Misure cautelari
No al sequestro della pensione del coniuge cointestatario del conto
giovedì 25 gennaio 2024
a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva confermato il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP, respingendo l’istanza della moglie dell’indagato, cointestataria del c/c oggetto del sequestro, di restituzione del denaro ivi depositato, somme in parte costituite da rimesse di ratei pensionistici della donna, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 16 gennaio 2024, n. 1877 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui erroneamente era stata disattesa la richiesta di dissequestro anche delle somme costituenti emolumenti pensionistici depositate sul conto corrente bancario, somme che, ai sensi dell’art. 545 c.p.c. non sono soggette a pignoramento – ha riaffermato il principio secondo cui, se è ben vero che, sulla base di un tradizionale orientamento, ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter c.p. della somma di denaro depositata su un conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, la misura preventiva reale si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato, senza che a tal fine possano rilevare presunzioni o vincoli posti dal codice civile per regolare i rapporti interni tra creditori e debitori solidali o i rapporti tra banca e depositante, ferma restando la possibilità nel prosieguo di procedere ad un effettivo accertamento dei beni di esclusiva proprietà di terzi estranei al reato, è altrettanto vero che tale affermazione deve, necessariamente e convenientemente, coniugarsi con la normativa, dettata in materia di processo esecutivo civile ma ritenuta rilevante ed applicabile anche in sede penale, la quale pone dei limiti alla ablazione forzosa dei trattamenti pensionistici.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza 16 gennaio 2024, n. 1877
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen. sez. Unite, 07/07/2022, n. 2625 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti in termini |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 545, c.p.c., sotto la rubrica «Crediti impignorabili», dopo aver stabilito che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto”, per quanto qui di interesse, stabilisce al comma 3 che “Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato”, aggiungendo poi al comma 4 che “Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito”, puntualizzando infine al comma 5 che “Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell’ammontare delle somme predette”.
Il D.L. 27/06/2015, n. 83 ha introdotto i commi da 7 a 10 in virtù dei quali era previsto che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non potevano essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dai commi 3, 4 e 5 nonché dalle speciali disposizioni di legge. Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dai commi 3, 4, 5 e 7, nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Il successivo D.L. 09/08/2022, n. 115 (c.d. decreto Aiuti bis), convertito con L. 21/09/2022, n. 142, ha modificato il settimo comma della disposizione in commento, modificando l’ammontare pignorabile, prevendo, nel particolare che le somme dovute a titolo di pensione, di indennità o di assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La disposizione rialza il limite di pignorabilità delle pensioni ora pari al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con in ogni caso, il limite minimo di euro 1.000,00.
Si segnala che l’importo dell’assegno sociale, nella misura piena, per il 2022 è di euro 468,28 per 13 mensilità, come statuito dalla circ. INPS 28/2/2022, n. 33. Si tratta di tutta evidenza di una chiara esigenza sociale, volta ad assicurare lo svolgimento delle minime necessità di vita.
Secondo la giurisprudenza formatasi in sede penale, poi, nell’ipotesi di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, le somme già percepite a titolo di credito pensionistico – o ad esso assimilato – e confuse nel patrimonio del debitore, possono essere pignorate, e quindi sequestrate, ai sensi dell’art. 545, comma 8, con il limite del triplo dell’importo dell’assegno sociale che può operare una sola volta e a condizione che sia certa la natura della somma (Cass. pen. 11/02/2021, n. 10772).
Il punto ha visto il prodursi di un contrasto in giurisprudenza (cfr. Cass. pen. 27/05/2020, n. 16055, secondo la quale l’art. 545 e i limiti di impignorabilità ivi previsti non si applicano in quanto la confisca penale è posta a tutela di un interesse pubblico, mentre la norma codicistica tutela un interesse di natura privata), su cui si sono espresse le S.U., ribadendo che i limiti previsti dall’art. 545 si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato (Cass. pen. sez. Unite, 07/07/2022, n. 26252). In ogni caso è bene evidenziare che i limiti alla pignorabilità dei beni di cui all’art. 545 non operano con riguardo al sequestro preventivo ex art. 321, comma 1, c.p.p., spettando tuttavia al giudice, in conformità al principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. e al criterio di proporzionalità, valutare se, nel caso concreto, la misura si presenti eccessivamente afflittiva non garantendo all’indagato il c.d. minimo vitale (Cass. pen. 21/01/2021, n. 3981).
Tanto premesso, nel caso in esame, Il Tribunale aveva confermato, in tal modo respingendo il ricorso presentato dal coniuge dell’indagato, il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP in danno del marito, oggetto di indagini preliminari in relazione alla imputazione di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, per avere, in qualità di legale rappresentante di una Srl, indicato, nelle dichiarazioni fiscali elementi passivi di reddito documentati con fatture relative ad operazioni inesistenti, sino alla concorrenza della somma di euro 138.461,90. Il Tribunale, avendo dato atto che, per la somma di euro 24.333,58 il sequestro era stato eseguito attraverso l’apposizione del vincolo sulle somme giacenti su di un conto corrente bancario cointestato ai due coniugi, aveva, altresì, osservato che le poste attive del conto corrente in discorso non erano alimentate solamente dalle rimesse derivanti dall’accredito della pensione versata alla moglie ma si trattava, per la più ampia parte, di versamenti ripetuti di somme di danaro rivenienti dalla Srl, di tal che non dovevano ritenersi operanti i limiti dovuti alla solo parziale pignorabilità delle somme derivanti da crediti pensionistici, limiti in relazione al cui superamento sarebbe stato, d’altra parte, onere incombente sulla donna fornire la dimostrazione; il Tribunale aveva, altresì, osservato che, essendo costituito da somme di danaro l’oggetto del sequestro, esso, stante la natura fungibile di quello, doveva intendersi finalizzato alla confisca diretta, per cui non avevano pregio le eventuali contestazioni in ordine alla pertinenza dei beni sequestrati rispetto al reato in contestazione.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa sosteneva l’erroneità della decisione, in particolare per essere stata disattesa la richiesta di dissequestro anche delle somme costituenti emolumenti pensionistici depositate sul conto corrente bancario in questione, somme che, ai sensi dell’art. 545 c.p.c. non sono soggette a pignoramento.
La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C., nel richiamare la giurisprudenza in precedenza citata, ivi inclusa quella delle Sezioni Unite, ha osservato come, considerato che nel provvedimento emesso dal Tribunale – nel quale pur si dà atto che, quanto meno, per una parte le somme confluite sul conto corrente bancario intestato ai coniugi sono costituite da rimesse derivanti da trattamenti pensionistici riferiti alla moglie – tale fattore, decisivo ai fini della confiscabilità delle somme di danaro (e, pertanto, anche alla loro sequestrabilità ove la misura sia strumentale alla confisca), non era stato adeguatamente considerato né ai fini dell’eventuale limitazione della somma sequestrabile al solo attivo finanziario esulante rispetto alle indicate causali né ai fini della dimostrazione della ritenuta irrilevanza del descritto fattore nell’ambito della controversia.
Da qui, pertanto, l’accoglimento del ricorso.
Riferimenti normativi:
Art. 321 c.p.p.
Art. 545 c.p.p.