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Falso ideologico per il legale rappresentante della società che attesta nel CUD di aver pagato il TFR al dipendente

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Penale

Reati contro la pubblica fede

Falso ideologico per il legale rappresentante della società che attesta nel CUD di aver pagato il TFR al dipendente

venerdì 15 settembre 2023

di Scarcella Alessio Consigliere della Corte Suprema di Cassazione

In tema di reati contro la pubblica fede, se è ben vero che la certificazione unica (CUD) in sè non è atto pubblico, non conferendo la disciplina in materia (art. 4D.P.R. n. 322 del 1998) alcun profilo pubblicistico all’attività del sostituto di imposta, che opera la ritenuta e rilascia la certificazione uni-ca, purtuttavia la stessa incide sulla conseguente tassazione applicata al contribuente e, quindi, sul contenuto di un atto che, seppur redatto ad uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, ha comunque attitudine ad assumere rilevanza giuridica e un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (Cassazione penale, Sez. V, sentenza 5 settembre 2023, n. 36773).

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 5 settembre 2023, n. 36773

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Non si rinvengono precedenti
Difformi Cass. pen., Sez. V, 15/9/2015, n. 44879

La Corte di Cassazione si sofferma, con la sentenza in commento, su un tema particolare nella disciplina penalistica, afferente alla configurabilità del delitto di falso ideologico nei confronti del privato che attesti falsamente nel CUD dati non corrispondenti al vero.

Sul punto i Supremi Giudici, in una fattispecie nella quale il legale rappresentante di una SRL unipersonale era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 483 c.p., per aver attestato falsamente, nella certificazione unica, di aver corrisposto quanto dovuto a titolo di trattamento di fine rapporto ad un dipendente, ha annullato la sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice sull’assunto che la certificazione unica non fosse qualificabile in termini di atto pubblico, affermando diversamente che la falsa attestazione contenuta nella certificazione unica incide direttamente sul conseguente atto dell’amministrazione finanziaria (connesso alla determinazione delle imposte) che, pur formato per uno scopo diverso da quello di conferire pubblica fede alle attestazioni del privato, assume comunque rilevanza giuridica nel rapporto pubblicistico che lega l’amministrazione finanziaria e il contribuente, acquisendo, attraverso l’attestazione stessa, un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione.La vicenda processuale segue alla sentenza con cui il tribunale aveva assolto il legale rappresentante di una SRL unipersonale, tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 483 c.p., per aver attestato falsamente, nella certificazione unica, di aver corrisposto quanto dovuto a titolo di trattamento di fine rapporto ad un dipendente. Il tribunale ha assolto l’imputato ritenendo che la certificazione unica (nella quale sarebbero state trasfuse le false attestazioni oggetto dell’imputazione) non fosse qualificabile in termini di atto pubblico.

Il ricorso

Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore generale della Repubblica, in particolare osservando che la certificazione unica è rilevante non solo nei rapporti tra privati (tra datore di lavoro e dipendente), ma anche in quelli tra privato (datore di lavoro) e pubbliche amministrazioni (Agenzia delle Entrate), certificando, appunto, all’Agenzia delle Entrate che la trattenuta è stata effettivamente versata.

La decisione della Cassazione

La Cassazione, come anticipato, ha accolto la tesi del PG.

In particolare, la S.C. ha ricordato che la deduzione del tribunale, pur corretta, non escludeva l’astratta configurabilità del reato contestato. In linea generale, per i Supremi Giudici, la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, prevista dall’art. 483 c.p., presuppone un collegamento tra il privato, autore della falsificazione, e il pubblico ufficiale, che, pur estraneo al reato, deve raccogliere le attestazioni del primo (Cass. Pen., Sez. 5, n. 3312 del 11/02/1983, CED Cass. 158484) e riguarda i soli fatti attestati dal privato che abbiano una rilevanza probatoria inerente alla natura e all’essenza funzionale dell’atto per i quali il privato abbia l’obbligo giuridico di dire la verità.

La certificazione unica in sè non è atto pubblico. La Cassazione ha già avuto modo di precisare come la disciplina in materia (art. 4D.P.R. n. 322/1998) non conferisce alcun profilo pubblicistico all’attività del sostituto di imposta, che opera la ritenuta e rilascia la certificazione unica (CUD). Tant’è che la relativa controversia, in ordine alla legittimità di una ritenuta fiscale di acconto, anche se è devoluta alle commissioni tributarie (dovendo essere decisa con efficacia di giudicato e nel contraddittorio con l’amministrazione finanziaria) rimane comunque una controversia tra privati (Cass. civ., Sez. Un., n. 1200 del 5/2/1988, CED Cass. 457410).

La falsa attestazione contenuta nella certificazione unica incide direttamente sul conseguente atto dell’amministrazione finanziaria (connesso alla determinazione delle imposte) che, pur formato per uno scopo diverso da quello di conferire pubblica fede alle attestazioni del privato, assume comunque rilevanza giuridica nel rapporto pubblicistico che lega l’amministrazione finanziaria e il contribuente acquisendo, attraverso l’attestazione stessa, un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione.

La certificazione unica, infatti, ricorda la Cassazione, è un documento fiscale che attesta i redditi percepiti nell’anno precedente; viene rilasciato dall’INPS o dal datore di lavoro o dal committente entro il 16 marzo di ogni anno e viene successivamente trasfuso nella relativa dichiarazione dei redditi. Incide, quindi, sulla conseguente tassazione applicata al contribuente e, quindi, sul contenuto di un atto che, seppur redatto uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, ha comunque attitudine ad assumere rilevanza giuridica e un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione.La sentenza merita di essere condivisa, anche se si registrano decisioni in senso contrario.

In particolare, si è ritenuto che non integri il reato di falsità materiale exart. 477 c.p. la condotta di falsificazione del certificato unico dei redditi da lavoro dipendente (CUD) emesso da una ditta privata, dovendosi escludere che tale documento abbia natura pubblicistica e sia riconducibile alla nozione di certificato penalmente rilevante (In motivazione la Corte ha aggiunto che, in ogni caso, il falso in certificato presuppone la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio del soggetto da cui proviene l’atto: Cass. pen., Sez. V, n. 44879 del 15/9/2015, CED Cass. 265507 – 01).

Tuttavia, si osserva, la nozione di atto pubblico rilevante anche ai fini dell’art. 483 c.p., racchiude un’ampia estensione tipologica di scritti, ricomprendendo anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato nell’esercizio delle loro funzioni che, seppur redatti per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, abbiano comunque attitudine ad assumere rilevanza giuridica e un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (Cass. pen., Sez. V, n. 15901 del 15/2/2021, CED Cass. 281041). Ed è indubbio che il CUD incide sulla tassazione applicata al contribuente e, quindi, sul contenuto di un atto che, seppur redatto uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, ha comunque attitudine ad assumere rilevanza giuridica e un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione.

Riferimenti normativi:

Art. 483 c.p.

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