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La coltivazione domestica di cannabis per uso personale non è punibile

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Stupefacenti

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La coltivazione domestica di cannabis per uso personale non è punibile

martedì 07 marzo 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte di appello aveva confermato la decisione di primo grado con la quale il Tribunale aveva condannato il conducente di un’auto per il reato di omicidio colposo, per aver investito un ciclista che lo precedeva nello stesso senso di marcia, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 24 febbraio 2023, n. 8442 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui giudici di merito avevano del tutto trascurato di valutare, laddove avevano affermato l’avvistabilità del ciclista alla distanza di 35-40 metri, sia che la bicicletta fosse priva di adeguati dispositivi di illuminazione sia che il ciclista non indossasse il giubbino catarifrangente, sia che la vittima fosse vestita con abiti scuri – ha ribadito che l’ inoffensività della condotta di coltivazione di stupefacenti richiede alcuni indici: a) che l’agente sia un assuntore abituale; b) che non vi siano elementi idonei a ritenere la destinazione alla cessione a terzi; c) che la coltivazione abbia ad oggetto un numero limitato di piante; d) che sia svolta senza l’adozione di alcuna particolare tecnica atta ad ottenere un quantitativo apprezzabile di stupefacente.

Cassazione penale, sez. VI, sentenza 24 febbraio 2023, n. 8442

Orientamenti giurisprudenziali
Conformi Cass. pen. sez. Unite, 19/12/2019, n. 12348, dep. 2020
Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (noto con l’acronimo di TUS, ossia Testo Unico sugli Stupefacenti), sotto la rubrica «Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope», punisce la condotta di chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle previste dall’articolo 14. Il comma 3 chiarisce che le pene previste da tale articolo “si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione”.

Il reato di coltivazione di piante dalle quali è possibile trarre sostanze stupefacenti è stato oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità, tant’è che le Sezioni unite sono state chiamate più volte a pronunciarsi su tale fattispecie.

All’esito di un articolato percorso interpretativo, il più recente ed autorevole approdo della giurisprudenza è nel senso di ritenere che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente. Tuttavia, non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Cass. pen., Sez. Un., n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso, CED Cass. 278624).

La giurisprudenza successiva ha dato letture del suddetto principio non sempre conformi. Significativo, in tal senso, che si sia ritenuto di non poter ricondursi alla nozione di coltivazione domestica non punibile la messa a coltura di undici piantine di marjuana, non potendosi ritenere che la condotta riguardi uno scarso numero di piante, né che sia ricavabile un modestissimo quantitativo di stupefacente, risultando di per sé insufficiente la sola intenzione di destinare la coltivazione alle esigenze di consumo personale (Cass. pen. sez. VI, n. 3593 del 03/11/2020, dep. 2021, C., CED Cass. 280592).

In senso contrario, tuttavia, è stato anche affermato che integra una coltivazione domestica non punibile la messa a coltura di undici piantine di marijuana, collocate in vasi all’interno di un’abitazione, senza la predisposizione di accorgimenti, come impianti di irrigazione e/o di illuminazione, finalizzati a rafforzare la produzione, le quali, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, avrebbero consentito l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all’uso personale dell’ imputato (Fattispecie in cui si era già avuta pronuncia di assoluzione con riguardo alla detenzione di un modesto quantitativo di hashish, ritenuto destinato all’uso personale: Cass. pen. sez. VI, n. 6599 del 05/11/2020, dep. 2021, S., CED Cass. 280786).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato dal reato di detenzione di sostanze stupefacenti, riconoscendone la destinazione all’uso personale, mentre confermava la condanna per la coltivazione di tre piante di cannabis e per la detenzione di semi della medesima pianta.

Ricorrendo in Cassazione, l’imputato ne sosteneva l’erroneità, in particolare dolendosi della ritenuta offensività della condotta di coltivazione. Nella sentenza, infatti, si dava atto dell’abituale consumo di stupefacente da parte del reo, senza ritenersi, tuttavia, che le piante rinvenute erano esclusivamente destinate a soddisfare le esigenze personali dell’imputato. A tal riguardo, si invocava l’applicazione del principio recentemente affermato dalle Sezioni unite secondo cui la coltivazione domestica, destinata esclusivamente all’uso personale, non rientra nella condotta tipica descritta dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1.

La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, dopo aver operato una ricognizione – necessariamente sintetica – dell’ampia giurisprudenza della Corte in materia, ha rilevato come risulta che l’inoffensività della condotta è stata ritenuta a fronte del fatto che l’agente fosse un assuntore abituale, che non vi fossero elementi idonei a ritenere la destinazione alla cessione a terzi, che la coltivazione avesse ad oggetto un numero limitato di piante e fosse svolta senza l’adozione di alcuna particolare tecnica atta ad ottenere un quantitativo apprezzabile di stupefacente.

Applicando tali criteri al caso di specie, si è dunque ritenuta l’inoffensività della condotta, posto che era stato riconosciuto l’uso personale della sostanza rinvenuta, non vi erano elementi idonei a sostenere una destinazione anche a terzi del prodotto della coltivazione e, soprattutto, questa aveva ad oggetto un numero limitatissimo di piante, coltivate in maniera del tutto rudimentale, mediante il semplice invaso e collocazione nel giardino dell’abitazione.

Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 73, D.P.R. n. 309/1990

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