Procedura penale
Procedibilità a querela
Differimento della riforma Cartabia e lex mitior: sollevata questione di incostituzionalità
lunedì 28 novembre 2022
di Minnella Carmelo Avvocato in Catania e Cultore di Diritto Penitenziario dell’Università degli Studi di Catania
Con ordinanza dell’11 novembre 2022, il Tribunale in composizione monocratica di Siena, ritenendo di non poter percorrere la strada dell’interpretazione costituzionalmente conforme, ha sollevato subito incidente di costituzionalità dell’art. 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 – che ha rinviato l’entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (il quale, dopo l’ordinario periodo di vacatio legis, sarebbe entrato in vigore il 1° novembre 2022) al 30 dicembre 2022 – nella parte in cui ha congelato la Riforma Cartabia sulla giustizia penale, bloccando l’applicazione della lex mitior e sterilizzandone gli effetti in bonam partem derivanti dalla modifica di disposizioni di natura anche sostanziale, con particolare riferimento al rinnovato regime più favorevole della procedibilità a querela per i delitti di violenza privata e danneggiamento.
Tribunale di Siena, ordinanza 11 novembre 2022
La via dell’interpretazione costituzionalmente conforme | |
Conformi | Cass. pen. sez. I, 18/05/2017, n. 53602 – In tema di abolitio criminis, è legittima la sentenza d’appello che non confermi la condanna per un reato che, al tempo della decisione, risulti abrogato, nonostante al momento della adozione della decisione non sia ancora interamente decorso il periodo di vacatio legis ai sensi dell’art. 10 delle preleggi e dell’art. 73, comma 3, Cost., in quanto la funzione di garanzia per i consociati, che è perseguita dalla previsione del suddetto termine volto a permettere la conoscenza della nuova norma, non comporta anche il perdurante dovere del giudice di applicare una disposizione penale ormai abrogata per effetto di una successiva norma già valida. (In motivazione la Corte ha escluso che, nel caso di specie, il giudice abbia solo l’alternativa di rinviare la decisione o di “ignorare” la norma abrogatrice, infliggendo una condanna che si palesa già inevitabilmente illegale).
Cass. pen. sez. I, 14/5/2019, n. 39977 – In tema di successione delle leggi nel tempo, gli effetti di uno ius novum più favorevole al reo (nel caso di specie, l’ampliamento della sfera scriminante di una causa di giustificazione) sono applicabili, in pendenza di giudizio, anche durante il periodo della vacatio legis, in quanto la funzione di garanzia per i consociati, perseguita dagli artt. 73, comma 3, Cost. e 10 delle preleggi, prevedendo un termine per consentire la conoscenza della nuova norma, non preclude al giudice di tener conto di quella che è già una novazione legislativa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto applicabile la L. n. 36/2019, che ha modificato la norma sulla legittima difesa, nel giudizio di legittimità celebratosi durante la vacatio legis). |
Un uomo viene chiamato a rispondere degli ascritti delitti di violenza privata e danneggiamento, per avere costretto un altro automobilista a fermarsi e avere quindi sferrato un pugno alla portiera del suo veicolo.
All’udienza dell’8 novembre 2022, il PM ha prodotto dichiarazione di remissione di querela della persona offesa per entrambi i reati, già avvenuta nel corso delle indagini preliminari (ma della quale non si era potuto tenere conto ai fini del richiesto esercizio dell’azione penale in quanto si tratta di reati perseguibili d’ufficio).
L’imputato ha espressamente accettato tale remissione di querela, ed il giudice ha dichiarato utilizzabili tutti gli atti acquisiti nel corso del giudizio, disponendo un rinvio, per discussione, ad altra udienza.
Alla successiva udienza dell’11 novembre 2022, su invito del giudice, le parti hanno quindi rassegnato le rispettive conclusioni. Il giudice ha poi dichiarato chiuso il dibattimento, si è ritirato in camera di consiglio e, all’esito, ha disposto la sospensione del processo e l’immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale.
