Penale
Pedopornografia
L’archiviazione di materiale pedopornografico sul cloud di una chat collettiva costituisce reato
giovedì 14 settembre 2023
di Crimi Francesco Avvocato Specialista in diritto penale in Torino
Integra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico ai sensi dell’art. 600-quater comma 1 c.p. la disponibilità di files di contenuto pedopornografico archiviati sul cloud storage di una chat di gruppo ed accessibili, per il tramite delle proprie credenziali, da parte di ogni componente del gruppo che abbia ad essa consapevolmente preso parte e che sia consapevole del contenuto dei files ivi contenuti (Cassazione penale, Sez. III, sentenza 4 settembre 2023, n. 36572).
Cassazione penale, Sez. III, sentenza 4 settembre 2023, n. 36572
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen., Sez. III, sentenza 19/1/2023, n. 4212 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Con sentenza del 12/7/2022 la Corte distrettuale partenopea confermava integralmente la pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale Ordinario di Napoli e con la quale Tizio veniva condannato alla pena finale di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 3.000 di multa, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 600-quater per aver detenuto all’interno di uno spazio virtuale, ovverosia nella cartella dei files condivisi di una chat di gruppo facente parte del servizio di messaggistica, cui accedeva utilizzando un account abbinato alla sua utenza telefonica, più di centocinquanta files contenenti materiale pedopornografico, nonché responsabile del reato di pornografia minorile di cui all’art. 600-ter comma 4 c.p., così riqualificata l’originaria imputazione, per aver condiviso i suddetti files in chat private, di cui facevano parte un numero ristretto di persone.
Avverso il suddetto provvedimento l’imputato proponeva ricorso in cassazione, avvalendosi dell’assistenza di due difensori, i quali ultimi affidavano l’accoglimento dei rispettivi ricorsi a una pluralità di motivi.
Ai fini del presente contributo interessante risulta il motivo con cui i difensori dell’imputato hanno dedotto il vizio di violazione di legge con riferimento al modulo di incriminazione di cui all’art. 600-quater c.p.; tale censura di legittimità risultava fondata sulla considerazione secondo la quale non sarebbe configurabile la fattispecie delittuosa in disamina e contestata all’imputato non essendo il materiale pedopornografico in contestazione contenuto nel cellulare del ricorrente, bensì all’interno del cloud abbinato a una chat di gruppo e, dunque, di uno spazio virtuale costituito dalla cartella dei media condivisi dal gruppo alla quale poteva accedere chiunque fosse in possesso delle credenziali di accesso, ovverosia tutti gli iscritti alla chat (ivi compreso l’imputato); con la conseguenza che in assenza di qualsivoglia operazione di download dei files presenti sulla chat sul proprio cellulare, non risulterebbe integrata la detenzione di detto materiale, intesa quale rapporto effettivo e diretto dell’agente con il materiale pornografico, configurante la condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600-quater c.p.
Rivestendo la detenzione di materiale pornografico natura di reato di pericolo, connaturato al rischio della sua diffusione da parte dell’agente, la circostanza che l’imputato non avesse la fisica disponibilità dei files in contestazione, essendogli consentita la sola visualizzazione delle immagini attraverso l’accesso alla rete internet, la difesa del ricorrente ha ritenuto al più configurare la fattispecie delittuosa di accesso al materiale pedopornografico di cui all’art. 600-quater comma 3 c.p.
In sostanza, pur sempre secondo la difesa articolata dal ricorrente, in difetto di alcun download dei files sul proprio cellulare, unica operazione penalmente rilevante in quanto volta a ricondurre le immagini riprodotte nella effettiva disponibilità dell’agente, non sarebbe configurabile la figura delittuosa di cui all’art. 600-quater c.p. difettando il requisito di tipicità strutturale della detenzione, potendo al più e a tutto concedere ritenersi integrata la meno grave previsione incriminatrice contenuta nel comma terzo dell’articolo citato e che punisce l’accesso intenzionale e senza giustificato motivo a materiale pedopornografico mediante l’utilizzo della rete.
La Suprema Corte di cassazione ha rigettato i ricorsi anche con riferimento a tale specifica censura, all’uopo considerando come il concetto di detenzione sul piano sostanziale consista nella disponibilità e fruibilità materiale di un bene altrui, laddove sul piano psicologico presuppone che il soggetto che abbia il godimento della res abbia altresì la consapevolezza che si tratti di un bene altrui (c.d. animus detinendi).
Il Giudice della Nomofilachia considera, tuttavia, che nel corso del tempo le nozioni di possesso e di detenzione hanno subito – in ambito penalistico, ove i concetti rientrano e danno corpo a norme parzialmente in bianco attraverso il meccanismo c.d. della etero-integrazione normativa detonata dalla presenza di elementi normativi di fattispecie – una progressiva trasformazione in ragione della crescente divulgazione, attraverso il web e grazie all’impatto delle nuove tecnologie sul mercato, dei beni c.d. immateriali (si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle criptovalute, all’energia elettrica et coetera).
Prendendo le mosse dalla considerazione che i beni immateriali non sono per la loro stessa natura suscettibili dell’uso esclusivo sui cui si fonda la disciplina della detenzione e del possesso, il Giudice della Nomofilachia evidenzia come i files, pur potendosene apprezzare la consistenza fisicamente tangibile (si pensi alla possibilità di stimare e misurare lo spazio fisicamente occupato all’interno di un server) condividono, tuttavia, con i beni immateriali la caratteristica di poter essere utilizzati da più soggetti anche contemporaneamente senza che l’esercizio dell’uno impedisca quello degli altri.
Da tali considerazioni che tengono conto dell’evolversi delle tecnologie e delle correlate condotte, deriva la necessità di andare oltre le righe semantiche della norma incriminatrice e considerare il concetto di detenzione in maniera più attuale e al passo con l’evoluzione delle tecnologie comunicative, dunque, avulso dalla necessaria relazione di fatto con la res, intesa in termini strettamente fisici, dovendosi tenere conto semplicemente della sua fruibilità, non solo concreta, ma anche semplicemente potenziale.
Fatte tali considerazioni, che si muovono nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, considerano poi gli ermellini come la circostanza che nel caso di specie le immagini pedopornografiche si trovassero contenute nel cloud storage di una chat di gruppo non sposta i termini della questione giuridica: una volta entrato nella chat, qualunque partecipante ha accesso alle conversazioni e ai contenuti condivisi all’interno del gruppo, potendo leggere i messaggi precedenti, inviarne di propri, condividere files, foto, video e partecipare alle conversazioni con gli altri componenti. Con la conseguenza che una volta immessi i contenuti gli stessi vengono automaticamente salvati con il sistema cloud storage nella chat del gruppo, diventando patrimonio comune di ogni componente del gruppo stesso, il quale, a sua volta, è libero di accedervi, consultarli, condividerli al pari di ogni detentore individuale.
Ovviamente sarà necessario accertare che il partecipante alla chat sia a conoscenza dei contenuti penalmente rilevanti condivisi, poiché solo in tal caso la sussistenza di files pedopornografici immagazzinati nel cloud storage della chat di gruppo e condivisi dai partecipanti risulta equiparabile alla conservazione di analoghi files in una chat cui solo colui che li ha scaricati abbia accesso. Solo così, in altri termini, potrà ritenersi integrato non solo il protocollo oggettivo della fattispecie ma anche quello soggettivo.
Entrando in medias res la Corte di cassazione evidenzia come nel caso di specie non risulti ravvisabile nessun automatismo sanzionatorio, dal momento che il nome della chat risultava chiaramente evocatore dell’argomento trattato e il contenuto della stessa risultava caratterizzato dalla esclusiva presenza di materiale pedopornografico, costituito da una pluralità di file raffiguranti scene di bambini in atteggiamenti sessualmente espliciti; elementi in grado di dimostrare in maniera ineccepibile la finalità perseguita da tutti i partecipanti alla chat e sistematizzare il dolo di fattispecie in capo all’imputato.
Interessante risulta, poi, il chiarimento degli ermellini, i quali evidenziano come l’operatività della ipotesi delittuosa di cui al terzo comma dell’art. 600-quater c.p. anticipa e amplia la soglia di punibilità a condotte che precedono la detenzione del materiale pedopornografico, incriminando anche solo la visione di files presenti sui siti web attraverso la navigazione sulla rete.
Con la conseguenza che ove, come nel caso di specie, l’imputato non abbia solo la possibilità di visionare i files accedendo al sito ma finanche la possibilità di impiegarli a proprio piacimento, ad esempio condividendoli con altri soggetti, verrà detonata la più grave fattispecie delittuosa, la quale potrà, come nel caso di specie, finanche concorrere con la fattispecie incriminatrice minore.
In conclusione, secondo l’insegnamento della Corte di cassazione, premesso che non è richiesta una relazione materialmente tangibile tra la persona fisica e il bene, risultando sufficiente la mera fruibilità della res, non vi è alcuna differenza tra un’operazione di download dei files fatta sul proprio cellulare, o su altro dispositivo informatico nella propria disponibilità materiale, e l’accesso incondizionato ad un archivio condiviso tra i partecipanti ad una chat collettiva, in ragione della propria partecipazione consapevole al gruppo telematico: e ciò in quanto in entrambi i casi l’agente ha la piena e incondizionata possibilità di fruire del materiale archiviato, indipendentemente dal fatto che sia stato lui stesso od altri ad aver effettuato l’operazione di salvataggio, venendo conseguentemente a realizzarsi nel caso di materiale pedopornografico il rapporto diretto tra l’imputato e l’oggetto illecito e risultandone indiscutibile la fruibilità.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte il Giudice della Nomofilachia ha rigettato i ricorsi proposti nell’interesse dell’imputato.
Riferimenti normativi:
Art. 609-quater c.p.