Reati contro la persona
Tampinato dalla ex per il pagamento dell’assegno di mantenimento: è stalking
lunedì 18 marzo 2024
a cura della Redazione Wolters Kluwer
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad una donna, tra gli altri, anche per il reato di atti persecutori, la Corte di Cassazione penale, Sez. V, con la sentenza 7 marzo 2024, n. 9878 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui la condotta andava riqualificata nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose o sulle persone (artt. 392 e 393, c.p.) – ha affermato che la condotta consistente nel fare ossessive e ripetute chiamate telefoniche, condite da frasi offensive e ingiuriose, aventi ad oggetto la richiesta delle somme dovute a titolo di sostentamento così come determinate nel corso del giudizio di separazione coniugale nei confronti dell’ex coniuge, in quanto idonea ad ingenerare in quest’ultimo un perdurante e grave stato di paura per la propria incolumità, costringendolo a cambiare le proprie abitudini di vita (in particolare, nel caso in esame, a non uscire di casa da solo e a non recarsi a prendere la figlia a scuola), integra il reato di atti persecutori ex art. 612-bis, c.p.
Cassazione penale, Sez. V, sentenza 7 marzo 2024, n. 9878
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. pen., Sez. V, 8/6/2016, n. 54923 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 612-bis, c.p., sotto la rubrica “Atti persecutori” punisce “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”, con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi la condotta di chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
Il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. ha natura di reato abituale; in quanto tale, è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza e, in tal senso, l’essenza dell’incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo. È dunque l’atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l’appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato (cfr. Cass. pen., Sez. V, n. 54923 del 8/6/2016, V., CED Cass. 268408- 01, in motivazione).
Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad una donna, tra gli altri, anche il per il reato di stalking, in quanto con reiterate condotte di molestia e di minaccia (ossessive e ripetute chiamate telefoniche, nel corso delle quali pronunciava frasi offensive e ingiuriose, frasi che venivano ripetute anche negli incontri con la persona offesa e che avevano a oggetto la richiesta delle somme dovute a titolo di sostentamento così come determinate nel corso del giudizio di separazione coniugale) nei confronti dell’ex coniuge e della sorella di quest’ultimo (chiamate reiterate al citofono di quest’ultima, presso la cui abitazione stazionava con la propria autovettura; imbrattamento con vernice spray della saracinesca della parafarmacia di proprietà della sorella, sulla quale scriveva frasi offensive della reputazione del fratello), ingenerava nell’ex un perdurante e grave stato di paura per la propria incolumità, costringendo lo stesso a cambiare le proprie abitudini di vita (in particolare, a non uscire di casa da solo e a non recarsi a prendere la figlia a scuola).
Ricorrendo in Cassazione, la difesa ne sosteneva l’erroneità, per avere la Corte d’appello ravvisato nella condotta dell’imputata gli elementi costituitivi del reato di atti persecutori, disattendendo la richiesta di riqualificazione del delitto in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose o sulle persone (artt. 392 e 393, c.p.). Secondo la difesa, sarebbe stata illogicamente trascurata l’assenza del dolo generico – che necessariamente integra la sussistenza del reato di atti persecutori – ossia la volontà di porre in essere, in un congruo intervallo temporale, condotte di minaccia e molestia tese a cagionare nelle vittime un perdurante stato di ansia e di paura per la propria incolumità, così da indurle a modificare le proprie abitudini di vita.
L’unica causale delle condotte dell’imputata -osservava la difesa- è da individuare nel conflitto con l’ex coniuge derivante dalla mancata corresponsione, da parte di quest’ultimo, delle somme dovute per il sostentamento familiare pattuite in sede giudiziale. Tale inadempimento avrebbe creato un effetto destabilizzante nell’imputata, gravemente preoccupata per le condizioni della figlia, ammalata di diabete e bisognosa di dispendiose cure, sicché le condotte della stessa sarebbero state causate dalla condotta antigiuridica (confermata da due sentenze di condanna) di violazione degli obblighi di assistenza familiare da parte della persona offesa.
La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C., quanto alle censure relative all’evento dell’ascritto reato (che -si ricorda- deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso), ha rilevato come le condotte dell’imputata, proseguite per anni, hanno non soltanto indotto uno stato di perenne ansia nella persona offesa, altresì condizionando quest’ultimo al punto da costringerlo a cambiare le proprie abitudini di vita (per tema di incontri con la ex compagna, di altri insulti e minacce).
Risultavano, pertanto, correttamente applicati al caso di specie i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di atti persecutori: a tal proposito, si è affermato che la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. pen., Sez. V, n. 17795 del 2/3/2017, S., CED Cass. 269621- 01).
La Cassazione ha ricordato anche che ai fini della individuazione dell’evento cambiamento delle abitudini di vita, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate (Cass. pen., Sez. V, n. 24021 del 29/4/2014, G, CED Cass. 260580).
Per quel che concerne, infine, l’invocata riqualificazione del reato, ha osservato la S.C. come esse fossero state disattese dalla Corte d’appello con pochi, ma ben centrati argomenti. Correttamente, infatti, la Corte aveva valorizzato la diversità di oggetto e bene giuridico tutelato dall’artt. 612-bis c.p., da un lato, e dagli artt. 392 e 393 c.p., dall’altro, osservando come le pretese economiche rivendicate dall’imputata fossero un mero pretesto per umiliare e perseguitare l’ex marito, persona offesa. Di talché le condotte persecutorie hanno di gran lunga travalicato le mere rivendicazioni economiche, acquisendo preminente rilievo rispetto a queste ultime (v. la già citata Cass. pen., Sez. V, n. 54923 del 8/6/2016).
Da qui, il rigetto del ricorso.
Riferimenti normativi:
Art. 612-bis c.p.
Art. 392 c.p.
Art. 393 c.p.