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Rilevabile d’ufficio in Cassazione la procedibilità dell’azione penale “post Cartabia” non dedotta in appello

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Procedura penale

Processo penale

Rilevabile d’ufficio in Cassazione la procedibilità dell’azione penale “post Cartabia” non dedotta in appello

giovedì 14 settembre 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte di appello aveva confermato la sentenza del Tribunale che aveva affermato la penale responsabilità di un uomo per il reato di lesione personale, la Corte di Cassazione penale, Sez. V, con la sentenza 5 settembre 2023, n. 36812 – pur rilevando l’inammissibilità del ricorso proposto dall’imputato con cui egli si doleva del fatto che la persona offesa era un teste inattendibile, avendo nel tempo fornito versioni diverse dell’accaduto e sempre non riscontrate – ha tuttavia annullato la sentenza rilevando d’ufficio il mutamento della procedibilità per tale reato introdotto dalla riforma “Cartabia”, in particolare affermando come, ove al diverso regime di procedibilità si accompagni anche un mutamento in ordine alla individuazione del giudice competente per materia (come nella specie, essendo divenuto il giudice di pace) nonché il mutamento correlato del regime sanzionatorio (non potendo il giudice di pace infliggere la pena della reclusione), la Cassazione, esclusa la possibilità di pronunciare una sentenza di incompetenza per materia, anche in presenza di un ricorso inammissibile può rilevare la illegalità della pena e, ove risulti l’assenza di manifestazione di volontà di querelarsi della persona offesa, non deve annullare la sentenza in relazione al trattamento sanzionatorio ma per sopravvenuto (per legge) difetto della condizione di procedibilità.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 5 settembre 2023, n. 36812

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen., Sez. III, 14/3/2019, n. 24146

Cass. pen., Sez. Un., 26/6/2015, n. 46653

Difformi Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che a seguito delle modifiche apportate all’art. 582 dall’art. 2, comma 1, lett. b), n. 1, del D.Lgs. n. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. riforma Cartabia), la cui entrata in vigore è stata posticipata al dicembre 2022 dall’art. 6 del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, il reato di lesioni personali volontarie in cui la durata della malattia è pari a trenta giorni è divenuto procedibile a querela.

Tale reato rientra ora tra i reati procedibili a querela, avendo le nuove disposizioni inteso “ampliare il regime di procedibilità a querela del delitto di lesioni personali senza più condizionare tale regime alla durata della malattia non superiore a venti giorni” con la conseguenza che “la procedibilità a querela viene estesa alle c.d. lesioni lievi (malattia compresa tra 21 e 40 giorni) mentre restano procedibili d’ufficio le lesioni gravi (comprensive dell’ipotesi in cui la malattia abbia durata superiore a 40 giorni) e le lesioni gravissime“, secondo quanto affermato dalla relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150/2022 (vedi in tal senso Cass. pen., Sez. V, n. 12517 del 10/1/2023, C., CED Cass. 284375).

Il mutato regime di procedibilità opera retroattivamente, sia in considerazione della natura “mista” della querela (Cass. pen., Sez. II, n. 21700 del 17/4/2019, S., CED Cass. 276651), sia in virtù della disciplina transitoria emanata dal citato D.Lgs., che con l’art. 85 che assegna alla persona offesa di un reato commesso prima dell’entrata in vigore della riforma e non più procedibile d’ufficio il termine di tre mesi dalla sua entrata in vigore per sporgere querela.

Orbene, il mutato regime di procedibilità, di per se stesso considerato, non ha rilevanza in presenza di un ricorso inammissibile. Si è già affermato, in relazione al reato di furto, che l’improcedibilità per difetto di querela, in conseguenza del diverso regime di procedibilità sopravvenuto alla proposizione del ricorso, non prevale sulla inammissibilità del ricorso, poiché, a differenza dell’ipotesi di abolitio criminis, non è idonea a incidere sul c.d. giudicato sostanziale (vedi Cass. pen., Sez. V, n. 5223 del 17/1/2023, C., CED Cass. 284176, che richiama Cass. pen., Sez. Un., n. 40150 del 21/6/2018, S., CED Cass. 273551). Tuttavia, come già affermato dalla decisione in materia di lesione personale più sopra richiamata (Cass. pen., Sez. V, n. 12517 del 10/1/2023, C., CED Cass. 284375), al diverso regime di procedibilità si accompagna anche un mutamento in ordine alla individuazione del giudice competente per materia, che è divenuto il giudice di pace.

Tale modifica, si noti, non può condurre in sede di legittimità ad una pronuncia di incompetenza per materia, in quanto, in base al principio della perpetuatio jurisdictionis, occorre fare riferimento al momento in cui è stata formulata la richiesta di rinvio a giudizio, non rilevando lo ius superveniens, a meno che non venga introdotta una specifica norma derogatoria, ipotesi questa che non ricorre nel caso di specie.

Al mutato regime di procedibilità e di competenza per materia è, però, collegato il diverso regime sanzionatorio previsto per i reati di competenza del giudice di pace dagli artt. 52 e seguenti del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 che non contempla la reclusione. Tale diverso regime sanzionatorio, avendo natura sostanziale, deve trovare applicazione anche ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia, con la conseguenza che la pena della reclusione non è oggi più conforme a legge. Deve, allora, osservarsi che le Sezioni Unite hanno affermato, in tema di successione di leggi nel tempo, che la Corte di cassazione può, anche d’ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l’imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell’art. 609 c.p.p., l’annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative in melius (Cass. pen., Sez. Un., n. 46653 del 26/6/2015, Della Fazia, CED Cass. 265111). In motivazione si chiarisce che la finalità rieducativa della pena e il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità impongono di rivalutare la misura della sanzione precedentemente individuata e non più conforme a legge e che diversamente ragionando si perverrebbe ad una violazione sopravvenuta del diritto fondamentale dell’imputato di vedersi applicato il trattamento sanzionatorio più favorevole, conseguente alla corrispondente scelta espressa dal legislatore sul disvalore della condotta che viene in rilievo.

Le Sezioni Unite hanno precisato che, proprio a tutela di tale diritto fondamentale, l’inammissibilità del ricorso non preclude l’attuazione del sopravvenuto e più favorevole trattamento sanzionatorio anche laddove “l’imputato con il ricorso originario (o con motivi nuovi o memorie) non abbia proposto alcun motivo riguardante la pena né alcuna ragione di critica alla sua determinazione da parte del giudice del rinvio pur dopo le rilevanti modifiche normative intervenute successivamente alla sentenza di conferma della condanna”.

Ancor più recentemente le Sezioni Unite, anche sulla base dei principi affermati dalla sentenza poco sopra richiamata, hanno statuito che anche in caso di ricorso inammissibile la Corte di cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., può rilevare l’illegalità della pena.

Nel caso in esame, in cui l’imputato era stato condannato alla reclusione per il reato di lesioni personali non aggravate, dunque, la Cassazione ha fatto coerente applicazione di tali principi ed ha escluso che, una volta rilevata la illegalità della pena, la sentenza dovesse essere annullata in relazione al trattamento sanzionatorio. In particolare, sia pure per effetto del rilievo ufficioso della illegalità della pena e della conseguente necessità di annullare la sentenza in relazione al punto della decisione di merito concernente il trattamento sanzionatorio, ha constatato che il ricorso non risulta del tutto inammissibile o manifestamente infondato e che aveva determinato la valida instaurazione del rapporto processuale, cosicché sorgeva in capo alla S.C. l’obbligo di rilevare la sussistenza delle cause di proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p. (vedi Cass. pen., Sez. V, n. 26409 del 7/5/2019, P., CED Cass. 276995). In particolare, ha osservato la Cassazione, la questione attinente alla procedibilità dell’azione penale è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento e, quindi, anche davanti alla Corte di cassazione, sebbene non dedotta nel grado di appello (Cass. pen., Sez. III, n. 24146 del 14/3/2019, CED Cass. 275981).

Nel caso di specie, dagli atti del fascicolo non risultava che la persona offesa avesse sporto querela e la Procura della Repubblica, interpellata dalla Cassazione, aveva risposto che non risultava dagli atti in loro possesso che la vittima avesse sporto querela all’epoca delle indagini o nel termine di tre mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022.

Da qui, dunque, l’annullamento senza rinvio della sentenza.

Riferimenti normativi:

Art. 582 c.p.

D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150

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