Reati contro il patrimonio
Reati contro il patrimonio
Rapina impropria: legittima l’equiparazione delle due ipotesi che la integrano
giovedì 22 dicembre 2022
di Corbetta Stefano Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
Con la sentenza n. 260 del 20 dicembre 2022 la Corte costituzionale ha ritenuta legittima la parificazione sanzionatoria disposta dall’art. 628, comma 2, c.p. tra le due ipotesi di rapina impropria.
Corte costituzionale, sentenza 20 dicembre 2022, n. 260
Il caso
Il Tribunale di Firenze sollevava, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 628, comma 2, c.p., limitatamente alle parole «o per procurare a sé o ad altri l’impunità», ovvero, in subordine, «nella parte in cui si applica anche all’ipotesi in cui il soggetto agente (immediatamente dopo la sottrazione), dopo il materiale recupero dei beni da parte della persona offesa, adopera violenza o minaccia al solo scopo di fuggire».
Ad avviso del rimettente, sarebbe irragionevole l’equiparazione sanzionatoria disposta dalla norma censurata tra le due ipotesi di rapina impropria, cioè tra quella di chi adoperi violenza o minaccia, immediatamente dopo la sottrazione della cosa, per assicurarne a sé o ad altri il possesso e quella di chi invece tenga la medesima condotta – come nella fattispecie oggetto del giudizio a quo – al solo scopo di procurare a sé o ad altri l’impunità.
Ad avviso del Tribunale, mentre nella prima ipotesi l’autore del reato aggredisce la persona per uno scopo illecito, e precisamente il possesso del bene altrui, nella seconda egli, rinunciando al fine di profitto, asseconda un “anelito di libertà”: illeciti nell’un caso sia il mezzo sia il fine, nell’altro illecito sarebbe soltanto il mezzo, ma il fine perseguito di per sé è lecito.
La decisione della Corte
Le questioni sono state dichiarate non fondate.
La Corte ha richiamato la sentenza Corte cost. n. 190/2020, la quale aveva dichiarato non fondata, tra le altre, una questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell’art. 628, comma 2, c.p., in riferimento all’art. 3 Cost.
Sebbene il rimettente assuma trattarsi di una questione parzialmente diversa, perché allora era censurata l’equiparazione sanzionatoria tra rapina impropria e rapina propria, ora quella tra rapina impropria a dolo di possesso e rapina impropria a dolo di impunità, la Corte ha evidenziato come, pur nella parziale differenza di prospettiva, la ratio decidendi di quella decisione è pianamente estensibile anche alle questioni in scrutinio.
Nella precedente sentenza la Corte mise in luce che il tratto qualificante del delitto di rapina è l’impiego di “una condotta violenta o minacciosa nel medesimo contesto – di tempo e di luogo – di una aggressione patrimoniale”, giacché “la combinazione di tali elementi comporta non irragionevolmente un trattamento sanzionatorio diverso rispetto a quello che sarebbe applicabile in base al cumulo delle figure componenti”.
Tale connotazione ricorre non solo nella rapina propria, ma in entrambe le ipotesi di rapina impropria, indipendentemente dalla circostanza che l’agente si sia determinato a usare la violenza o la minaccia al fine di consolidare la relazione materiale con la cosa sottratta oppure allo scopo di guadagnare la fuga, ovvero per ambedue le finalità insieme.
Anche nella comparazione tra le due ipotesi di rapina impropria è decisivo, ad avviso della Corte, “il requisito dell’immediatezza, che il secondo comma dell’art. 628 c.p. postula nella sequenza tra aggressione al patrimonio e aggressione alla persona”.
In particolare, ha osservato la Corte, “la contestualità delle offese a due beni giuridici così qualificati, che fa apparire non irragionevole la scelta del legislatore di unificarne la punizione sotto specie di un reato complesso, si verifica nella rapina impropria a dolo di impunità, non meno che in quella a dolo di possesso”.
Nel confrontarsi, confutandola, con la comparazione istituita dal rimettente, la Corte ha chiarito che il requisito dell’immediatezza differenzia la struttura della rapina impropria a dolo di impunità da quella del reato teleologicamente aggravato di cui all’art. 61, comma 1, n. 2), c.p., per il quale, invece, “non è richiesta una specifica relazione di contestualità in rapporto al reato del quale si vuole procurare l’impunità”.
