Stupefacenti
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Stupefacenti: la Cassazione sul limite massimo entro il quale riconoscere la lieve entità
lunedì 12 dicembre 2022
di Scarcella Alessio Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
La Corte di Cassazione, sentenza 25 novembre 2022, n. 45061, si pronuncia, con la sentenza in commento, su un tema di grande rilievo nella giurisprudenza di legittimità, afferente alla individuazione dei quantitativi massimi di sostanze stupefacenti in presenza dei quali può essere riconosciuta la c.d. ipotesi lieve, disciplinata dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (c.d. Testo Unico sugli Stupefacenti). La Cassazione, in particolare, in una fattispecie nella quale i giudici di merito avevano negato la derubricazione del reato di cui all’art. 73, comma 4, TU Stup. (detenzione a fini di spaccio di droghe leggere, nella specie hashish), ha accolto la tesi difensiva, secondo cui errata doveva ritenersi la sentenza, avendo valorizzato il dato ponderale (nella specie, gr. 100 al lordo) ed il numero di dosi medie singole ricavabili, laddove la più recente giurisprudenza ritiene che nella valutazione della tenuità del fatto ai sensi del comma 5° dell’art. 73, non può assumere, di norma, valenza esclusiva ed assorbente il dato quantitativo, né quello qualitativo con riferimento alla diversità delle sostanze oggetto di cessione.
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 25 novembre 2022, n. 45061
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen. sez. Unite, 24/06/2010, n. 35737 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti in termini |
Il fatto
La vicenda processuale segue alla sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna di un imputato per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, negando la derubricazione nell’ipotesi lieve di cui al comma quinto, riducendo la pena inflitta in primo grado.
Il ricorso
Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione la difesa, in particolare sostenendone l’erroneità, dolendosi del fatto che la Corte di appello aveva valorizzato il solo dato ponderale (indicato in gr. 33,793 di principio attivo, pari al 34,1% della sostanza sequestrata), in tal modo non applicando il principio affermato nella sentenza “Murolo” con la quale le Sezioni unite hanno recentemente precisato che il giudizio sulla lievità del fatto deve riguardare la complessiva gravità del fatto, essendo insufficiente il mero riferimento al dato quantitativo. Nel caso di specie, la Corte di appello aveva omesso di considerare che, all’esito della perquisizione personale e domiciliare, non erano stati rinvenuti elementi utili dai quali desumere una stabile attività di spaccio, né si era valutata la destinazione, almeno in parte, dello stupefacente all’uso personale.
La decisione della Cassazione
La Cassazione, come anticipato, ha accolto la tesi della difesa.
In particolare, i Supremi Giudici hanno rilevato come i principi espressi a più riprese dalle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez.U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, CED Cass. 247911; Id., Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, CED Cass. 216668; Cass. pen., Sez. U, n. 51063 27/09/2018, Murolo, CED Cass. 274076), forniscono un parametro interpretativo univoco, essendosi ribadito come nella valutazione della tenuità del fatto ai sensi del comma 5° dell’art. 73, non può assumere, di norma, valenza esclusiva ed assorbente il dato quantitativo, né quello qualitativo con riferimento alla diversità delle sostanze oggetto di cessione. La valutazione del fatto deve guardare alla complessità dello stesso, valorizzando – in senso positivo o negativo – tutti gli elementi che contraddistinguono quella determinata condotta. Tale criterio di giudizio può subire una flessione solo nel caso in cui il dato ponderale sia di per sé talmente rilevante da determinare l’assorbimento dei restanti aspetti della condotta. Nel caso di specie, tuttavia, si era in presenza di un dato ponderale non particolarmente significativo e pienamente compatibile con un’attività di “piccolo spaccio”, comportante una disponibilità economica limitata e introiti ridotti, nonché la possibilità di soddisfare un numero minimo di richieste di cessione. Né poteva dirsi assorbente, il numero di dosi medie singole, indicato in 1351.
La nozione di dose media singola, pertanto, afferma la S.C., non può essere utilizzata per stabilire il quantitativo di dosi concretamente destinate allo spaccio, atteso che queste hanno normalmente un contenuto anche notevolmente superiore di principio attivo, come dimostrato dalla casistica giudiziaria. Quanto detto sta a significare che le cosiddette “dosi da strada”, cioè quelle concretamente confezionate per lo spaccio non coincidono affatto con la dose media singola.
