Penale
Reati in materia di alimenti
Utilizzabili le attività ispettive di vigilanza di natura amministrativa originate da un “anonimo”?
mercoledì 17 gennaio 2024
a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il Tribunale aveva prosciolto il titolare di un esercizio commerciale dall’accusa di aver esposto per la vendita alimenti in cattivo stato di conservazione per la inutilizzabilità delle attività ispettive di vigilanza perché svolte senza osservare le disposizioni a garanzia dell’imputato previste dal codice di procedura penale in quanto originate da un esposto anonimo, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 11 gennaio 2024, n. 1250 – nell’accogliere la tesi del PM che aveva proposto ricorso sostenendo l’erroneità della sentenza assolutoria, essendosi il reato concretizzato solo nel momento in cui si era verificata la temperatura del frigorifero in cui erano contenuti gli alimenti – ha affermato il principio secondo cui gli esposti anonimi (al contrario di una denuncia sottoscritta e riconducibile ad un soggetto determinato, che possiederebbe i crismi di una notizia di reato), lungi dal potersi considerare notitia criminis, possono costituire un mero «impulso» per attivare i poteri amministrativi che la legge pone in capo ai NAS e che, laddove nel corso dell’attività ispettiva emergono elementi di reato, in quel momento – e solo in quel momento – scattano gli obblighi di cui agli articoli 114 e 220 disp. att. c.p.p.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza 11 gennaio 2024, n. 1250
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Non si rinvengono precedenti |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che – a norma dell’art. 240, comma 1, c.p.p. – “i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato”; del pari, l’art. 333, comma 3, c.p.p. stabilisce che “delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall’art. 240”: a meno che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato, dunque, le denunce anonime sono inutilizzabili.
La ratio delle norme del codice di rito è evidente: quella anonima non può essere parificata a una denuncia qualificata, mancando della forma rituale richiesta per le notitiae criminis, sicché non può rappresentare l’atto iniziale di un procedimento penale.
La questione non muta se l’anonimo provoca anziché l’avviso di un’indagine penale, l’avviso di un’indagine di tipo amministrativo, come verificatosi nel caso di specie. Sul punto deve essere evidenziato che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. III, n. 31223 del 4/6/2019, D.V., CED Cass. 276679 – 01), in materia di attività ispettive di vigilanza di natura amministrativa, il momento a partire dal quale, nel corso di tale attività, sorge l’obbligo di rispettare le garanzie del codice di procedura penale è quello nel quale è possibile attribuire rilevanza penale al fatto, emergendone tutti gli elementi costitutivi, anche se ancora non possa essere ascritto a persona determinata.
Inoltre, in tema di prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi, è necessario distinguere i prelievi e le analisi inerenti alle attività amministrative, dalle analisi e prelievi inerenti invece ad un’attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare per i quali devono operare le norme di garanzia della difesa in applicazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p. (Cass. pen., Sez. III, n. 15372 del 10/2/2010, F., CED Cass. 246597 – 01; Cass. pen., Sez. III, n. 10484 del 12/11/2014, G., CED Cass. 262698 – 01), mentre, per la prima, i diritti della difesa devono essere assicurati solo laddove emergano indizi di reato, nel qual caso l’attività amministrativa non può più definirsi extra-processum.
Tanto premesso, nel caso in esame, il Tribunale assolveva un imputato in ordine al delitto di cui all’articolo 5, comma 1, lett. b), e 6, comma 3, L. n. 283/1962, perché il fatto non sussiste, alla luce della ritenuta inutilizzabilità degli atti di indagine in quanto non preceduti dall’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p.
Contro la sentenza proponeva ricorso il PM, in particolare sostenendo che erroneamente il giudice aveva ritenuto inutilizzabili gli atti compiuti in assenza di avviso al difensore in quanto l’ispezione amministrativa, da cui è partito l’accertamento, era stata originata da un esposto anonimo, come tale inutilizzabile in sede penale e comunque relativo alla detenzione di prodotti alimentari scaduti (circostanza peraltro smentita in esito all’ispezione), e che il fumus del reato si era concretizzato solo nel momento in cui si era verificata la temperatura del frigorifero in cui erano contenuti gli alimenti, procedendo subito dopo gli operanti a dare avviso al reo della facoltà di nominare un difensore.
