Procedura penale
Processo penale
Il giudice d’appello non può riformare in peius la qualificazione giuridica del fatto in assenza di appello del PM
martedì 13 dicembre 2022
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado (che, pur condannando l’imputato, aveva derubricato l’originaria imputazione da tentato omicidio pluriaggravato in lesioni personali volontarie pluriaggravate), aveva riqualificato giuridicamente il fatto come oggetto dell’originaria imputazione, condannando l’imputato medesimo per il reato più grave, la Corte di Cassazione penale, Sez. I, con la sentenza 30 novembre 2022, n. 45466 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui la Corte d’appello aveva effettuato una indebita “reformatio in peius” in punto di qualificazione giuridica del fatto, in assenza di appello del pubblico ministero – ha affermato il principio secondo cui ove l’impugnazione sia presentata dal solo imputato limitatamente al punto della decisione relativo all’esistenza della causa di giustificazione della legittima difesa ed al punto della decisione relativo all’eccesso colposo nella stessa, deve ritenersi che il punto della decisione sulla qualificazione giuridica del fatto sia estraneo alla cognizione del giudice di secondo grado.
Cassazione penale, Sez. I, sentenza 30 novembre 2022, n. 45466
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen. sez. Unite, 19/01/2000, n. 1 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti in termini |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 597, c.p.p., sotto la rubrica «Cognizione del giudice di appello», prevede che “1. L’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.
- Quando appellante è il pubblico ministero:
- a) se l’appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;
- b) se l’appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;
- c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.
- Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado.
- In ogni caso, se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita.
- Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell’articolo 69 del Codice penale”.
Per quanto qui di interesse, quando appellante è il solo imputato, il giudice di appello può “dare al fatto una definizione giuridica più grave”, purché, però, “entro i limiti indicati nel comma 1”. Ed il comma 1, richiamato dall’art. 597, comma 3, citato, dispone che “l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti”. Ne consegue che “i limiti indicati nel comma 1” di cui parla la norma del comma 3 sono i limiti generali della cognizione del giudice d’appello, davanti a cui il rapporto processuale di secondo grado è incardinato soltanto “limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti“.
I concetti di “capi” e “punti” della decisione, non definiti dal codice di procedura ma fondamentali nel sistema del diritto delle impugnazioni, sono ormai individuati in modo univoco dalla stratificazione della giurisprudenza di legittimità. Già Cass. pen. sez. Unite, sentenza n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, CED Cass. 216239 rilevò che la nozione di capo della sentenza «è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, sicché per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato».
Nel precisare questo concetto Cass. pen. sez. Unite, sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, CED Cass. 268823 aggiunse che si tratta dl “un atto giuridico completo, tale da poter costituire anche da solo, separatamente, il contenuto di una sentenza“. Sui punti della decisione la pronuncia Tuzzolino affermò che “ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l’accertamento del fatto; l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e – nel caso di condanna – l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio”. Il concetto è stato ribadito dalla pronuncia Galtelli, secondo cui il punto della decisione ha una portata più ristretta di quella di capo, in quanto riguarda “tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione”.
Una recente messa a fuoco degli stessi concetti in termini sovrapponibili è stata effettuata da Cass. pen. sez. Unite, sentenza n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, Gialluisi, CED Cass. 280261, che ha ulteriormente precisato che il giudicato progressivo si forma sui capi, laddove l’effetto preclusivo dell’impugnazione opera, invece, sui punti della decisione (“in caso di condanna, dunque, la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena”). Pertanto, se il punto della decisione è costituito da “ogni singolo tema affrontato all’interno di un capo di decisione, relativamente all’accertamento del fatto storico, all’attribuzione di questo all’imputato, alla sua qualificazione giuridica, all’eventuale inesistenza di cause di giustificazione, all’elemento soggettivo”, ciò vuol dire che, all’interno del capo della sentenza relativo alla responsabilità dell’imputato per il tentato omicidio plurimo contestatogli, era stato devoluto alla cognizione del giudice di secondo grado soltanto il punto della decisione sulla “eventuale inesistenza di cause di giustificazione”, ma non quello sullo “accertamento del fatto storico” (che è incontestato, l’imputato ha tentato di colpire con l’auto le vittime indicate nell’imputazione a suo carico), né quello sulla “attribuzione di esso all’imputato” (che non nega di essere l’autore del comportamento contestato), né quello sulla “qualificazione giuridica dello stesso” (che nessuna parte ha appellato).
In definitiva, nel sistema del diritto delle impugnazioni, quale stratificatosi per effetto delle citate decisioni delle Sezioni Unite, non è possibile individuare un punto della decisione unico sulla ricostruzione del fatto che consenta di ridiscutere sia l’accertamento del fatto storico, che l’attribuzione all’imputato, che la qualificazione giuridica, che l’accertamento di cause di giustificazione, che l’elemento soggettivo. Il sistema delle preclusioni processuali è molto più stringente e rigido, ed impone alle parti oneri di impugnazione di ciascuno dei singoli passaggi logici necessari per pervenire ad una decisione sul giudizio di responsabilità. La mancata incardinazione del rapporto processuale di secondo grado su taluno di questi passaggi logici della decisione comporta la preclusione processuale a ridiscuterlo.
Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale aveva condannato un imputato per il reato di lesioni personali volontarie cagionate a due soggetti, così riqualificata la imputazione originaria di tentato omicidio in danno degli stessi e di altre cinque persone. La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva riqualificato il fatto in tentato omicidio, confermando per il resto, anche in punto di pena, la sentenza di primo grado. In particolare, era stato ritenuto provato che l’imputato, all’uscita di una discoteca dove aveva passato una parte della notte insieme a degli amici ed in cui il suo gruppo di amici aveva avuto discussione con un altro gruppo di ragazzi, veniva colpito dai ragazzi del gruppo opposto mentre si stava allontanando in auto e, per reagire all’aggressione, aveva colpito con l’autovettura, con diverse ripetute manovre, sette dei suoi oppositori cagionando loro le lesioni descritte in imputazione. Ricorrendo in Cassazione, la difesa, per quanto qui rileva, si doleva del fatto che, in assenza di appello del pubblico ministero, il giudice di secondo grado non avrebbe potuto dare una qualificazione più grave al fatto, atteso che l’imputato non aveva appellato i capi della decisione sulla sussistenza del fatto storico.
La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra, e richiamando la giurisprudenza supra citata delle Sezioni Unite, ha ritenuto che la “qualificazione giuridica del fatto” è un “passaggio obbligato per la definizione di una imputazione” diverso da quello sulla “eventuale inesistenza di cause di giustificazione”, e conseguentemente la decisione della Corte d’appello sulla qualificazione giuridica del fatto è stata assunta oltre i limiti del giudizio a lei devoluto.
Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso.
Riferimenti normativi: