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Dlgs 231, l’interesse dell’ente non richiede il taglio dei costi

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Con la sentenza 21034/22 la terza sezione penale della Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema dell’interesse o vantaggio dell’ente nei reati ambientali (nella specie inquinamento di acque da reflui industriali, contravvenzione prevista dall’articolo 137 comma 2 Dlgs 3 aprile 2006 n° 152), ritenendo integrata la violazione amministrativa da parte dell’ente (articolo 25 – undecies del Dlgs 231/2001) anche in presenza di una violazione isolata che non abbia comportato “direttamente o indirettamente un risparmio di spesa”, ma che sia stato causato da “scelte organizzative o gestionali dell’Ente da considerare inadeguate”. L’ente aveva cioè ottenuto un risparmio in termini organizzativi attraverso una scelta che contrastava le prescrizioni della normativa ambientale (omessa dotazione di uno specifico sistema di raccolta dei reflui).

L’articolo 5 del Dlgs 231/2001 nel declinare il criterio di imputazione oggettiva, prevede che l’ente risponda solo dei reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, formula normativa che- secondo la giurisprudenza di legittimità- non contiene un’endiadi (due parole che esprimono lo stesso concetto) ma evoca concetti giuridicamente diversi potendosi distinguere un interesse “a monte” ad un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzatosi in relazione ad un illecito, da un vantaggio oggettivamente conseguito con la commissione del reato seppure non prospettato ex ante (Cassazione 6 penale sentenza del 23 aprile 2021 n° 15543).

In altri termini come chiarito dalla relazione allo schema del decreto legislativo 231/2001 il richiamo all’interesse dell’ente caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e si “accontenta” di una verifica “ex ante”; viceversa il vantaggio che può essere tratto dall’ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse, richiede sempre una verifica ex post.

Coevo all’originario testo del Dlgs 231/2001 che limitava la responsabilità amministrativa dell’ente a poche ipotesi di reato tutte di natura dolosa (articoli 24 e 25) il criterio di imputazione oggettiva col tempo è stato costretto a misurarsi con l’ipertrofia legislativa e con l’esponenziale incremento dei reati presupposti a partire da quelli colposi di evento (omicidio e lesioni) in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro (articolo 25 septies) introdotti dalla legge delega 3 agosto 2007 n° 123 e poi “affinati” con il Dlgs 9 aprile del 2008 n° 81 emanato in attuazione della delega.

Nei reati colposi di evento è difficilmente ipotizzabile un caso in cui l’evento lesivo corrisponda ad un interesse o vantaggio dell’ente e ciò ha indotto le Sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza ThissenKrupp (38343/2014) ad accreditare una lettura alternativa dell’articolo 5 del Dlgs 231/2001 spostando il baricentro della valutazione dall’evento alla condotta.

Nei reati colposi, pertanto è la condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare ad essere potenzialmente foriera di interesse o vantaggio per l’ente quest’ultimo sicuramente ravvisabile ad esempio nel risparmio di costi o di tempo che l’ente avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica la cui violazione abbia determinato un infortunio sul lavoro (Cassazione sezione quarta penale sentenza n° 24697/2016) o come nel caso esaminato dalla sentenza del 30 maggio scorso , in un risparmio in termini organizzativi (omessa dotazione di uno specifico sistema di raccolta dei rifiuti) ma contrastante con le prescrizioni della disciplina ambientale.

Una linea più severa rispetto al passato quando la Corte aveva escluso l’illecito in presenza di un vantaggio economico esiguo (sentenza n° 22256/20219).

Che il risparmio organizzativo ben potesse adattarsi ai reati ambientali di natura colposa (a maggiore ragione trattandosi di reati di mera condotta) la Cassazione lo aveva già sostenuto in una sentenza del 2020 la n° 3157: l’interesse ed il vantaggio “vanno individuati sia nel risparmio economico per l’ente determinato dalla mancata adozione di impianti dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari sia nella eliminazione dei tempi morti la cui predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attività produttiva”.

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