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L’abitualità o l’organizzazione dello spaccio non escludono il riconoscimento della c.d. ipotesi lieve

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Stupefacenti

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L’abitualità o l’organizzazione dello spaccio non escludono il riconoscimento della c.d. ipotesi lieve

lunedì 03 aprile 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad un uomo per il reato di detenzione per la vendita di marijuana e hashish, in misura sufficiente a ricavarne, rispettivamente, circa 11 e 132 dosi medie singole, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 21 marzo 2023, n. 11896 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui si sarebbe erroneamente valorizzato essenzialmente il dato quantitativo, discostandosi dall’insegnamento delle Sezioni unite (Cass. pen. n. 51063/2018), avendo trascurato, nella necessaria valutazione complessiva del fatto, l’assenza di qualsiasi elemento sintomatico dell’inserimento del reo in circuiti criminosi – ha riaffermato che il fatto di lieve entità non è in astratto incompatibile con o svolgimento di attività di spaccio non occasionale e continuativa.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 21 marzo 2023, n. 11896

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. III, 20/02/2018, n. 14017
Difformi Non si rinvengono precedenti in termini

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sotto la rubrica «Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope», per quanto qui di interesse, punisce al comma quinto con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329 “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, la condotta di chiunque commette uno dei fatti previsti dal medesimo articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità.

Con particolare riferimento all’ipotesi della c.d. lieve entità, la Cassazione è intervenuta a più riprese. In particolare, si segnalano alcune decisioni delle Sezioni Unite che hanno affermato alcuni importanti principi in materia. Segnatamente, si è affermato che la fattispecie prevista e punita dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Cass. pen. sez. Unite, n. 17 del 21/06/2000, P., CED cass. 216668; Cass. pen. sez. Unite, n. 35737 del 24/6/2010, R., CED Cass. 247911); la valutazione di tali indici normativi, cioè, deve necessariamente essere complessiva, nel senso che essi non possono essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri, ma, ad un tempo, non è necessario che gli stessi abbiano tutti, indistintamente, segno positivo o negativo (Cass. pen., Sez. Un., n. 51063 del 27/9/2018, Murolo, CED Cass. 274076).

In particolare, la giurisprudenza si è anche espressa nel senso di ritenere che il fatto di lieve entità non è in astratto incompatibile con o svolgimento di attività di spaccio non occasionale e continuativa (Cass. pen., Sez. III, n. 14017 del 20/2/2018, C., CED Cass. 272706). Dunque, per la Cassazione:

1) la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità non può essere legittimamente esclusa sulla base del mero presupposto che l’imputato ha posto in essere una pluralità di condotte di cessione della droga reiterate nel tempo, prescindendo in tal modo da una valutazione di tutti i parametri dettati in proposito dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 (Cass. pen., Sez. VI, n. 29250 del 26/7/2010, M., CED Cass. 249369 – 01);

2) la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativa, come si desume dall’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309/1990, che, con il riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dal quinto comma dell’art. 73, rende evidente che è ammissibile configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo (Cass. pen. sez. F, n. 39844 del 02/10/2015, B. e altri, CED Cass. 264678 – 01;

3) l’attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 non è, in astratto, incompatibile con la reiterazione delle condotte di spaccio da parte dell’imputato – come si desume dall’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309/1990 – né con la particolare tipologia di sostanza stupefacente detenuta (nella specie, cocaina), posto che la norma non prevede ipotesi di esclusione legate alla natura della sostanza stupefacente (Cass. pen. sez. VI, n. 48697 del 17/11/2016, T. ed altri, CED Cass. 268171 – 01);

4) la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativa, come si desume dall’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309/1990, che, con il riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dal quinto comma dell’art. 73, rende evidente che è ammissibile configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo (Cass. pen. sez. VI, n. 39374 del 23/08/2017, E.B., CED Cass. 270849 – 01).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello aveva confermato la condanna di un imputato per il delitto di cui al D.P.R. n. 309/1990, art. 73, comma 4, in relazione alla detenzione per la vendita di marijuana e hashish, in misura sufficiente a ricavarne, rispettivamente, circa 11 e 132 dosi medie singole. Ricorrendo in Cassazione, l’imputato ne sosteneva l’erroneità, in particolare rilevando che la Corte d’appello si sarebbe limitata a ripiegarsi sulle valutazioni del primo giudice, valorizzando essenzialmente il dato quantitativo, e perciò discostandosi dall’insegnamento delle Sezioni unite di cui alla sentenza Cass. pen. n. 51063/2018, M., avendo trascurato, nella necessaria valutazione complessiva del fatto, l’assenza di qualsiasi elemento sintomatico dell’inserimento del ricorrente in circuiti criminosi.

La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C. ha rilevato come la Corte d’appello aveva escluso l’ipotesi lieve, ritenendola incompatibile con “l’abitualità o quantomeno l’organizzazione alla base dell’attività di spaccio” dell’imputato, desunte da qualità e quantità delle sostanze, somma di denaro rinvenuta nella sua disponibilità, modalità di condotta reiterate, contesto condiviso con altri “spacciatori”. Una siffatta relazione d’incompatibilità, in realtà, per i Supremi Giudici non può ravvisarsi. Lo smercio degli stupefacenti sul territorio, infatti, si atteggia ordinariamente in modo non dissimile da una qualsiasi attività commerciale di scambio di beni, con canali di rifornimento, a monte, ed una rete di “clientela” a valle, con i quali il singolo operatore instaura naturalmente – ancorché non necessariamente – una relazione privilegiata: di qui, anche l’adozione di moduli operativi più o meno sperimentati e reiterati, a maggior ragione per l’elevato rischio coessenziale alla natura illecita di tale commercio.

Qualora, perciò, la pluralità delle condotte e l’esistenza di un minimo di organizzazione dovessero reputarsi antinomiche alla levità della condotta, dovrebbe necessariamente concludersi che la fattispecie del citato art. 73, comma 5, possa trovare applicazione soltanto in caso di condotta unica ed isolata. Una tale soluzione interpretativa, però, non solo non trova conforto nel dato normativo, ma, piuttosto, è logicamente smentita dalla disposizione del comma 6 del successivo art. 74, là dove si ipotizza e si punisce l’associazione per delinquere costituita per commettere esclusivamente condotte di c.d. “piccolo spaccio”, con ciò dando per ammesso che anche quest’ultimo possa dispiegarsi in forme e contesti non solamente estemporanei.

Considerando, dunque, che i dati di fatto principalmente valorizzati dalla Corte d’appello a sostegno del proprio assunto – ovvero quantità e varietà delle sostanze (circa 11 e 132 dosi medie singole) e somme di denaro disponibili (175 euro) non erano oggettivamente tali da collocare l’imputato ad un livello più o meno intermedio della filiera della distribuzione degli stupefacenti su quel territorio, e quindi da escludere con indiscutibile evidenza la minima entità offensiva della sua condotta, s’imponeva per la Cassazione una rivalutazione delle evidenze disponibili.

Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 73, co. 5, D.P.R. n. 309/1990

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