A venire in rilievo, nel giudizio a quo, è dunque la riformata disciplina del regime di procedibilità di alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio. Per entrambi i delitti di violenza privata e danneggiamento, procedibili d’ufficio, il D.Lgs. n. 150/2022 (all’art. 2, comma 1, lett. e) e lett. n) prevede la procedibilità a querela, facendo salva la procedibilità d’ufficio solo per alcune ipotesi, non ricorrenti nel caso di specie.
Ecco il cuore della quaestio: il D.L. n. 162/2022 protrae fino al 30 dicembre 2022, per quei reati, il più sfavorevole regime di procedibilità d’ufficio, impedendo pertanto l’estinzione del reato per intervenuta remissione della querela (ovvero la declaratoria di improcedibilità per mancanza della querela).
A questo punto, il Tribunale si trovava bloccato il percorso.
Da un lato, non poteva emettere pronuncia di immediata declaratoria di improcedibilità ove si riconosca l’integrazione di una causa d’estinzione di un reato, ai sensi dell’art. 129, comma 1, c.p.p. Dall’altro lato, non risultava in concreto percorribile l’alternativa strada di una pronuncia assolutoria nel merito, da adottare ai sensi del secondo comma dello stesso art. 129 c.p.p. perché non è emersa alcuna circostanza chiara, evidente, manifesta ed obiettiva, in grado di escludere in radice l’esistenza dei fatti contestati o la loro rilevanza penale ovvero la non commissione degli stessi da parte dell’imputato.
Da qui la decisione di sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione di nuovo conio – che ha inserito l’art. 99-bis nel corpo del D.Lgs. n. 150/2022, nel quale può leggersi: «Il presente decreto entra in vigore il 30 dicembre 2022» – con il rinvio degli atti alla Consulta.
La questione è sicuramente rilevante.
È proprio la norma della cui legittimità costituzionale si dubita ad impedire la definizione del procedimento con la remissione della querela e la conseguente estinzione del reato. Ciò a prescindere dalla considerazione che, a ben vedere, non essendo entrato in vigore il D.Lgs. n. 150/2022, non può essere ancora presentata e rimessa alcuna querela. Quel che rileva, pertanto, non è la remissione della querela di cui dà conto l’ordinanza, bensì la circostanza fattuale della volontà della persona offesa e dell’imputato di non procedere oltre, secondo quanto consentito da una disciplina che sarebbe applicabile in assenza della previsione normativa della cui legittimità costituzionale si dubita. In particolare, l’art. 85, comma 2, D.Lgs. n. 150/2022 stabilisce – con una disposizione transitoria la cui operatività, pure, è stata differita al 30 dicembre 2022 – che quando è già stata esercitata l’azione penale “il giudice informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela” e che dal giorno in cui la persona offesa è stata informata decorre un termine di novanta giorni per la presentazione della querela, presupposto per la eventuale, conseguente, rimessione (Gatta).
Invero, avendo già la persona offesa esercitato il diritto di querela e, di più, essendosi già pronunciata negativamente sulla volontà di punizione del colpevole (attraverso la remissione espressa di querela), in questi casi non occorre informare la persona offesa di esercitare un diritto e una richiesta di esercizio dell’azione penale che ha già esercitato.
Argomentando diversamente, la vittima verrebbe così rimessa in termini nel revocare la remissione di querela. In merito, la giurisprudenza afferma il principio che non è ammissibile la revoca della remissione di querela e conseguentemente non merita censura la valutazione del Giudice che ha ritenuto tamquam non esset la revoca della remissione e pienamente operante la remissione di querela, dichiarando estinti i reati (Cass. pen. sez. V., n. 23030/2015).
Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il Tribunale di Siena si muove entro tre direttrici. La messa in freezer del D.Lgs. n. 150/2022 si ritiene deragliare dai binari della legalità costituzionale per i seguenti profili.
Il primo attiene all’invalidità formale del denunciato art. 6 D.L. n. 162/2022, correlata alla violazione di distinte norme costituzionali: in particolare, dell’art. 73, comma 3, Cost., che preclude ad una legge o ad un atto ad essa equiparato di interferire nel procedimento di formazione di un’altra legge o di altro atto ad essa equiparato, con particolare riferimento alla fase cd. d’integrazione dell’efficacia; precisando che altra è la categoria delle cd. disposizioni transitorie, altro è il concetto di “entrata in vigore di una legge”: esclusivamente legato, quest’ultimo, al periodo di vacatio legis ed espressamente disciplinato dall’art. 73, comma 3, Cost., quale specifica fase dell’iter di formazione di un atto legislativo.
Dall’esame del titolo del D.L. n. 162/2022, nonché della rubrica dell’articolo 6 in esso contenuto, in uno con i testi di tale articolo e delle relazioni illustrativa e tecnica che ne accompagnano il disegno di legge di conversione in legge, si ricava che il Governo, auto-assumendo – e così esercitando – potestà legislativa in via d’urgenza, abbia interferito nella fase finale di formazione del D.Lgs. n. 150/2022, relativa alla sua entrata in vigore, in tal modo contravvenendo a quanto previsto alla disposizione costituzionale.
Non credo che tale sentiero consenta di giungere ad una fondatezza della questione di costituzionalità.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, qui non siamo in presenza di atto normativo diverso dalla “stessa legge”, ma all’interno di un atto legislativo del medesimo legislatore d’urgenza (il D.L. n. 162/2022) che interviene per stabilire un termine di vacatio legis diverso da quello ordinario fissato da un atto legislativo della stessa compagine governativa (per l’appunto il D.Lgs. n. 150/2022), anche se di diverso colore politico, visto l’ingresso del nuovo Governo Meloni.
Bastava, a mio avviso, molto più semplicemente che il giudice a quo seguisse la strada dell’immediata applicazione precettiva della “legge” delega n. 134/2021 laddove questa contiene disposizioni (come detto l’articolo 2, comma 1, lettere e) ed n) che introducono con legge (ossia espressione massima dell’esercizio della sovranità popolare a legiferare in materia penale) una disposizione che non abbisogna di alcuna ‘lavorazione’ della delega. Ma tale percorso non viene intrapreso dal giudice remittente, come vedremo, nemmeno con riferimento all’applicazione della lex mitior già pubblicata in G.U. del D.Lgs n. 150/2022.
Il secondo parametro costituzionale della censurata disposizione dell’art. 6 del D.L. n. 162/2022 attiene (sempre rimanendo confinati sul terreno dell’invalidità formale) alla ritenuta violazionedell’art. 77, comma 2, Cost., che disciplina l’esercizio del potere legislativo adottato da parte del Governo in via d’urgenza, circoscrivendone e limitandone l’impiego al solo verificarsi di casi straordinari di necessità e di urgenza.
Per il Tribunale di Siena, in ipotesi di decreto-legge ad oggetto plurimo (come il D.L. n. 162/2022 che si occupa di ergastolo ostativo, introduzione del nuovo reato di rave party e di altre disposizioni comunque inerenti all’emergenza sanitaria), si pongono in contrasto con il predetto precetto costituzionale – e devono pertanto ritenersi illegittime – le disposizioni che si collocano al di fuori del ristretto perimetro che circoscrive l’urgente necessità del provvedere, definito in base alla ragione giustificativa dell’intero decreto e alla sua complessiva ratio ed unitaria finalità.
Il potere di normazione primaria, in definitiva, trova una puntuale e precisa ripartizione tra organo Esecutivo e organo Legislativo in base alla regola dell’urgente necessità del provvedere; ove si scavalchi e oltrepassi tale precetto fondamentale si produce e determina, pertanto, un’inammissibile alterazione della forma di governo disegnata dalla Carta costituzionale.
L’esame del testo del D.L. n. 162/2022, nonché degli articoli in esso contenuti, in uno con le relazioni illustrativa e tecnica che ne accompagnano il disegno di legge di conversione in legge, conforta e conferma la presenza di norme a tal punto tra loro eterogenee, quanto ad oggetto e finalità, da non potersi ricavareuna finalizzazione unitaria delle stesse, né una complessiva ratio che giustifichi la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere, così risultando violata la previsione di cui all’art. 77, comma 2, Cost.
Qui la frizione del differimento della riforma Cartabia con l’invocato parametro di (in)costituzionalità ha maggiori possibilità che venga ritenuto fondato dalla Corte costituzionale.
Occorre premettere che – come ci ricorda di recente Dolcini – siamo lontani anni luce dalle ipotesi di “straordinaria necessità ed urgenza” – un terremoto, l’eruzione di un vulcano – alle quali faceva riferimento Piero Calamandrei in Assemblea costituente, caldeggiando la previsione nella Costituzione di provvedimenti governativi provvisori dotati di forza di legge.
Ciò premesso, certo è che è rimessa alla discrezionalità del legislatore la decisione a proposito dei profili temporali dell’entrata in vigore delle norme, ben potendo essere differito per ragioni di pregio costituzionale. A proposito della ragione dello specifico differimento può leggersi, nel preambolo del succitato decreto-legge: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di differire l’entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, fissata al 1° novembre 2022, per consentire una più razionaleprogrammazione degli interventi organizzativi di supporto alla riforma».
Tale formulazione allude con chiarezza ad esigenze connesse al principio di buon andamento della Pubblica amministrazione, scolpito nell’art. 97 Cost., essendo dettato per consentire una migliore organizzazione operativa degli uffici che opereranno per implementare la riforma.
Tuttavia, scarsamente razionale appare la dichiarazione di tale esigenza a così breve distanza temporale dall’approvazione del D.Lgs. n. 150/2022: tali profili avrebbero ben potuto (rectius, avrebbero dovuto) essere valutati dal Consiglio dei ministri in sede di adozione del testo. Non si comprende, di conseguenza, quale circostanza eccezionale sia intercorsa a fondare tale esigenza tra il 17 ottobre 2022, data di pubblicazione del testo in G.U., e il 31 ottobre 2022, data della proroga dell’entrata in vigore disposta con decretazione d’urgenza (al netto di valutazioni politiche legate al cambio di Governo). L’adozione di tale disposizione stride con evidenza con i principi costituzionali in materia di corretto utilizzo della decretazione d’urgenza, sui quali la Corte costituzionale ha più volte ribadito la sua piena possibilità di intervento e sindacato, a partire dalla celebre sentenza Corte cost. n. 29/1995 (Galazzo).
Un terzo profilo di contrasto è infine ravvisato in rapporto agli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’articolo 7, § 1 CEDU e all’art. 15, comma 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Ad essere violato, secondo il giudice a quo, è il principio di retroattività della legge penale favorevole all’agente. L’art. 6, D.L. n. 162/2022, sotto tale profilo, è ritenuto costituzionalmente illegittimo nella misura in cui inibisce l’applicabilità, a decorrere dal 1° novembre 2022, delle modifiche mitigatrici previste dall’articolo 2, comma 1, lettere e) ed n) del D.Lgs. n. 150/2022, che dispongono mutamenti nel regime di procedibilità per taluni reati, prevedendone la perseguibilità esclusivamente a querela della persona offesa, così impedendo la possibilità di riconoscere il perfezionamento di già maturate fattispecie estintive della punibilità, quali l’intervenuta remissione di querela da parte della medesima persona offesa e la successiva accettazione della stessa da parte dell’imputato.
Il differimento dell’entrata in vigore della lex mitior, in altri termini, comporta una ultrattività del regime giuridico più sfavorevole e lo fa in modo irragionevole, come sottolinea l’ordinanza di rimessione: il Governo avrebbe potuto e dovuto operare rinvii selettivi di soltanto alcune delle parti di una complessa e organica riforma, lasciando che quest’ultima dispieghi i propri effetti nelle altre parti che dispongono modifiche sostanziali in mitius, la cui applicazione non implica certo misure di carattere tecnico-organizzativo, richiedendo piuttosto che si svolga, da parte degli organi giurisdizionali, l’ordinaria attività interpretativo-applicativa, da versare in una concreta decisione giudiziaria.
Anche perché, come ricorda la Corte costituzionale, «Il principio della retroattività della lex mitior in materia penale è infatti fondato, secondo la giurisprudenza di questa Corte, tanto sull’art. 3 Cost., quanto sull’art. 117, comma 1, Cost., eventuali deroghe a tale principio dovendo superare un vaglio positivo di ragionevolezza in relazione alla necessità di tutelare controinteressi di rango costituzionale» (Corte cost. sentenza n. 63/2019).
