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Illegittimo escludere come prova una relazione di consulenza psichiatrica solo perché non proviene da una struttura pubblica

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Procedura penale

Processo penale

Illegittimo escludere come prova una relazione di consulenza psichiatrica solo perché non proviene da una struttura pubblica

martedì 28 novembre 2023

a cura della Redazione Wolters Kluwer

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva, per quanto qui rileva, confermato la condanna di un imputato per il reato di stalking, la Corte di Cassazione penale, Sez. V, con la sentenza 20 novembre 2023, n. 46486 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui erroneamente i giudici di merito avevano sostenuto che la provenienza della consulenza, redatta da un medico operante in una struttura privata, possedeva valenza limitata – ha invece affermato che escludere come prova una relazione di consulenza psichiatria sol perché proveniente da una struttura privata e non da una struttura pubblica, attribuendogli valenza limitata, è criterio che non trova alcun appiglio né in massime di esperienza consolidate né, tanto meno, in principi giuridici, posto che il medico che redige la relazione è – fino a prova contraria – un soggetto munito di laurea in medicina e chirurgia, specializzato in psichiatria ed operante in una struttura specialistica.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza 20 novembre 2023, n. 46486

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Non si rinvengono precedenti
Difformi Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 233, c.p.p., sotto la rubrica «Consulenza tecnica fuori dei casi di perizia» stabilisce che “1. Quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici. Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell’articolo 121.

1-bis. Il giudice, a richiesta del difensore, può autorizzare il consulente tecnico di una parte privata ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano, ad intervenire alle ispezioni, ovvero ad esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto. Prima dell’esercizio dell’azione penale l’autorizzazione è disposta dal pubblico ministero a richiesta del difensore. Contro il decreto che respinge la richiesta il difensore può proporre opposizione al giudice, che provvede nelle forme di cui all’articolo 127.

1-ter. L’autorità giudiziaria impartisce le prescrizioni necessarie per la conservazione dello stato originario delle cose e dei luoghi e per il rispetto delle persone.

  1. Qualora, successivamente alla nomina del consulente tecnico, sia disposta perizia, ai consulenti tecnici già nominati sono riconosciuti i diritti e le facoltà previsti dall’articolo 230, salvo il limite previsto dall’articolo 225 comma 1.
  2. Si applica la disposizione dell’articolo 225 comma 3”.

La c.d. consulenza extraperitale, espletabile da tecnici nominati dalle parti, “quando non è stata disposta perizia”, secondo le prevalenti impostazioni dottrinarie, assolve a due funzioni, l’una di impulso rispetto al giudice (comma 2), l’altra di strumento alternativo alla perizia, a disposizione delle parti.

Chi attribuisce preminente rilievo alla funzione sollecitatoria nei confronti del giudice che riveste la previa effettuazione di una consulenza extraperitale rispetto alla successiva disposizione di una perizia, ai sensi del comma 2, fa leva sulla motivazione inerente all’introduzione dell’istituto (rel. prog. prel., 66), consistente nell’esigenza di sottoporre al giudice pareri qualificati tali da consentirgli la valutazione sull’opportunità di disporre la perizia (Bellussi, La consulenza tecnica fuori dei casi di perizia, in ADPP, 1991, 341; Potetti, Note in tema di consulente tecnico extraperitale, in CP, 1997, 286).

Il filone dottrinario maggioritario inquadra, invece, lo strumento di cui all’art. 233 quale autonomo ed alternativo alla perizia, cui può ricorrere ciascuna parte anche laddove, per l’appunto, non sia stata disposta perizia, al fine di introdurre nel processo valutazioni tecnico-scientifiche (Frigo, Il consulente tecnico della difesa nel nuovo processo penale, in CP, 1988, 2181; Kostoris, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993, 100; Rivello, Sottoposte a un vaglio attento e rigoroso le consulenze forniscono un apporto risolutivo, in GD, 1997, 70; Vicoli, Consulenza tecnica extraperitale, diritto alla prova e patrocinio a spese dello Stato, in GI, 2000, 575; Dean, Consulenza tecnica, in Digesto pen., VI, Torino, 1992, 516, secondo il quale la consulenza tecnica rappresenta una via semplificata per l’acquisizione di contributi specialistici nel processo). Conf., in giurisprudenza: Cass. pen., Sez. III, 17/1/2008, S., in Mass. Uff., 239281; Cass. pen., Sez. VI, 26/4/2007, F., in Mass. Uff., 237156; Cass. pen., Sez. I, 24/5/2006, D., in Mass. Uff., 235253.

Sul pieno valore probatorio della consulenza tecnica extraperitale, da cui il «il giudice, senza necessità di disporre perizia, può legittimamente desumere elementi di prova», si è espressa la Consulta, in occasione della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 4, L. 30/7/1990, n. 217 (istitutiva del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui, per i consulenti tecnici, limitava gli effetti della ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai casi in cui fosse disposta perizia: Corte cost. 19/2/1999, n. 33, in CP, 1999, 814.

La Suprema Corte ha, poi, esteso l’ambito di intervento del consulente tecnico al di là delle attività peritali, riconducendolo ad ogni atto del procedimento cui la parte abbia diritto di partecipare, individuando una nullità a regime intermedio ex art. 178, lett. c) e 180 nella violazione del diritto dell’imputato di farsi assistere dal proprio consulente tecnico nel corso dell’esame testimoniale in dibattimento (Cass. pen., Sez. III, 9/6/2009, R., in CP, 2010, 4242, con nota di Rossi, L’estromissione del consulente: riflessioni sul ruolo dell’esperto della difesa fuori dei casi di perizia: la nullità è da ritenersi sanata se non dedotta immediatamente dopo la pronuncia dell’ordinanza reiettiva della richiesta di parte) o nell’incidente probatorio (Cass. pen., Sez. III, 13/5/2009, M., in Mass. Uff., 243912: nullità sanata se non dedotta in sede incidentale).

Quanto alla utilizzabilità di una consulenza tecnica di parte, la Cassazione ha affermato, ad esempio, che la consulenza tecnica medico legale ha natura di atto non ripetibile disciplinato dall’art. 360 c.p.p. che, in mancanza della riserva di promozione di incidente probatorio, va inserito nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431, lett. c), c.p.p. ed è, pertanto, utilizzabile indipendentemente dall’esame dibattimentale del consulente, anche in relazione al fatto che l’accertamento tecnico non ripetibile è caratterizzato da una forma di contraddittorio che può estrinsecarsi o attraverso l’obbligo di avviso al difensore, oppure attraverso la facoltà, riconosciuta alla persona sottoposta alle indagini, di formulare riserva di promuovere incidente probatorio (Cass. pen., Sez. IV, n. 38583 del 17/7/2019, CED Cass. 277188 – 01).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di Appello aveva confermato in punto di responsabilità la condanna del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale, relativa ad un imputato del reato di cui all’art. 612-bis c.p. Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell’imputato ne sosteneva l’erroneità rilevando come del tutto arbitraria appariva la motivazione di escludere la perizia psichiatrica, in quanto fondata su documentazione di parte proveniente da una struttura privata, anche alla luce della patologia diagnosticata, del tutto coerente con la condotta maniacale del soggetto.

La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C. ha rilevato come la difesa, con memoria redatta ai sensi dell’art. 121 c.p.p. aveva richiesto l’acquisizione di una consulenza psichiatrica prodotta nell’ambito di altro procedimento penale, da cui emergevano condizioni patologiche da cui il reo era affetto, chiedendo, alla luce di tale elaborato, lo svolgimento di una perizia sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato, nonché sulla sua capacità di partecipare consapevolmente al giudizio.

La Corte di appello, sul punto, aveva osservato che la richiesta perizia non rivestisse carattere di necessità e di decisività, né potesse considerarsi supportata da adeguata documentazione, in quanto la relazione di consulenza psichiatrica non proveniva da una struttura pubblica, trattandosi di un elaborato proveniente da uno specialista che aveva operato nel contesto di una struttura privata; tale consulenza, inoltre, risaliva a qualche anno addietro e non attestava una incapacità di intendere e di volere, bensì un disturbo bipolare in atto, dando conto del fatto che, all’epoca in cui era stata redatta, comunque le condizioni dell’imputato, all’atto delle dimissioni dalla casa di cura, risultavano migliorate.

Tale motivazione, secondo la Cassazione, è apparsa priva di qualsiasi appiglio ai canoni individuati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di perizia psichiatrica avente ad oggetto l’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato.

Come noto, infatti, del tutto pacificamente, nel giudizio di appello è ammissibile la richiesta di rinnovazione del dibattimento per lo svolgimento di perizia psichiatrica in tema di capacità di intendere e volere dell’ imputato, anche nel caso in cui la decisione di primo grado sul punto non abbia formato oggetto di specifico e tempestivo motivo di gravame; ciò in quanto l’accertamento dell’idoneità intellettiva e volitiva dell’imputato non necessita di richiesta di parte, potendo essere compiuto anche d’ufficio dal giudice di merito allorquando ci siano elementi per dubitare dell’imputabilità (da ultimo: Cass. pen., Sez. V, n. 1372 del 26/10/2021, dep. 2022, Z., CED Cass. 282470).

L’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato, oltre che della sua capacità di partecipare consapevolmente al processo, costituisce uno snodo nevralgico della sequenza processuale, rispetto alla quale la giurisprudenza, da tempo, ha ravvisato la necessità di disporre tutti gli approfondimenti necessari.

Oltre al principio di diritto in precedenza enunciato, va ricordato, ad esempio, come, in caso di divergenti conclusioni degli esperti che hanno ricevuto incarico di eseguire perizia psichiatrica sull’imputato, anche in differenti gradi del giudizio, il controllo di legittimità sulla motivazione del provvedimento concernente la capacità di intendere e di volere deve necessariamente riguardare i criteri che hanno determinato la scelta tra le opposte tesi scientifiche; il che equivale a verificare se il giudice del merito abbia dato congrua ragione della scelta e si sia soffermato sulle tesi che ha creduto di non dovere seguire e se, nell’effettuare tale operazione, abbia tenuto costantemente presenti le altre risultanze processuali e abbia con queste confrontato le tesi recepite (Cass. pen., Sez. V, n. 686 del 3/12/2013, dep. 2014, D.M., CED Cass. 257965; Cass. pen., Sez. I, n. 8076 del 24/5/2000, P.G. in proc. S., CED Cass. 216613).

In tale contesto ermeneutico, evidentemente ignorandolo del tutto, quindi, la Corte di appello, secondo la S.C., ha affermato, senza fornire alcuna adeguata spiegazione, che la richiesta perizia non rivestiva “carattere di necessità e di decisività”; inoltre, ha aggiunto che la provenienza della consulenza – redatta da un medico operante in una struttura privata – possedeva valenza limitata, operando, in tal modo, una indebita e del tutto ingiustificata, oltre che illogica ed arbitraria, gradazione di validità dell’apporto tecnico fornito dallo specialista, in base al diverso inquadramento amministrativo delle prestazioni assistenziali erogate dalla struttura – in regime pubblicistico o privatistico – in cui aveva operato lo psichiatra autore della consulenza.

Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 233 c.p.

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