La Cassazione, nell’accogliere la tesi del PM, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, hanno osservato i Supremi Giudici, l’attività ispettiva aveva trovato impulso a seguito di un esposto anonimo (come risulta dal verbale di ispezione in cui si dava conto di un esposto che segnalava la presenza presso l’esercizio commerciale «di formaggi definiti “posti alla rinfusa” scaduti di validità»), il quale, come noto (arg. ex art. 240 c.p.p.), non consente di procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l’esistenza di indizi di reità, ma esclusivamente di attivare l’attività di iniziativa del PM e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi estremi utili per l’individuazione di una “notitia criminis“» (Cass. pen., Sez. VI, n. 34450 del 22/4/2016, M., CED Cass. 267680 – 01).
Combinando i dati relativi alla attività ispettiva in materia di alimenti con quelli relativi all’utilizzabilità (rectius: inutilizzabilità) degli esposti anonimi, si ricava il principio secondo cui questi ultimi (al contrario di una denuncia sottoscritta e riconducibile ad un soggetto determinato, che possiederebbe i crismi di una notizia di reato), lungi dal potersi considerare notitia criminis, possono costituire un mero «impulso» per attivare i poteri amministrativi che la legge pone in capo ai NAS e che, laddove nel corso dell’attività ispettiva emergono elementi di reato, in quel momento – e solo in quel momento – scatteranno gli obblighi di cui agli articoli 114 e 220 disp. att. c.p.p. Inoltre, la Cassazione (Cass. pen., Sez. III, n. 6594 del 26/10/2016, dep. 2017, P., CED Cass. 269299; Cass. pen., Sez. III, n. 43996 del 12/9/2023, M.), ha chiarito che l’obbligo di osservare le norme del codice di rito riguarda «lo specifico fatto, non qualsiasi altro diverso fatto la cui possibile rilevanza penale non sia ancora emersa».
Nel caso di specie, l’esposto anonimo era in ogni caso a tutt’altri fini indirizzato, ventilando la vendita di prodotti alimentari scaduti; il primo momento in cui sono emersi elementi di reato – e del reato di cui rispondeva l’imputato – è stato esattamente quello in cui è stato verificato che la temperatura dei frigoriferi che contenevano gli alimenti non era idonea alla loro corretta conservazione. E in quel momento, correttamente, gli operanti hanno proceduto ad effettuare gli avvisi di rito all’indagato.
La Cassazione aggiunge, altresì, che la mera rilevazione della temperatura del frigorifero non può assumere la valenza di accertamento tecnico o analisi, costituendo„ al contrario, un mero «rilievo» di un dato di fatto, a partire dal quale, come detto, si è concretizzata la notitia criminis.
Inoltre, e conclusivamente, la S.C. ha escluso che potesse rivestire efficacia dirimente la natura «deperibile» degli alimenti. Tale nozione è contenuta nell’art. 1 D.M. Sanità 16 dicembre 1993, n. 303, che tuttavia ha la funzione di individuare le sostanze alimentari deteriorabili alle quali si applica il regime di controlli microbiologici ufficiali (e regola il modo di effettuare l’analisi di revisione secondo le modalità di cui all’art. 1 della L. 30 aprile 1962, n. 283), ma non ha certo la funzione di rendere, automaticamente, ogni accertamento relativo a qualsivoglia alimento «fresco» una attività di polizia giudiziaria, in quanto «potenzialmente irripetibile».
Da qui, dunque, l’accoglimento del ricorso del PM.
Riferimenti normativi:
Art. 5L. 30 aprile 1962, n. 283
Art. 240 c.p.p.
Art. 333 c.p.p.