Nel caso di specie, la Corte di appello si sarebbe quindi limitata a prendere atto di un dato astratto e non significativo che, peraltro, non consente neppure di accertare la reale redditività derivante dalla cessione dei 100 gr. di stupefacente rinvenuti, elemento che – unitamente agli altri indici contribuisce a quella valutazione globale del fatto che è alla base del giudizio di tenuità ex art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Le considerazioni sopra svolte sono dimostrative per i Supremi Giudici della difficoltà di individuare parametri – possibilmente oggettivi – che possano fungere da linee guida per stabilire in quali si è in presenza della fattispecie autonoma di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ed allora, ed è qui che la motivazione della Corte si fa davvero innovativa (pur richiamando, a contrario, l’operazione che era stata condotta dalle Sezioni Unite della Cassazione, utilizzando il dato statistico rilevato in una relazione dell’Ufficio del Massimario, nella quale erano state esaminate le sentenze emesse sull’aggravante dell’ingente quantitativo nell’arco di circa 2 anni, al fine di fornire un quadro dei quantitativi ritenuti ingenti nella giurisprudenza di legittimità: Cass. pen. sez. Unite, n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, CED Cass. 253150), i Supremi Giudici, muovendo dal rilievo che l’elemento ponderale non può costituire – al di là dei casi di particolare pregnanza dello stesso – l’unico elemento per riconoscere od escludere il fatto lieve, ritengono innegabile che tale aspetto è uno di quelli che maggiormente incide sul giudizio in ordine all’art. 73, comma 5.
L’individuazione di valori dotati di particolare ricorrenza statistica nelle decisioni concernenti il fatto lieve può essere condotta nella sentenza qui commentata avvalendosi di uno studio recentemente predisposto dall’Ufficio per il Processo presso la Sesta sezione penale, intitolato “Il fatto di lieve entità ex art. 73, quinto comma, D.P.R. 309/1990: alla ricerca di un’interpretazione tassativizzante. Un’indagine empirica della giurisprudenza di legittimità nel triennio 2020-2022″.
Lo studio ha comportato l’esame di 398 decisioni della Corte in materia di spaccio di lieve entità, emesse nel triennio 2020-2022, ed ha restituito un quadro molto variegato in ordine ai quantitativi che sono stati ritenuti compatibili con tale fattispecie.
Sulla base di tale verifica è risultato che il limite massimo entro il quale è stato riconosciuta la lieve entità del fatto è risultato essere:
a) 150 g per la cocaina;
b) 107,71 g per l’eroina; c) 246 g per la marijuana; d) 386,93 g per l’hashish. |
Tale dato è stato ulteriormente elaborato, al fine di individuare i quantitativi per i quali vi è maggiore interferenza tra sentenze che riconoscono e negano il comma 5, risultando che, per i seguenti quantitativi, vi è una prevalenza di sentenze che ritengono il fatto lieve:
a) 23,66 g per la cocaina;
b) 28,4 g per l’eroina; c) 108,3 g per la marijuana; d) 101,5 g per l’hashish. |
Si tratta, per la Cassazione, di un dato avente una valenza statistica, nel senso che attesta il fatto che – con riguardo ad un significativo numero di pronunce rese in un dato periodo temporale – la giurisprudenza maggioritaria ha ricondotto al fatto lieve i quantitativi sopra indicati. Ciò non esclude, tuttavia, che la ricorrenza statistica di tali valutazioni può integrare un metro di giudizio utile a garantire la necessaria tassatività della norma incriminatrice, evitando eccessive oscillazioni interpretative.
Applicando tale principio al caso di specie, ha evidenziato come il quantitativo sequestro, pari a circa 100 gr. di hashish, rientrasse appieno in quel valore soglia che, dalla giurisprudenza prevalente della Cassazione, è stato ricondotto nell’ambito del fatto lieve.
La sentenza è sicuramente apprezzabile per il tentativo di sistematizzare il tema della sussumibilità nel c.d. fatto lieve riconducendolo a parametri quantitativi che si basano su valutazioni di tipo statistico.
Occorre peraltro ribadire – a scanso di fraintendimenti interpretativi che possano condurre ad automatiche operazioni numeriche basate esclusivamente sul superamento o meno delle predette soglie – che la valutazione complessiva della tenuità del fatto deve essere pur sempre svolta valorizzando tutti gli elementi della fattispecie, salvo restando che – specie nelle ipotesi in cui non vi sono specifici indici della offensività del fatto – la circostanza che un dato quantitativo sia stato tendenzialmente ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, può assumere una valenza di per sé decisiva.
Dunque, ai fini della valutazione della sussistenza del fatto lieve, il giudice può (e non “deve”) tener conto – unitamente agli altri elementi descrittivi della condotta – del fatto che il dato ponderale oggetto di giudizio è stato ritenuto, dalla giurisprudenza maggioritaria risultante dalla ricognizione statistica su un campione significativo di sentenze, come compatibile con l’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Riferimenti normativi: