Penale
Diritto penitenziario
Legittima la disciplina della detenzione domiciliare prevista per i padri condannati
giovedì 14 dicembre 2023
di Corbetta Stefano Consigliere della Corte Suprema di Cassazione
Con la sentenza 11 dicembre 2023, n. 219, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), L. n 354/1975, nella parte in cui prevede la concessione della detenzione domiciliare ordinaria ai padri di bambini sino a dieci anni soltanto ove esercitino la responsabilità genitoriale e risulti che la madre sia deceduta, ovvero «assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole».
Corte costituzionale, sentenza 11 dicembre 2023, n. 219
Il caso
Il Magistrato di sorveglianza di Cosenza sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), L. n 354/1975, in riferimento agli artt. 3 e 31, comma 2, Cost., nella parte in cui prevede la concessione della detenzione domiciliare ordinaria ai padri di bambini sino a dieci anni soltanto ove esercitino la responsabilità genitoriale e risulti che la madre sia deceduta, ovvero «assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole».
Ad avviso del rimettente, tale disciplina violerebbe l’interesse del minore a mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori, fondato sull’art. 31, comma 2, Cost., declinabile quale vero e proprio diritto inviolabile alla “bigenitorialità”.
La disciplina censurata, inoltre, risulterebbe intrinsecamente incoerente, contraddittoria e illogica – e dunque irragionevole al metro dell’art. 3 Cost. –, privilegiando ingiustificatamente il rapporto tra madre e figlio rispetto a quello tra padre e figlio, posto che le madri che convivono con il proprio figlio possono essere senz’altro ammesse alla misura alternativa in parola allorché debbano scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a quattro anni.
La decisione della Corte
Le questioni – tutte costruite attorno alla prospettiva degli interessi, che fanno capo al minore, a una relazione continuativa con entrambe le figure genitoriali – sono state ritenute infondate.
Al proposito, la Corte si è ricollegata alla propria giurisprudenza (Corte cost. sentenza n. 102/2020, in senso analogo, Corte cost. sentenze n. 105/2023, n. 187/2019, n. 76/2017), secondo cui il “diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori” è riconosciuto non solo, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 315-bis, primo e secondo comma, c.c. – ove si sancisce il diritto del minore a essere “educato, istruito e assistito moralmente” dai genitori -, nonché dall’art. 337-ter, primo comma, c.c., – ove si riconosce il suo diritto di “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori” e “di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi” – ma da una pluralità di strumenti internazionali e dell’Unione europea, al cui rispetto il nostro Paese si è vincolato».
Sul piano costituzionale, il diritto in questione costituisce una specifica declinazione del più generale principio dell’interesse “preminente” del minore, secondo la giurisprudenza costituzionale, sta a significare che “in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” (best interests) o dell’“interesse superiore” (intérêt supérieur) del minore» (Corte cost. sentenza n. 102/2020).
Nondimeno, il principio in parola non deve ritenersi automaticamente prevalente su ogni altro interesse, individuale o collettivo.
In particolare, con riferimento alla relazione tra genitori condannati a pena detentiva e figli minori, si è costantemente ribadito che l’interesse del minore “non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena” (Corte cost. sentenza n. 174/2018; nello stesso senso, più di recente, Corte cost. sentenza n. 30/2022)»
La Corte ha sottolineato che la speciale rilevanza, dal punto di vista costituzionale, degli interessi del minore esige che gli interessi sottesi all’esecuzione della pena “debbano, di regola, cedere di fronte all’esigenza di assicurare che i minori in tenera età possano godere di una relazione diretta almeno con uno dei due genitori”.
In questa direzione si colloca la disciplina della detenzione domiciliare ordinaria e speciale – quest’ultima prevista dall’art. 47-quinquies ordin. penit. –, che, in stretta aderenza al principio affermato dalla sentenza Corte cost. n. 215/1990, assicura al padre che sia stato condannato a pena detentiva ed eserciti la responsabilità genitoriale la medesima possibilità di accesso alla misura alternativa in parola attualmente riservata alla madre, quando quest’ultima sia deceduta o sia altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole (art. 47-ter, comma 1, lett. b, e art. 47-quinquies, comma 7, ordin. penit.); il tutto alla condizione che il condannato o la condannata che si trovino nelle condizioni previste dalla legge per fruire della misura non presentino una spiccata pericolosità criminale, come si evince dall’art. 47-quinquies, comma 1, L. n. 34/1975 per quanto concerne la detenzione domiciliare speciale.
Nel caso in cui, invece gli interessi all’esecuzione della pena detentiva nei confronti del padre o della madre condannata risultino prevalenti rispetto all’interesse del bambino, rimane ferma la necessità di assicurare altre modalità di relazione con quest’ultimo – come i colloqui, la corrispondenza telefonica, il diritto di visita di cui all’art. 21-ter, comma 1, ordin. penit., i permessi premio di cui all’art. 30-ter ordin. penit. –, “in modo da attenuare e ricondurre a proporzioni sostenibili la limitazione dell’interesse del minore a intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori” (da ultimo, sul punto, Corte cost. sentenza n. 105/2023)
Ciò chiarito, la Corte ha evidenziato come la scelta di fondo del legislatore è stata quella “di assicurare in via primaria il rapporto del minore con la madre”.
Del resto, gli istituti in parola, inizialmente pensati per assicurare la specialissima relazione della madre con il figlio durante l’allattamento o comunque nei primissimi mesi di vita, “sono stati gradatamente estesi sino a che il bambino raggiungesse un’età via via più avanzata, sì da evitare che il rapporto tra la madre e il figlio si interrompesse bruscamente in una fase della vita in cui quest’ultimo non sia ancora in grado di comprendere ed elaborare le ragioni del distacco”. E ciò in sintonia con gli strumenti internazionali relativi al trattamento penitenziario delle condannate madri, e in particolare con le «United Nations Rules for the Treatment of Women Prisoners and Non-custodiale Measures for Women Offenders», adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 21 dicembre 2010, che prevedono un trattamento di favore nei confronti delle donne autrici di reato al fine di tutelare l’interesse superiore del bambino.
La Corte ha sottolineato che “l’estensione delle medesime regole vigenti oggi per le detenute madri anche ai detenuti padri potrebbe certamente essere valutata dal legislatore, nel quadro di un complessivo bilanciamento tra tutti gli interessi individuali e collettivi coinvolti”; e tuttavia essa non può “essere allo stato ritenuta costituzionalmente necessaria dal punto di vista (…) della tutela degli interessi del bambino, la quale richiede soltanto che – di regola – sia assicurato al bambino stesso un rapporto continuativo con almeno uno dei due genitori. Ciò che la disciplina censurata indubitabilmente assicura”.
Di cui la non fondatezza della censura formulata in riferimento sia all’art. 31 Cost., sia all’art. 3 Cost.
Esito del ricorso:
Dichiarazione di infondatezza
Riferimenti normativi:
Art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), L. 26 luglio 1975, n. 354