La Corte ha ritenuto altresì incongruo il raffronto – pure proposto dal rimettente – con la violenza o minaccia a pubblico ufficiale, che l’art. 336 c.p. configura come reato complesso di pericolo, mentre la rapina, anche nelle due forme improprie, è un reato complesso di danno.
La Corte ha evidenziato, inoltre, che le due ipotesi di rapina impropria non differiscono tra loro oltre né sul piano della struttura e dell’offensività, né sul piano soggettivo dell’intensità del dolo, “poiché anche quello di impunità può non essere un dolo d’impeto, e avere invece carattere programmatico, come nella rapina propria e nella rapina impropria a dolo di possesso”. E difatti, nel riprendere le cadenze argomentative della sentenza Corte cost. n. 190/2020, “è perfettamente concepibile che il ricorso alla violenza come mezzo per conseguire l’impunità o assicurare il possesso della cosa sia realmente programmato, a titolo eventuale o perfino come passaggio ineliminabile per il perfezionamento del reato patrimoniale (si pensi alla sicura necessità di superare controlli in uscita dal luogo della sottrazione)”.
La Corte ha messo in luce come il continuo riferimento, da parte del ricorrente all’“anelito di libertà”, che animerebbe la rapina impropria a dolo di impunità, rendendola meno grave di quella a dolo di possesso, in realtà tradisce la sovrapposizione di due concetti profondamente diversi, quali sono, per l’appunto, la libertà, da un lato, e l’impunità, dall’altro.
È del tutto evidente che la naturale aspirazione dell’individuo alla massima libertà è incomprimibile fino a che “egli non si rende autore di fatti illeciti, offensivi per gli altri consociati, dei quali la legge penale lo chiami a rispondere: sottraendosi alla responsabilità, la libertà si trasforma in impunità”.
Al proposito, la Corte ha richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui commette rapina impropria chi adopera violenza o minaccia, immediatamente dopo la sottrazione della cosa, per evitare tutte le conseguenze penali e processuali del reato commesso, quali il riconoscimento, la denuncia o l’arresto (ex plurimis, Cass. pen. sez. II, sentenza 01/02/2012, n. 4271; Cass. pen. sez. VII, ord. 03/07/2018, n. 29752).
Del resto, proprio considerando che per la rapina impropria, anche solo tentata, l’art. 380, comma 2, lett. f), c.p.p. prevede l’arresto obbligatorio in flagranza – e, di conseguenza, trattandosi di un delitto perseguibile d’ufficio, vi è anche la facoltà di arresto da parte dei privati, a norma dell’art. 383, comma 1, c.p.p. – la Corte di cassazione ha ritenuto che chi usa violenza o minaccia in danno del personale di un supermercato per procurarsi l’impunità immediatamente dopo la sottrazione di merce non può invocare la legittima difesa se trattenuto dal personale stesso nel tempo strettamente necessario alla consegna agli organi di polizia giudiziaria (Cass. pen. sez. II, sentenza 03/12/2014, n. 50662).
In ogni caso, anche aderendo alla prospettiva del rimettente, “sciogliendo” il reato complesso e isolandone la componente patrimoniale, l’autore sarebbe comunque soggetto ad arresto facoltativo in flagranza per il delitto di furto, a norma dell’art. 381, comma 2, lett. g), c.p.p., sicché, anche da questo punto di vista, la violenza o minaccia che egli si determinasse a usare per guadagnare la fuga sarebbero un mezzo per sottrarsi allo svolgimento dei doverosi accertamenti e all’esercizio dei legittimi poteri della polizia giudiziaria.
La Corte, infine, ha ritenuto tali considerazioni riferibili anche alla questione subordinata, che il remittente restringe all’ipotesi specifica in cui l’agente, «dopo il materiale recupero dei beni da parte della persona offesa, adopera violenza o minaccia al solo scopo di fuggire». Anche in tal caso, infatti, la questione rimanda pur sempre a una contestuale duplice aggressione – al patrimonio e alla persona altrui –, in ordine alla quale, secondo la Corte, non è irragionevole l’opzione legislativa dell’unificazione in reato complesso.
Esito del ricorso:
Dichiarazione di infondatezza
Riferimenti normativi: