Reati contro il patrimonio
Reati contro il patrimonio
Riciclaggio per chi mette a disposizione il conto corrente per depositare il profitto di una truffa informatica
giovedì 07 marzo 2024
a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva riformato l’assoluzione del Tribunale, dichiarando un imputato colpevole del reato di riciclaggio allo stesso ascritto per aver messo a disposizione di terzi il proprio c/c al fine di depositarvi un’ingente somma di denaro proveniente da una frode informatica, la Corte di Cassazione penale, Sez. II, con la sentenza 28 febbraio 2024, n. 8793 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui non di riciclaggio l’imputato avrebbe dovuto rispondere, ma di concorso nel reato di frode informatica (art. 640-ter, c.p.), avendo egli al più fornito un contributo per la realizzazione dell’ingiusto profitto – ha invece affermato il principio secondo cui ove, nel caso di frode informatica (art. 640-ter, c.p.), segua il versamento del profitto illecito su un conto corrente bancario messo a disposizione da un terzo soggetto, estraneo al perfezionamento del reato presupposto, anche in tal caso, mancando ogni forma di concorso punibile nel reato di truffa informatica, non avendo l’estraneo precisa cognizione della specifica operazione delittuosa, il successivo versamento sul c/c finalizzato a permetterne il godimento agli autori del delitto presupposto configura una ipotesi di riciclaggio punibile, anche a titolo di dolo eventuale, ex art. 648 bis, c.p.
Cassazione penale, Sez. II, sentenza 28 febbraio 2024, n. 8793
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen., Sez. II, 26/4/2023, n. 19125 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 640-ter, c.p., sotto la rubrica «Frode informatica» punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 la condotta di chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549 se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell’articolo 640, ovvero se il fatto produce un trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale o è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o la circostanza prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all’aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all’età.
A sua volta, l’art. 648-bis, c.p., sotto la rubrica «Riciclaggio», punisce con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000 “Fuori dei casi di concorso nel reato”, la condotta di chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
La punibilità del reato di riciclaggio è quindi esclusa ove il soggetto sia concorrente nel reato presupposto. Intervenendo sul tema della c.d. clausola di riserva contenuta nell’incipit dell’art. 648-bis c.p., le Sezioni Unite “Iavarazzo” hanno affermato che la previsione che esclude l’applicabilità dei delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali nei confronti di chi abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto costituisce una deroga al concorso di reati che trova la sua ragione dì essere nella valutazione, tipizzata dal legislatore, di ritenere l’intero disvalore dei fatti ricompreso nella punibilità del solo delitto presupposto (Cass. pen., Sez. Un., n. 25191 del 27/2/2014, CED Cass. 259587 – 01).
Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte d’Appello, riformando l’assoluzione intervenuta in primo grado, aveva condannato un uomo per il reato di riciclaggio, per aver messo a disposizione di terzi il proprio c/c su cui era stata depositata un’ingente somma di denaro proveniente da una frode informatica. Ricorrendo in Cassazione, la difesa ne sosteneva l’erroneità, in particolare, per quanto qui di interesse, dolendosi dell’omessa riqualificazione del fatto in frode informatica exart. 640-ter c.p. sotto il profilo del concorso di persone nel reato presupposto, avendo l’imputato al più fornito un contributo per la realizzazione dell’ingiusto profitto; si sottolineava al proposito che senza il conto di appoggio del reo, il reato non avrebbe potuto perfezionarsi e che ove il reo fosse stato cosciente della operatività sul suo conto da parte degli autori materiali della truffa doveva rispondere del concorso nello stesso reato di cui all’art. 640-ter c.p. e non anche del più grave delitto di cui all’art. 648-bis c.p.
La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, ha ricordato la S.C., con distinte pronunce si è già affermata la responsabilità a titolo di riciclaggio di chi permetta il versamento di somme frutto di precedenti delitti sul proprio conto corrente bancario nella consapevolezza dell’origine illecita delle somme. Con una recente pronuncia si è difatti affermato che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l’accertamento della delittuosa provenienza delle somme da altri ricavate mediante frode informatica, consentendone il versamento su di esso e provvedendo, di seguito, al loro incasso (Cass. pen., Sez. II, n. 19125 del 26/4/2023, CED Cass. 284653 – 01): l’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame deve portare ad affermare che integra proprio la condotta di riciclaggio la ricezione su un proprio conto corrente bancario di somme di denaro provento di precedente truffa informatica nella consapevolezza, che può anche consistere nella sola accettazione del rischio quale dolo eventuale, della provenienza illecita.
