I benefici penali derivanti dal pagamento del debito tributario eseguito dall’impresa che ha ricevuto le false fatture non si estendono a chi ha emesso i documenti, salvo non manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria contribuendo al pagamento del debito tributario. A fornire questo principio è la Corte di cassazione con la sentenza n° 35225/2021. Nella vicenda a base della pronuncia, in sintesi, l’imputato di emissione di false fatture lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche previsto dall’art. 13 bis del D. LGS. 74/2000 in quanto il debito tributario era estinto dalla società che aveva ricevuto le fatture. La norma, riconosce una diminuzione di pena fino alla metà, per i delitti tributari e la non applicazione delle pene accessorie se, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni ed interessi, siano stati estinti con integrale pagamento degli importi dovuti. Nella specie, confermando la decisione di appello, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’emittente le false fatture. Secondo i Giudici, infatti, in caso di concorso di persone nei reati tributari, ove solo uno abbia provveduto all’integrale pagamento degli importi dell’Erario, l’attenuante non si estende ai compartecipi a meno che essi non manifestino una concreta e tempestiva volontà riparatoria consistente nel contribuire, anche parzialmente, all’adempimento del debito. Occorre poi fare riferimento ai principi sull’applicazione nell’ordinamento penale delle circostanze attenuanti espressi dalle Sezioni Unite, secondo cui, in ipotesi di concorso di persone nel reato, ove solo un concorrente abbia provveduto all’integrale risarcimento del danno, la relativa circostanza attenuante non si estende ai compartecipi a meno che essi non manifestino una concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno (sentenza 5941/20009).
Poichè nella specie non risultava tale manifestazione di volontà, l’emittente le fatture non poteva beneficiare del pagamento del debito tributario eseguito dall’impresa che aveva ricevuto i documenti.
Da evidenziare innanzitutto che, nella vicenda, non sembra sussistente una ipotesi di concorso in quanto tra emittente e “ricevente” il falso documento, il concorso è escluso dal D. LGS. 74/2000: ciascuno risponde di una specifica e differente condotta illecita. In ogni caso il principio in questione concerne una frequente casistica. Si pensi alle effettive ipotesi di concorso di persone nel reato tributario (ad esempio quando l’illecito è contestato all’amministratore di diritto e di fatto) o ai casi di emissione ed utilizzo di false fatture.
Nella prima casistica (concorso) manca di sovente la pretesa dell’imposta da parte dell’amministrazione finanziaria nei confronti di tutti i concorrenti, in quanto di norma essa viene avanzata solo all’impresa. Si tratta quindi di comprendere come in concreto il concorrente possa manifestare la volontà tempestiva di pagare il debito anche contribuendovi (dovrà pagare una parte dell’importo o è sufficiente una manifestazione scritta a che sta estinguendo il debito?).
In caso di fatture false, poi, la vicenda è ancora più complessa perchè spesso l’emittente non riceve alcun accertamento non avendo evaso alcunchè a differenza di chi ha dichiarato la falsa fattura. E’ verosimile pertanto che l’emittente non abbia neppure una conoscenza dell’accertamento notificato all’utilizzatore e delle decisioni assunte in proposito, trattandosi di soggetti estranei e differenti.
Stante la frequenza di questa casistica, sarebbe auspicabile, che la suprema corte chiarisca come possa operare in concreto il principio espresso e, eventualmente, prendere atto che alcuni reati tributarui, come l’emissione di fatture false, non necessariamente presuppongono una evasione di imposta con la conseguenza che diventa arduo estinguere il debito (che non c’è) per ottenere i benefici di legge.