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È frode in commercio contraffare la data di confezionamento dei frutti di mare

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Penale

Reati alimentari

È frode in commercio contraffare la data di confezionamento dei frutti di mare

martedì 19 settembre 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad un imprenditore per il delitto di tentata frode in commercio, per aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a contraffare la data di confezionamento di frutti di mare altamente deperibili, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 12 settembre 2023, n. 37118 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui le retine strappate, recanti la data del giorno successivo a quello del reale confezionamento, collocate in un sacco di plastica utilizzato per rifiuti, non erano destinate ad uscire dall’azienda, mentre i mitili rinvenuti nella cella frigorifera non si trovavano sulla linea di confezionamento, né era stato trovato alcun documento di trasporto – ha invece ribadito che la fattispecie consumata di frode nell’esercizio del commercio è integrata dalla consegna materiale della merce all’acquirente, laddove per la configurabilità del tentativo non è necessaria la sussistenza di una contrattazione finalizzata alla vendita, essendo sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite.

Cassazione penale, Sez. III, sentenza 12 settembre 2023, n. 37118

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen., Sez. III, 18/9/2014, n. 45916
Difformi Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 515, c.p., sotto la rubrica «Frode nell’esercizio del commercio», punisce qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065 la condotta di chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita. Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a euro 103.

Per quanto qui di interesse, l’inconciliabilità del tentativo con il delitto de quo era fermamente sostenuta da dottrina e giurisprudenza sull’assunto che gli atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere la frode in commercio corrispondessero ad altre fattispecie di reato (Cass. pen., Sez. VI, 13/10/1972; Cass. pen., Sez. VI, 9/11/1970). Le posizioni “negazioniste” si sono negli anni attenuate, sino a configurare, pur con alcuni doverosi distinguo, la configurabilità del tentativo.

Sull’ipotizzabilità del tentativo nella condotta di messa in vendita ci sono ancora motivate perplessità, secondo alcuni (Conti) manca il minimum per individuare l’inizio dell’attività punibile, ovvero una presa di contatto con uno specifico acquirente ed inoltre il legislatore tutte le volte che ha voluto incriminare anche la semplice messa in vendita lo ha espressamente affermato (Palombi, Pica). A tali rigide posizioni si affiancano tesi dottrinarie che ammettono la configurabilità della forma tentata di frode in commercio, ogni qualvolta sono posti in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare cosa diversa da quella pattuita (Marinucci; Pedrazzi).

Aderisce a questa tesi la più recente giurisprudenza che, comunque, esige che l’agente abbia instaurato un rapporto concreto ed un inizio di trattativa con un acquirente determinato (Cass. pen., Sez. III, 26/6/1998), pertanto la sola detenzione di cibi congelati o surgelati in un laboratorio o la mancanza di segnalazione sul menù dei prodotti congelati non costituisce tentativo (Cass. pen., Sez. III, 3/10/2001; Cass. pen., Sez. III, 3/11/1999; Cass. pen., Sez. III, 26/6/1998; Cass. Pen., Sez. III, 25/2/1998; Cass. pen., Sez. VI, 9/5/1985). Per contro si è ritenuto che la detenzione di prodotti congelati in un esercizio commerciale e l’omessa indicazione nel menù di tale precondizione dell’alimento dimostrano, invece, l’univocità e l’idoneità dell’azione ai fini del tentativo (Cass. pen., Sez. III, 30/1/2017, n. 34783; Cass. pen., Sez. III, 17/1/2017, n. 30173; Cass. pen., Sez. III, 5/12/2013, n. 5474; Cass. pen., Sez. III, 18/11/2008; Cass. pen., Sez. III, 13/4/2007; Cass. Pen., Sez. III, 24/5/2005; Cass. pen., Sez. III, 2/3/2004; Cass. pen., Sez. III, 24/3/2003; Cass. pen., Sez. III, 12/2/2003; Cass. pen., Sez. III, 23/4/2002; Cass. pen., Sez. III, 12/3/2002; Cass. pen. 9/6/1994; Cass. pen. 6/10/1989; Cass. pen., Sez. VI, 15/4/1986; Cass. pen. 20/3/1986; T. Campobasso 21/3/2006, n. 138); la condotta del ristoratore che, a seguito della richiesta del cliente, rifiuti di consegnare il prodotto congelato, può rilevare quale desistenza (Cass. pen., Sez. III, 2/10/2013, n. 44643).

Parimenti, il tentativo è stato ravvisato nella conservazione, all’interno del frigorifero di un albergo di prodotti scaduti (Cass. pen., Sez. III, 11/11/2010, n. 42503). Si ritiene, altresì, che configuri tentativo anche la detenzione nei magazzini all’ingrosso di olio commestibile già imbottigliato ed etichettato, non conforme al prodotto dichiarato (Cass. pen., Sez. III, 9/7/2004) o ancora la sola detenzione, presso le cantine di un’azienda vinicola, di vino Brunello di Montalcino in parte derivante da vitigni non conformi (Cass. pen., Sez. III, 5/11/2008), nonché la detenzione per la vendita di confezioni di olio extravergine di oliva, proveniente da altra azienda, con etichettatura che ne attesti la produzione ed il confezionamento presso lo stabilimento del detentore (Cass. pen., Sez. III, 28/9/2011, n. 37508) o, ancora, la detenzione, negli stabilimenti vitivinicoli di un’azienda commerciale, di vino preparato con l’aggiunta di zuccheri o materie zuccherine o fermentate diverse da quelle provenienti dall’uva fresca, in mancanza di qualsiasi indicazione in ordine all’aggiunta di tali ingredienti (Cass. pen., Sez. III, 23/10/2013, n. 46183).

Indipendentemente da ogni concreto rapporto con l’acquirente e, quindi, da un inizio di contrattazione con lo stesso, il tentativo di frode in commercio deve ritenersi integrato avendo riguardo all’univocità degli atti (Cass. pen., Sez. Un., 25/10/2000). La messa in vendita di prodotti non regolamentari integra il tentativo del reato di frode in commercio, poiché costituisce un aspetto della condotta che non è estraneo allo stadio della trattativa negoziale, risolvendosi, per il luogo di esposizione della merce, in un’offerta al pubblico e perciò configurandosi concretamente come una proposta contrattuale (C., Sez. III, 7.3.2017, n. 37983).

Il requisito dell’univocità, quale fattore di configurabilità del tentativo, è riscontrabile mediante una valutazione che assume come parametro l’id quod plerumque accidit. Ciò impone un distinguo tra le varie attività avendo riguardo all’ordinario svolgimento delle medesime. Specificamente nel commercio all’ingrosso, ancorché non ci sia contatto con l’acquirente il detenere (all’ingrosso) una certa quantità di olio di oliva e di semi imbottigliata, che riportava una composizione acidica e un valore della trinoleina difformi da quelli prescritti dal regolamento comunitario integra il tentativo. In questo caso pur non essendoci esposizione al pubblico, tuttavia, costituisce tipica modalità di svolgimento dell’attività commerciale all’ingrosso la vendita attraverso documenti rappresentativi o attraverso l’indicazione di partite di merce individuata con criteri quantitativi e qualitativi. La vendita all’ingrosso, diversamente da quella al minuto, non necessita di una esposizione al pubblico del prodotto e, conseguentemente, le confezioni di alimenti qualitativamente difformi dal pattuito e pronte per essere imballate e vendute integrano i requisiti di idoneità e, soprattutto, di univocità degli atti volti a commettere una frode in commercio (Cass. pen., Sez. III, 9/7/2004), similmente costituisce tentativo di frode la detenzione, presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di produzione, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza, destinati non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi (Cass. pen., Sez. III, 15/2/ 2011; Cass. pen., Sez. III, 18/12/2008).