Né può ritenersi fondata, secondo la Cassazione, la richiesta di applicazione del regime sul concorso di persone nel reato presupposto, richiamando a tal fine Cass. pen., Sez. Un., n. 25191 del 27/2/2014, Iavarazzo, CED Cass. 259587 – 01). Orbene, ai fini della qualificazione giuridica dei fatti di riciclaggio in caso di messa a disposizione di un conto corrente ove fare transitare somme di denaro provento di delitti contro il patrimonio ed in particolare di truffa informatica, occorre affermare che risponde del reato exartt. 110–640-ter c.p. colui che abbia, d’accordo con gli autori materiali della condotta criminosa di sottrazione illecita di somme ed a conoscenza specifica della stessa, ricevuto le somme al fine della successiva redistribuzione; viceversa il soggetto che abbia aperto ed operato sul c/c quale titolare soltanto al fine di permettere agli autori del reato presupposto di venire successivamente in possesso del profitto illecito, risponde proprio del più grave delitto di cui all’art. 648-bis c.p., non sussistendo alcun profilo neppure di mero concorso morale nel reato di truffa informatica. In tali casi infatti, il titolare del conto può avere raggiunto un accordo con gli autori del delitto presupposto sulla base del quale prevedere il versamento del profitto illecito sul quel c/c ma, essendo del tutto inconsapevole ed ignaro delle modalità̀ di consumazione del successivo delitto produttivo di profitto illecito, non può risponderne a titolo di concorso, avendo posto in essere un’azione tipica che è diretta ad ostacolare l’individuazione del profitto illecito ed a permettere agli autori dell’azione di truffa di godere del suddetto profitto.
Ai fini, quindi, della distinzione tra concorso nel reato presupposto di truffa informatica e fattispecie di riciclaggio non basta che a seguito della ricostruzione delle condotte poste in essere risulti che il c/c sia stato attivato anteriormente la consumazione del delitto presupposto per affermare la responsabilità del titolare a titolo di concorso nella truffa, ma, occorre anche, che lo stesso titolare abbia avuto conoscenza e consapevolezza dell’utilizzabilità di quel c/c per l’esecuzione di specifici episodi di truffa di cui aveva precisa conoscenza. Fermo restando che, così come anticipato, il dolo può essere configurato anche nella forma eventuale e cioè sotto il profilo dell’avere accettato il rischio del versamento sul proprio conto corrente messo a disposizione di altri di somme di provenienza illecita. Sul punto va richiamato quel precedente secondo cui in tema di riciclaggio, si configura il dolo eventuale quando l’agente ha la concreta possibilità di rappresentarsi, accettandone il rischio, la provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Cass. pen., Sez. II, n. 36893 del 28/5/2018, CED Cass. 274457 – 01).
Un approfondimento del tema della distinzione tra concorso nel reato presupposto ovvero riciclaggio, ai sensi della clausola di riserva contenuta nel primo comma dell’art. 648-bis c.p., si rinviene in quella pronuncia che ha già analizzato i rapporti tra le due fattispecie assumendo che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione la propria carta prepagata per ostacolare la provenienza delittuosa delle somme da altri ricavate dall’illecito utilizzo di una carta clonata, consentendo il versamento del denaro in precedenza prelevato al bancomat dal possessore di quest’ultima (resosi perciò responsabile del delitto di frode informatica), ovvero consentendo il diretto trasferimento, sulla predetta carta prepagata, delle somme ottenute dal possessore della carta clonata con un’operazione di “ricarica” presso lo sportello automatico (Cass. pen., Sez. II, n. 18965 del 21/4/2016, CED Cass. 266947 – 01).
Il principio affermato dalla suddetta pronuncia in tema di versamento di somme a seguito di truffa informatica su carte prepagate va ribadito anche nel caso in cui al delitto di cui all’art. 640-ter c.p. segua il versamento del profitto illecito su un conto corrente bancario messo a disposizione da un terzo soggetto, estraneo al perfezionamento del reato presupposto; ed invero, anche in tal caso, mancando ogni forma di concorso punibile nel reato di truffa informatica, perché il reo non aveva precisa cognizione della specifica operazione delittuosa, il successivo versamento sul c/c finalizzato a permetterne il godimento agli autori del delitto presupposto configura una ipotesi di riciclaggio punibile ex art. 648-bis c.p.
Del resto, la stessa Cassazione ha già affermato che ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, occorre la prova dell’estraneità dell’imputato al reato presupposto, allorché questo deduca di averlo commesso e tale prospettazione sia credibile (Cass. pen., Sez. II, n. 46637 del 12/9/2019, CED Cass. 277594 – 01); ma nel caso in esame non esisteva alcun elemento per affermare il concorso del reo nel reato presupposto non avendo lo stesso mai riferito o comunque fornito un qualsiasi elemento per ritenerlo concorrente nella truffa informatica né ammesso di avere agito d’accordo con gli autori materiali delle operazioni effettuate via web.
Da qui, dunque, il rigetto del ricorso.
Riferimenti normativi:
Art. 110 c.p.
Art. 640-ter c.p.
Art. 648-bis c.p.