Divieto di intercettazioni tra avvocato e imputato da rafforzare
Di Sara Occhipinti
Ddl giustizia penale: l’emendamento approvato al Senato nella formulazione attuale sembra accordare protezione solo nella fase successiva alla formulazione dell’imputazione
Pubblicato il 13 febbraio 2024
La Commissione Giustizia del Senato ha approvato un emendamento al disegno di legge sulla giustizia penale (testo in calce), che vieta l’intercettazione di comunicazioni tra avvocato e cliente: l’emendamento, nella formulazione attuale, sembra però accordare protezione solo nella fase successiva alla formulazione dell’imputazione, escludendo il delicato momento delle indagini preliminari.
Nella sua attuale formulazione, l’art. 103 del codice di procedura penale rubricato “garanzie di libertà del difensore” prevede al comma 5 il divieto di intercettazione di comunicazioni e conversazioni dei difensori, degli investigatori privati e dei consulenti tecnici nominati nel procedimento, e di quelle tra gli stessi e le persone da loro assistite. Al comma 7 è stabilito che le intercettazioni eseguite in violazione del divieto non possano essere utilizzate nel procedimento ed è fatto divieto di trascrizione delle stesse.
L’emendamento appena approvato dalla Commissione Giustizia del Senato, persegue l’obiettivo di rafforzare ulteriormente la tutela già codificata. I nuovi commi 6 bis e 6 ter che verrebbero aggiunti all’art. 103 c.p.p. vietano l’acquisizione di ogni forma di comunicazione tra l’imputato ed il proprio difensore, e impongono all’autorità giudiziaria o agli organi delegati che procedono alle intercettazioni di interromperle immediatamente se rientrano tra quelle vietate.
La necessità del rafforzamento di tutela, nasce dall’esigenza di contenere gli spazi di utilizzo dello strumento delle intercettazioni, che le interpretazioni giurisprudenziali hanno incrementato nel tempo, Escludendo il divieto di acquisizione di “ogni forma di comunicazione tra imputato e difensore”, si corregge ad esempio quell’interpretazione giurisprudenziale che consente le intercettazioni di conversazioni “amicali” tra avvocato e assistito e di tutte quelle conversazioni che con valutazione ex post (ossia dopo l’ascolto) il giudice ritiene esulare dal mandato difensivo.
Nel rispetto delle pronunce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Caso Laurent vs Francia, 24 maggio 2018 e caso Saber vs Norvegia del 17 dicembre 2020), la tutela del rapporto tra accusato e difensore rientra nei principi dell’equo processo. Gli Stati, per conformarsi alle decisioni della CEDU, devono approntare adeguate normative per garantire il pieno esercizio del diritto di difesa che si esplica anche nel contatto e nella conversazione dell’accusato con il proprio difensore per concordare ed elaborare la strategia difensiva, senza essere ascoltati.
Alla luce dei principi della Corte europea, l’ascolto delle conversazioni per il controllo postumo della loro utilizzabilità, minerebbe dunque il diritto di difesa dell’accusato, e non solo la libertà dell’avvocato e metterebbe a repentaglio la parità di armi nel processo tra accusa e difesa.
Ben venga dunque un rafforzamento del divieto di intercettazione, come l’emendamento appena approvato a Palazzo Madama intende realizzare. Unica perplessità, è che il testo dell’emendamento così come formulato limita il surplus di tutela alle comunicazioni tra avvocato ed “imputato”, presupponendo quindi che sia già stata formulata un’imputazione, ed escludendo di fatto dall’ambito di tutela tutta la fase antecedente delle indagini preliminari, nella quale i contatti con il difensore sono di particolare importanza, in vista di eventuali interrogatori di garanzia, dell’adozione di misure cautelari, del compimento di atti a sorpresa, come perquisizioni e sequestri.