La configurabilità del tentativo è stata individuata nel tenere sui banchi o comunque offrire al pubblico prodotti scaduti, sulle cui confezioni sia stata alterata o sostituita l’originale indicazione del termine minimo di conservazione (Cass. pen., Sez. III, 17/6/2022, n. 23642; Cass. pen., 19/1/2011). Integra il tentativo di frode nell’esercizio del commercio l’esposizione di giocattoli non regolamentari presso un negozio destinato all’esercizio dell’attività di vendita degli stessi, trattandosi di condotta che, per il luogo di esposizione della merce, si risolve in un’offerta al pubblico costituente concreta proposta contrattuale (Cass. pen., Sez. III, 30/9/2015, n. 44340).

Integra il tentativo anche conservare in un congelatore, prodotti vari – hamburger, olive ascolane – senza specificare nel menù che i cibi venivano preparati con prodotti non freschi, ma surgelati (Cass. pen., Sez. III, 13/7/2004). In termini meno rigoristici si è ritenuto che l’omessa indicazione sul menù di prodotti congelati non sia sufficiente ai fini della configurabilità del tentativo essendo necessaria la consegna al cliente del menù (Cass. pen., Sez. III, 25/9/2002), altrimenti si è ritenuto sufficiente l’esposizione del menù sui tavoli, o l’affissione nelle vetrine o all’interno del locale (Cass. pen., Sez. III, 7/7/2003).

La detenzione nello stabilimento di produzione ancorché ai fini della commercializzazione di prodotti alimentari destinati ad essere confezionati con l’indicazione di una data di scadenza che sarebbe necessariamente risultata posteriore al termine massimo consentito dalla legge, non si ritiene raggiunga la soglia del tentativo punibile, essendo necessaria l’offerta al pubblico (Cass. pen., Sez. III, 6/11/2002), mentre configura tentativo la cancellazione della data “scaduta” e la sostituzione con una posteriore (Cass. pen., Sez. III, 28/10/2010; Cass. pen., Sez. III, 6/5/2008). Integra il reato consumato la cessione di un prodotto non suscettibile di essere legittimamente commercializzato, ove ne sia stata in qualche modo contraffatta, sia attraverso la falsificazione sia attraverso la soppressione, la indicazione della data di scadenza (Cass. pen., Sez. III, 10/4/2017, n. 17905).

Tanto premesso, nel caso in esame, un imprenditore era stato condannato per il delitto di tentata frode in commercio, per aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a contraffare la data di confezionamento di frutti di mare altamente deperibili. Vano era stato sostenere da parte dell’imputato che le retine strappate, recanti la data del giorno successivo a quello del reale confezionamento, collocate in un sacco di plastica utilizzato per rifiuti, non erano destinate ad uscire dall’azienda, mentre i mitili rinvenuti nella cella frigorifera non si trovavano sulla linea di confezionamento, né era stato trovato alcun documento di trasporto.

La Cassazione, infatti, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra, in particolare ritendo corretta la tesi accusatoria del doloso confezionamento dei frutti di mare in retine recanti la data del giorno successivo a quello della lavorazione nel corso della quale avvenne l’inatteso controllo. Secondo i giudici di merito, proprio l’improvvisa ispezione effettuata indusse l’imputato – presente all’arrivo dei militari dei NAS – ad impartire ai dipendenti l’ordine di distruggere ben 160 retine di confezionamento recanti la data del giorno successivo, senza riuscire tuttavia ad impedire il rinvenimento di altre 615 retine, recanti la medesima data e confezionate ciascuna con un 1 Kg. di mitili, occultate sotto ad altre recanti data di confezionamento di due giorni precedente in un bancale già imballato, confezionato e pronto per la spedizione, conservato nella “cella dei prodotti finiti”.

Da qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 56 c.p.

Art. 515 c.p.

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