Tale vaglio di ragionevolezza non viene certamente superato dall’art. 6, D.L. n. 162/2022, né il sotto-giudizio di necessità, in quanto l’adottata misura, costituita da un indiscriminato e generalizzato differimento della vigenza di un intero corpus normativo, non può certo annoverarsi tra quelle meno invasive e dannose possibile nei confronti dei concorrenti diritti e valori coinvolti, in ragione dell’esistenza di altre opzioni in grado di raggiungere il fine perseguito e, al contempo, di garantire il minor sacrificio possibile dei predetti diritti e valori.
Pertanto, le lesioni al bene-interesse dell’amministrazione della giustizia e dell’efficienza del processo (che sono alla base del differimento della Riforma Cartabia adottato dall’art. 6 D.L. n. 162/2022) sono invero correlate, all’evidenza, soltanto a quelle modifiche normative che abbiano impatti sul servizio giustizia, inteso quale organizzazione di servizi e processi lavorativi, di persone e risorse materiali, e non già sull’attività giudiziaria, intesa quale attività interpretativo-applicativa di norme operata nell’ambito di singoli procedimenti e giudizi. Ove ad essere precluse ed inibite siano, come nella materia penale, modifiche normative cui sarebbero conseguiti trattamenti più favorevoli per gli imputati, la (maggiore) invasività di tale misura è allora resa ancor più chiara ed evidente dalla diretta collisione con valori e diritti di rango e rilievo costituzionale (ex artt. 3 e 117 Cost.), tra cui deve annoverarsi quello ad essere giudicati, in seno ad un procedimento penale, in base agli attuali e più favorevoli apprezzamenti dell’ordinamento circa il mutato disvalore di un fatto, prima punito più gravemente ovvero in misura deteriore.
In conclusione, vi è da chiedersi se non poteva percorrersi una strada diversa e più breve: quella della interpretazione costituzionalmente conforme. Si tratta della via ermeneutica seguita da un recente orientamento di legittimità, volto ad estendere l’applicabilità in giudizio dello ius novum più favorevole al reo, già durante il periodo di vacatio legis (Cass. pen. sez. I, n. 39977/2019, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto applicabile la L. n. 36/2019, che ha ampliato la sfera di applicazione della scriminante della legittima difesa, nel giudizio di legittimità celebratosi durante la vacatio legis; nonché Cass. pen. sez. I, n. 53602/2017, in tema di depenalizzazione del reato di ingiuria).
Il Tribunale di Siena non ritiene percorribile tale sentiero esegetico vista l’insuscettibilità, per una legge non in vigore, di spiegare i propri effetti innovativi, estintivi o modificativi nell’ordinamento giuridico, in quanto atto normativo non efficace e, dunque, privo dell’attitudine ad “innovare” l’ordinamento giuridico che gli è propria. Inefficacia cui, dal lato dei naturali destinatari delle norme, siano essi privati cittadini od organi pubblici, si associa peraltro la mancata attivazione, in capo agli stessi, della doverosa osservanza e applicazione di tali norme, che trova il proprio diretto fondamento nell’art. 54 Cost.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, si conviene invece con chi sostiene che i margini per una interpretazione costituzionalmente orientata sussistono e possono essere valutati con attenzione da parte della giurisprudenza, anche con riferimento ai citati precedenti della Cassazione. Decisivo può essere, in tal senso, valorizzare in rapporto alle norme penali la ratio di garanzia della vacatio legis; una ratio che non ha ragion d’essere in rapporto a leggi penali più favorevoli, la cui immediata applicazione è coerente con i principi di retroattività e di ragionevolezza (Gatta). Questa soluzione, a ben vedere, può meglio garantire la tutela dell’affidamento dell’individuo dalla stabilità della regolamentazione giuridica quale argine invalicabile della certezza del diritto che si concretizza nella obiettiva prevedibilità delle conseguenze che l’ordinamento giuridico determina per orientare i nostri comportamenti (come afferma la Corte EDU nei corollari al principio di legalità ex art. 7 CEDU).
Una normativa, come quella dell’art. 6, D.L. n. 162/2022, che posterga l’accesso del cittadino a normativa più favorevole, poche ore prima dell’entrata in vigore dell’ordinamento è chiaramente viziata da manifesta irragionevolezza, anche intrinseca.
Riferimenti normativi: