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Riforma del processo penale: le impugnazioni

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Procedura penale

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Riforma processo penale: le impugnazioni

martedì 27 dicembre 2022

di Spangher Giorgio Professore emerito di Procedura penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma

Il lavoro espone le modifiche introdotte alla disciplina generale delle impugnazioni. In particolare, sono considerate le implicazioni della decisione di improcedibilità sugli interessi civili e la confisca nonché le questioni relative alla forma dell’atto di gravame e delle modalità della sua presentazione (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – G.U. 17 ottobre 2022, n. 243, suppl. ord. n. 38/L).

D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – G.U. 17 ottobre 2022, n. 243, suppl. ord. n. 38/L

Introduzione

Anche se svolge un ruolo complementare rispetto all’impianto generale della riforma, la disciplina delle impugnazioni prevista dal D.Lgs. n. 150/2022 non per questo appare meno significativa e non capace di forte incidenza sul sistema complessivo del processo penale, anche limitandosi agli aspetti generali della disciplina.

Il dato, infatti, va completato con le modifiche introdotte in materia di appello e di ricorso per cassazione.

Le impugnazioni per gli interessi civili e le confische

Seguendo la successione normativa della riforma i primi dati di forte impatto sono costituiti dalla modifica degli artt. 573 e 578, comma 1-bis, c.p.p.

Con queste norme, la seconda di completamento della prima, si prevede che in caso di impugnazione per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte d’appello, in caso di ammissibilità, rinviino per la prosecuzione del processo, rispettivamente al giudice o alla sezione civile competente affinché decida sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle che saranno eventualmente acquisite in sede civile.

Come accennato, il quadro si completa con la previsione che in attuazione alla delega raccorda questa scelta con quella delle implicazioni del tema delle impugnazioni per gli interessi civili in caso di declaratoria di improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p.

Il comma 1-bis dell’art. 578 c.p.p. prevede che quando nei confronti dell’imputato sia stata pronunciata condanna anche generica alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice d’appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare improcedibile l’azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 344 bis, rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado d’appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale.

In altri termini, confermando quanto già indicato con l’art. 2 della L. n. 134/2021 si prevede che in ogni caso di impugnazione anche per gli interessi civili la declaratoria di improcedibilità determini la trascrizione del processo, ai fini della determinazione delle questioni civili, al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado.

Stante la diversa natura e contenuto della decisione di estinzione del reato e di improcedibilità, l’art. 578, comma 1, c.p.p., dispone invece che in caso di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, se l’imputato è stato condannato, anche in modo generico, alla restituzione o al risarcimento dei danni a favore della parte civile, i giudici d’appello e della Cassazione decidano sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni che concernono gli interessi civili.

Con riferimento alla tutela degli interessi civili, sempre in linea con le richiamate indicazioni della legge delega la materia è ricondotta a sistema, come appena detto, con la riforma dell’art. 573 c.p.p. ove si dispone che in caso di impugnazione non inammissibile per i soli interessi civili, Cassazione e Corte d’appello rinviano per la prosecuzione – utilizzando le prove acquisite nel processo penale  e quelle eventualmente assunte nel processo civile – al giudice o alla sezione civile competente, senza pregiudizio per la sospensione dell’esecuzione delle disposizioni penali.

In altri termini, in caso in cui residuino solo interessi civili, la loro valutazione sarà conferita ai giudici civili, nell’altro caso i giudici penali conserveranno il potere di decisione in tema di interessi civili.

Derogando, invece, a quanto previsto dall’art. 317, comma 4, c.p.p. (ove l’eccezione è già indicata) si prevede che gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non è più soggetta a impugnazione.

Il comma 1-ter dell’art. 578 c.p.p. prevede che gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato permangono fino a quando non è più impugnabile la sentenza che si pronuncia sulle questioni civili.

Dando ulteriormente estrinsecazione a quanto richiesto dalla delega, il tema dell’improcedibilità per superamento dei termini di definizione del procedimento, richiedeva anche un coordinamento per quanto riguarda le decisioni di sequestro e confisca.

A tale proposito, l’art. 578-ter c.p.p. delinea due situazioni.

Con il comma 1 si prevede che con la declaratoria di improcedibilità il giudice d’appello, la Cassazione, anche quando non è stata pronunciata condanna dispongano la confisca obbligatoria.

Si ritiene che in questo contesto possano intendersi astrattamente tali:

– la confisca-misura di sicurezza obbligatoria di cui all’art. 240, comma 2, nn. 1 e 1-bis c.p.;

– le ipotesi di confisca-misura di sicurezza obbligatoria previste da altre disposizioni del Codice penale (compreso l’art. 240-bis c.p. e da leggi speciali);

– la confisca per equivalente egualmente obbligatoria, seppur qualificata come sanzionatoria;

– la confisca prevista dall’art. 240, comma 2, n. 2), c.p. che fa espresso riferimento anche all’assenza di condanna.

Il dato testuale della norma proposta nello schema di decreto, che fa riferimento alla confisca “anche quando non è stata pronunciata condanna” impone di accogliere la seconda soluzione, esplicitata anche nella relazione illustrativa.

Il comma 2 prevede che ove ci siano beni in sequestro di cui è stata disposta la confisca in primo grado con ordinanza gli atti siano trasmessi al PM presso il tribunale capoluogo del distretto o al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo competente a proporre le misure patrimoniali del codice antimafia (D.Lgs. n. 159/2011).

Il provvedimento cessa di avere effetto nel caso di mancato sequestro ex artt. 20 e 21 D.Lgs. n. 159/2011, nel termine di venti giorni dalla riferita ordinanza di trasmissione.

Anche in questo caso la disciplina in caso di estinzione del reato per amnistia o prescrizione si prospetta in termini diversificati.

L’art. 578-bis c.p.p., infatti, prevede che, nel caso di confisca di casi particolari di cui al primo comma dell’art. 240-bis c.p. e da altre disposizioni di legge o di confisca per equivalente prevista dall’art. 322-ter c.p., i giudici dell’impugnazione decidono sull’impugnazione e sugli effetti della confisca previo accertamento delle responsabilità.

Le richiamate modifiche agli artt. 578 e 578-ter c.p.p. sono accompagnate da due disposizioni di attuazione al codice di procedura penale.

Con l’art. 165-ter disp. att. c.p.p. si prevede che i presidenti della Corte di Cassazione e delle Corti di appello adottano i provvedimenti organizzativi per monitorare i termini di durata dei giudizi di impugnazione e quelli per le determinazioni in materia di interessi civili e dei beni su sequestri di cui agli artt. 578, comma 1-bis e 578-ter c.p.p.

In relazione a quest’ultimo profilo si prevede che la Corte di Cassazione e la Corte d’appello si pronuncino non oltre 60 giorni successivi al maturare dei termini per dichiarare l’improcedibilità (art. 175 disp. att. c.p.p.). Probabilmente la formulazione ha tradito l’intento del legislatore ove si consideri che verosimilmente al momento dell’applicazione dell’art. 344-bis c.p.p. il termine dei 60 giorni potrebbe essere scaduto.

Forme e modalità di presentazione dell’atto

Il panorama degli aspetti generali della disciplina delle impugnazioni si completa con le modifiche – significative e molto problematiche – relative alla forma delle impugnazioni (art. 581 c.p.p.) e attinenti alle modalità di presentazione dell’atto (art. 582 c.p.p.).

Si tratta di modifiche molto significative e destinate ad incidere – esse pure – su quella “stretta” che, unitamente alle riforme del giudizio d’appello, è tesa a condizionare gli sviluppi procedimentali dopo la fase delle indagini e del giudizio.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, va segnalato quanto previsto dal comma 1-bis dell’art. 581 c.p.p., a mente del quale si prevede che l’appello sia inammissibile per mancanza di specificità dei motivi, quando non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto e diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione.

Si tratta, a prima lettura del “recupero” delle Sezioni Unite Galtelli, in relazione al quale si confrontano una lettura tesa a sostenere la mancanza di novità introdotte dalla formulazione del comma 1-bis, e una che ne sottolinea i possibili rischi di una interpretazione tesa alla specificità del motivo in una dimensione suscettibile di condurre alla loro “tassatività” e alla presenza, a pena di inammissibilità, del motivo manifestamente infondato, senza escludere la possibile introduzione di una sezione filtro sul modello della VII sezione della Cassazione.

Il riferimento di “capi e punti”, contenuti nella previsione ed il conservato impianto di cui all’art. 597 c.p.p., relativamente ai poteri di cognizione del giudice d’appello sembrano temperare le notazioni critiche.

Maggiormente significative, ma anche maggiormente contrastate, si presentano le disposizioni introdotte ai commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p.

Con la prima, si stabilisce che con l’atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia disposta la dichiarazione di elezione di domicilio di parte della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

Con la seconda, che in caso di imputato assente, con l’atto di impugnazione sia depositato, sempre a pena di inammissibilità, uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio. Sono state reiteratamente le problematicità e l’incongruenza della previsione a temperare la quale non è sufficiente che l’art. 585, comma 1, c.p.p. allunghi di quindici giorni i tempi della proposizione del gravame.

Per quanto attiene alle modalità di presentazione dell’atto, la riforma abroga il comma 2 dell’art. 582 c.p.p., la c.d. presentazione fuori sede, e l’art. 583 c.p.p. relativo alla spedizione dell’atto di impugnazione, prevedendo soltanto la produzione dell’impugnazione nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

Sono state addotte varie giustificazioni alla scelta legislativa: dalla necessità di correggere alcune patologie comportamentali dell’avvocatura, dal coordinamento con la riformulata disciplina della improcedibilità e dalla prossima scadenza del relativo regime transitorio.

Naturalmente, la riforma, al di là di queste considerazioni, ha creato molto allarme nella avvocatura, stante la oggettiva difficoltà che la riforma determinava sull’attività difensiva.

Se l’approvazione dell’aumento della vacatio legis rinnova il problema, peraltro “superato” dalla presenza del regime Covid, fino al 31 dicembre del 2022, la questione si sarebbe presentata dal 1° gennaio 2023, con l’operatività a regime del nuovo modo di presentare gli atti di gravame. Con l’approvazione da parte del Parlamento di una previsione transitoria, inserita nel D.L. n. 162/2022, in fase di conversione, il regime Covid è stato prorogato al 30 giugno 2023. In tal modo, tuttavia, la questione è stata solo temporaneamente sterilizzata, restando aperte le criticità che si sono manifestate.

Brevi riflessioni di sistema

Cercando di tirare le fila del discorso si può affermare che, con riferimento alla tematica civilistica, si tratta di una scelta che si colloca lungo una linea che, muovendo dalla riforma della costituzione di parte civile, collocata perentoriamente nell’udienza preliminare e con l’onere di specificazione del contenuto della richiesta, resta parziale, richiedendo una profonda rivisitazione della presenza dei danneggiati nel processo penale.

Più complesso il problema della confisca, anche per la non del tutto limpida, anzi molto problematica, formulazione dell’art. 578-ter c.p.p.

Relativamente alla forma dell’atto ed alle modalità di produzione dell’impugnazione, essa appare in linea con l’esigenza di rendere maggiormente funzionali le impugnazioni con la riaffermata funzione di controllo dell’atto, circoscrivendo il ricorso alla reiterazione del giudizio. Sotto questo profilo, al di là di altre considerazioni, si rende necessaria una rivisitazione della disciplina del giudizio di primo grado

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