo – quello precedente alla pronuncia della sentenza “Repaci” – in cui la base legale della misura ablatoria non consentiva di attribuire rilievo, in termini di ragionevole certezza, alla possibilità di superare la presunzione di illecita accumulazione facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati al fisco.

Di qui l’affermazione del principio di diritto sopra indicato in attuazione del quale le Sezioni Unite hanno accolto il primo motivo di ricorso e annullato il provvedimento impugnato con rinvio al tribunale dell’appello cautelare che aveva invece aderito al secondo dei due orientamenti.

Riferimenti normativi:

Art. 240-bis c.p.

Art. 31L. 17 ottobre 2017, n. 161

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